Angelo Mincuzzi
PECHINO. Da uno dei nostri inviati
La moschea di Niu Jie è avvolta in un silenzio quasi surreale. Sono le cinque del pomeriggio e gli echi dell'attentato nello Xinjiang non hanno ancora bucato la cortina della censura imposta dal regime. Nessuno ha la minima idea di cosa sia successo. Neppure Li, un ragazzo che arriva da Shihezi, una "cittadina" di mezzo milione di abitanti dello Xinjiang. Li lavora come volontario per le Olimpiadi e visto che è musulmano gli organizzatori gli hanno assegnato la moschea di Niu Jie, la più grande tra i 72 luoghi di culto nella capitale cinese.
Se non fosse per il Muslim Supermarket e le insegne arabeggianti su alcuni edifici, per qualche donna con il velo, niente farebbe credere di trovarsi in una zona popolata da islamici. Eppure a Pechino i musulmani sono quasi 250mila, 10mila dei quali vivono qui, nel distretto di Xuanwu, a circa un chilometro e mezzo dal Tempio del Cielo e non molto distante da piazza Tienanmen. Intorno al questa costruzione hanno trovato il loro habitat da più di mille anni, mescolando la loro cultura a quella della gente del posto. Così, più che una moschea Niu Jie sembra un tempio cinese: edifici a pagoda colorati di rosso e protetti da un muro di cinta grigio. «La realtà nello Xinjiang è molto diversa da quella più ricca di Pechino», si sbraccia Li. E i separatisti uiguri? Dietro i suoi occhiali Li fa un passo indietro, sorride imbarazzato, si agita: «No, non posso parlare di queste cose, sono un volontario per le Olimpiadi». L'argomento è tabù: di politica non si parla.
All'esterno della moschea le misure di sicurezza sono quelle di sempre, qualche poliziotto nel traffico caotico che fende lo smog tornato ad assediare Pechino. Ma il caos, quello vero, è appena scoppiato poco lontano, a Qianmen, il vecchio quartiere a ridosso della Città proibita, dove le ruspe hanno raso al suolo l'intera area per realizzare un enorme quartiere commerciale. Un gruppo di sfrattati ha sfidato il regime: erano qualche decina, ma sono bastati a scatenare la reazione della polizia, che ha caricato i manifestanti. «La felicità delle Olimpiadi è stata costruita sul nostro dolore», gridavano gli sfrattati.
Dal quartiere musulmano a Qianmen bastano pochi minuti in taxi: la calma ora è tornata nel nuovo quartiere commerciale, ma da ieri mattina le misure di sicurezza sono state rafforzate soprattutto nella vicina Piazza Tienanmen. Poche centinaia di metri separano le due zone, eppure la differenza è visibile. I metal detector per accedere alla piazza sono sempre lì, ma rispetto a domenica è aumentato il numero dei militari e dei poliziotti: una presenza sempre più tangibile che si aggiunge alle decine di telecamere. Assieme al Villaggio olimpico, Tienanmen è l'area più presidiata della città, ma i controlli sono ovunque agli incroci delle strade, nei sottopassaggi pedonali, nelle metropolitane, davanti agli alberghi. Al Crowne Plaza, di fronte allo stadio dove venerdì si svolgerà la cerimonia di apertura, interamente occupato dalla rete televisiva americana Nbc, prima di entrare si viene passati allo scanner. All'ingresso del Best Western poco distante dal parco dei divertimenti di Pechino, una giovane addetta dell'hotel annota i numeri di targa dei taxi che caricano e scaricano clienti, l'ora di arrivo o di partenza e il numero dei passeggeri. Un lavoro certosino. Già, ma perché? La donna fa un passo indietro, sorride imbarazzata, è in difficoltà. Come per Li, il ragazzo di Niu Jie, l'argomento è tabù. Normale amministrazione, a Pechino.
05/08/2008