Liu Xiaobo è morto quindi. Era stato scarcerato qualche giorno fa, malato terminale per un tumore al fegato. Aveva 61 anni ed era chiaro che non gli restava molto da vivere: gli ultimi otto anni della sua vita li aveva trascorsi in carcere per aver firmato un manifesto per i diritti civili. Fu considerato incitamento alla sovversione, e condannato a 11 anni di carcere. Era un docente e un critico letterario. E il 7 ottobre 2010 era stato nominato Premio Nobel per la Pace. Come Mandela, come Martin Luther King, come Madre Teresa di Calcutta. Persone speciali che hanno cambiato il mondo.
Leggi questa sua poesia tradotta per la prima volta in italiano da Agi China
Ma quel giorno Liu Xiaobo era in carcere e quel premio non lo ha mai potuto ricevere. Me lo ricordo bene quel giorno, perché avevo candidato Internet, ovvero i suoi fondatori, al premio Nobel per la Pace. Avevo fatto le cose per bene: avevo lanciato la candidatura, prima firmataria il premio Nobel per la Pace Shirin Ebadi e a supporto avevo portato le firme di un centinaio di parlamentari italiani; la campagna era subito diventata globale, con il supporto ufficiale di Google e YouTube; avevo organizzato una chiusura emozionante a New York, sulla Quinta Strada, con il guru della Rete Nicholas Negroponte.
Sembrava fatta, per una scelta che sarebbe stata epocale. Ma il comitato del Nobel a Oslo decise diversamente. E fece benissimo. Ricordo che mi tuffai a leggere tutto quello che potevo su Liu Xiaobo e trovai l’ultimo articolo che aveva scritto prima di essere incarcerato: diceva che Internet, per la Cina, era “un dono di Dio”. Un dono di Dio. Un’espressione che molti anni dopo ha usato testualmente anche papa Francesco.
Oggi non so se candiderei di nuovo Internet al Nobel per la Pace. Forse no. Ma resto convinto che si tratti di una straordinaria opportunità per far crescere il mondo: è una rete di persone, non una rete di computer, ormai lo abbiamo capito. Un dono di Dio, come ha detto per primo Liu Xiaobo. Sta a noi usarlo nel modo giusto. Intanto magari per mandare un applauso, tardivo ma importante, al premio Nobel per la Pace 2010.