È nato a Londra da padre inglese e mamma materana, è cresciuto a Pisa e poi a Roma, dirige la serie tv Sky I delitti del BarLume, girata all’isola d’Elba e adesso, il 25 febbraio in prima serata, sbarca in Rai con la sua prima regia intrisa di sicilianità. Il cittadino del mondo Roan Johnson (i genitori, docenti universitari l’hanno chiamato così unendo le iniziali dei loro nomi, Rosanna e Antony) , 43 anni, mette la sua firma su La stagione della caccia, il secondo film della serie “C’era una volta Vigata” tratta dai romanzi storici di Andrea Camilleri (“bottiglie d’annata dello scrittore” le ha definite la direttrice di Raifiction Eleonora Andreatta) che Raiuno manda in onda a un anno da La mossa del cavallo, campione di share con 32,3% e dopo i nuovi episodi di Montalbano.
Prodotto da Palomar con Raifiction La stagione della caccia è ambientato nel 1880 e mixa felicemente commedia e tragedia, con un cast dove spiccano Francesco Scianna, Tommaso Ragno, Ninni Bruschetta e Donatella Finocchiaro.
I protagonisti sono i nobili Peluso da Torre Venerina, signori di Vigata, capeggiati dal patriarca, il marchese Filippo Peluso, nei cui panni si è magistralmente calato Ragno, visto anche ne Il Miracolo di Niccolò Ammaniti. Quando, interpretato da Scianna, arriva in paese il fascinoso farmacista Alfonso "Fofò" La Matina, figlio di un contadino esperto in erbe medicamentose, i componenti della famiglia Peluso cominciano misteriosamente a morire, uno dopo l’altro, come ne I dieci piccoli indiani di Agatha Christie.
Chi morso da una vipera, chi di crepacuore, chi avvelenato. E visto che il filo conduttore su cui Johnson ha scelto di lavorare, spiega “è la critica al patriarcato di quei tempi”, per mettere nel suo meeting pot pure un po’ di sapore italoamericano mafioso parlando con Tommaso Ragno del personaggio del marchese Filippo Peluso, legato alla terra, al possesso e al “figlio masculo”, gli ha consigliato: “Pensa come se i Peluso fossero i Sopranos del diciannovesimo secolo e tu fossi il James Gandolfini di Vigata”.
Johnson, che ha studiato al centro sperimentale di cinematografia dove come docente di sceneggiatura ha avuto Francesco Bruni, che firma quella della Stagione della caccia con Camilleri e Leonardo Marini, ha cominciato la sua carriera come proprio come sceneggiatore. Nel 2011 al cinema è uscito il suo primo film da regista, I primi della lista, con Claudio Santamaria, seguito da Fino a qui tutto bene e Piuma. È pure scrittore che ha cominciato con la poesia (“mio padre mi ha insegnato a usarle come forma di espressione autoterapeutica, quando stavo male mi spingeva a scrivere”) e dopo i suoi primi due romanzi ora sta per pubblicare con Mondadori “La Naneide” , dove racconta i difficili giorni del suo primogenito, che oggi ha 5 anni e sta bene, in neonatologia.
Ma esistono dei punti di contatto tra l’esilarante I delitti del Barlume con Filippo Timi, tratta dai romanzi di Marco Malvaldi (Johnson sta girando la sesta serie, annunciata per il prossimo Natale) e La stagione della caccia, realizzato su un testo di un mostro sacro come Camilleri? “Si ride anche ne La stagione della caccia, ma in modo diverso”, chiarisce. “Nel Barlume ci sono punte di comicità surreale, grottesca, qui invece domina un’ironia più raffinata”. Se con Malvaldi, pisano come lui e suo coetaneo, racconta “tutto mi viene facile”, con Camilleri si è “messo al suo servizio”.
E anche il racconto del suo incontro con lo scrittore è un po’ tragicomico come il film tv: “Per me è stato come andare da un veggente, varcando la soglia del suo salotto traboccante di libri mi è sembrato di entrare nell’antro della Sibilla. Sembrava un rituale pagano, ognuno sulla sedia assegnata dallo scrittore, che mi sembrava uno sciamano. Per la prima volta ho visto Carlo Degli Esposti impaurito”, scherza, spiegando che il produttore di Palomar temeva che le sue proposte sul testo del regista non piacessero a Camilleri. “Era preoccupato e invece alla fine gli sono stato simpatico. Mi ha detto pure “bravo” quando gli ho chiesto se era giusto individuare come fil rouge la critica al patriarcato di quei tempi, con tutti i protagonisti tesi a diventare i padroni di Vigata”.
Qualche semplificazione sul testo, ricco di intrecci e personaggi, lo scrittore lo ha accettato. Ma non c’è stato niente da fare invece per il finale diverso, con la speranza di un nuovo amore e quindi più a lieto fine di quello scritto da Camilleri, che Johnson e Bruni avevano proposto. Lo scrittore non ha voluto saperne. Johnson ha girato in Sicilia per cinque settimane un raffinato film tv che avrebbe dovuto anche sbarcare, al cinema come evento di tre giorni: “Ma poi non c’è stato il tempo necessario, mi resta questo rammarico”. Si rifarà, perché si sta già parlando di un nuovo film tv su un altro romanzo storico di Camilleri.