Riccardo Sorrentino
Era un evento previsto da tutti, ma segna comunque un traguardo. Il calo del dollaro sotto quota sette yuan è il segno di come stia cambiando il sistema finanziario globale, interpretato dal mercato valutario. È un caso se nello stesso giorno l'euro tocca un record e il presidente della Bce Jean-Claude Trichet "deplora" l'andamento dei cambi? Certamente no. E non è irrilevante - per gli investitori - che tutto questo avvenga alla vigilia del G-7 di oggi.
Lo yuan ai livelli del '93 è sicuramente un evento: la Banca del Popolo Cinese ha permesso che il dollaro scendesse fino a quota 6,9916. Era l'inizio del '94 quando Pechino svalutò la sua moneta portando il cambio da 5,8 a 8,7 per un dollaro. Bisognò poi aspettare luglio 2005 perché iniziasse un apprezzamento che è stato via via sempre più veloce: 2,6% quell'anno, 3,4% nel 2006, 6,9% nel 2007, 4,5% nei primi mesi di quest'anno.
Il rialzo è il segno delle difficoltà che le autorità cinesi incontrano nel tenere il cambio sotto controllo: farlo crea tensioni sulla liquidità interna, perché per tenere la valuta bassa occorre "stampare" moneta e poi riassorbirla, cosa non agevole. Non a caso da novembre l'andamento della valuta è subordinato all'andamento dell'inflazione.
La Cina non è sola, tra i Paesi dell'area, ad avere questi problemi che segnano l'esistenza di tensioni all'interno di un'"area del dollaro" informale, non strutturata ma importante per tutti i suoi partecipanti, Stati Uniti compresi.
Non è allora del tutto fuori luogo immaginare che i richiami al dollaro forte, ripetuti ieri da George Bush - secondo il racconto del premier lussemburghese e presidente dell'Eurogruppo Jean-Claude Juncker - non siano solo formali. Anche se per gli Stati Uniti gestire insieme i suoi problemi - valuta, tassi, inflazione, crescita e credito - non è compito facile.
Il peso, per ora, lo sostiene tutto Eurolandia. La valuta comune è salita ieri fino a 1,5912 dollari, un record, ma anche a 80,29 pence, un altro massimo storico, in contemporanea a una flessione delle Borse europee: l'indice Dow Jones 600 è calato dello 0,5 per cento. Lo stato di salute dell'Unione appare in effetti migliore di quella di Stati Uniti e Gran Bretagna, sia pure con qualche crepa qua e là come la Spagna, l'Irlanda e, a distanza, anche l'Italia. Questo spiega la forza relativa dell'euro e l'orientamento della Bce che ieri ha mantenuto le sue posizioni "neutrali" e ha lanciato un doppio allarme: uno sull'inflazione - i rischi sono ora «chiaramente» al rialzo - e l'altro sulla crescita che potrebbe soffrire più di quanto si pensasse finora delle turbolenze creditizie.
Non sorprende allora che Trichet abbia parlato con toni decisi anche della valuta, e non solo dell'euro/dollaro. «Deploro l'eccessiva volatilità sui cambi. Ero preoccupato dai recenti eccessivi movimenti, come ho già detto, ma questo è ancora più vero nel momento in cui parlo», ha detto Trichet ripetendo poi l'impegno di Bush, del segretario al Tesoro Usa Henry Paulson e «di Ben», evidentemente Bernanke. Anche sulla sterlina Trichet ha spiegato che «l'eccessiva volatilità non è benvenuta».
La Bce non è però passata a uno stadio successivo, nei suoi interventi verbali: la parola «brutale», che avrebbe segnato un nuovo passo nell'escalation della retorica di Trichet, non è stata pronunciata. I toni del presidente sono stati però sufficienti a far tornare la valuta comune sui suoi passi: in serata era a 1,5740 e a 79,85 sterline anche a causa del rialzo di Wall Street (+0,63% lo S&P).
È una pausa di respiro, nulla più. Il calo del dollaro potrebbe continuare, scuotendo tutti i cambi. Ieri il franco svizzero e lo yen, valute "di finanziamento", sono salite insieme - e questa è una novità - al dollaro australiano e a quello neozelandese, mentre le economie con forti deficit con l'estero hanno visto tremare i cambi: Islanda, Turchia e Sudafrica innanzitutto. Gli investitori sistemano le posizioni in attesa del G-7: dirà qualcosa sui cambi?
riccardo.sorrentino@ilsole24ore.com
11/04/2008