Chi sono Thegiornalisti, la band che ha "inventato" l'indie e poi l'hai tradito

Manuale per genitori indi(e)pendenti/6 I Thegiornalisti sono stati i primi rinnegati dell’indie, i primi accusati dal tribunale internettiano di alto tradimento. E solo chi ama può odiare così tanto chi tradisce

Chi sono Thegiornalisti, la band che ha "inventato" l'indie e poi l'hai tradito

Abbiamo ormai parlato più volte di questa rivoluzione del mercato discografico rappresentata dalla musica cosiddetta Indie, chiedendoci quale sia il futuro di questi giovani interpreti. Questa settimana allora facciamo un passo in avanti raccontando la storia di chi ha dato vita davvero a questo movimento (nella sua ultima metamorfosi internettiana ovviamente, perché il circuito indipendente esiste da ben prima ma con tutt’altre logiche) tracciandone gestione e percorsi: i Thegiornalisti.
 

Chi sono Thegiornalisti

Parlare della band romana ci permette di ricordare quanto il confine tra ciò che è indie e ciò che è schifosamente mainstream si sia assottigliato fino quasi ad annullarsi. Perciò allacciate le cinture e preparatevi ad un viaggio dove si salta nel tempo come ballerini di Tip Tap; un colpo con la punta al 2009 quando si sono formati e un colpo di tacco agli anni ’80 quando andava tanto quel cantautorato italiano al quale si ispirano, un salto di qua al panorama musicale romano dove si sono imposti e che hanno rinvigorito e un salto di là ai tormentoni estivi con le guest star, un ammiccamento ai club della provincia dove si sono fatti conoscere e una giravolta verso il tour nei palazzetti che fa sold out mesi prima dell’evento.

Chi sono Thegiornalisti, la band che ha "inventato" l'indie e poi l'hai tradito
 Facebook
Thegiornalisti

I Thegiornalisti sono stati i primi rinnegati dell’indie, i primi accusati dal tribunale internettiano di alto tradimento. E solo chi ama può odiare così tanto chi tradisce, chi sculetta in tv quando lo vorremmo ancora nel club sotto casa, chi ammicca a Fabri Fibra in un video accerchiato da veline quando lo vorremmo ancora disperato per la consapevolezza di non poter mai arrivare nemmeno a parlarci con una velina, chi assume atteggiamenti da star consumata dallo showbiz mentre lo vorremmo vedere per strada preferibilmente sporco, chi si gioca il jolly dell’irritante tormentone estivo, chi si fa coccolare dai più vecchi del mainstream, fino a presentarsi a Sanremo, si, ma per far compagnia al superospite Gianni Morandi, chi si concentra quasi più sulla sua immagine social tentando la carriera dell’influencer e finisce poi pure sulla passerella di Dolce&Gabbana.

Il popolo indie avrebbe desiderato tutt’altro per loro, come un genitore apprensivo vede il figlio frequentare brutte compagnie. Solo Calcutta probabilmente è riuscito a fare il grande salto nel mainstream tenendosi stretto il suo pubblico originale, forse per questo la sua storia quasi commuove, ma c’è una grande differenza tra Calcutta e Tommaso Paradiso: il primo ha capito (o gli hanno fatto capire) che vince finché appare un perdente, uno passato di lì per caso, finché riuscirà ad allungare il brodo della favola di Cenerentola, del ragazzetto bassetto e tracagnotto che con il suo cappellino e la sua chitarrina vanno alla conquista del mondo, al secondo la parte dello sfigato non interessa minimamente, Tommaso Paradiso bramava evidentemente all’idea di poter essere un famoso, all’idea delle ospitate, della riconoscibilità del suo nome, che chissà ancora per quanto tempo legherà a quelli di Marco Primavera e Marco Antonio Musella, i due bravi musicisti che completano il puzzle, per tenere ancora su il baraccone dei Thegiornalisti.

D’altra parte, vogliamo davvero parlare ancora di Thegiornalisti?  Forse sarebbe più opportuno dare del tu alla band romana e rivolgerci direttamente a lui: Tommasone Paradiso. Tommaso Paradiso è il risultato che viene fuori se sottraete a Tiziano Ferro ed Eros Ramazzotti il pubblico sudamericano e poi dividete il tutto per un’immagine da artista indie che ha cavalcato come meglio non era possibile fare. Indie fino a diventarne prima icona e poi parodia, splendida, nelle interpretazioni de’ Le Coliche su Facebook. Per capire perfettamente il fenomeno Thegiornalisti basta rintracciare in rete un’intervista rilasciata dal loro discografico qualche anno fa, che risponde con una semplice parola a chi gli chiede conto e ragione del successo della band: onestà. È questo il segreto, ciò che rende Tommaso Paradiso l’autore Re Mida che è. Colui che trasforma in pop da classifica qualsiasi cosa tocchi, Luca Carboni moribondo compreso.

Non è che la loro musica sia particolarmente valida e non è che il pubblico sia scemo e non ne capisca nulla. Anzi, il pubblico è molto meno stupido di quanto lo si voglia dipingere quando si svaga orbitando intorno a certi insopportabili tormentoni spagnoleggianti. Il pubblico alle volte è semplicemente pigro, necessita di qualcosa di sempliciotto, immediato, qualcosa che lo distragga dal mutuo, la politica, il cristianesimo, la monogamia…ma poi, in maniera istintiva, stupefacente, distingue sempre un prodotto surgelato da un contenuto realistico. I quattro salti in padella dalla carbonara de’ nonna bella. Ecco, i Thegiornalisti sono sfacciatamente onesti in tutto ciò che producono. Ecco l’ingrediente segreto. Ciò che fanno gli piace da matti e non hanno mai avuto intenzione di fare altro. Si, hanno resuscitato il cantautorato anni ’80 alla Stadio che c’eravamo, felicemente, messi alle spalle per servircelo scaldato in salsa indipendente trent’anni dopo.

E il risultato non è stato sempre vomitevole, anzi, alle volte proprio intrigante. Fuoricampo, anno domini 2014, resta uno degli album più riusciti degli ultimi quindici anni, sicuramente nella top five di tutta questa enorme infornata di musica indipendente, e Promiscuità un brano che potrebbe fare scuola e dopo scuola alla maggior parte dei tromboni dell’odioso club del bel canto all’italiana. E che vadano a quel paese pure i rockettari a tutti i costi, i ballerini wave anni ’80, i letterati duri e puri. Ciò che fanno i Thegiornalisti lo fanno con gusto, godendosela, con una certa dose di intuizioni musicali azzeccate, producendo un pop di alto livello. Pop eh, ma di alto livello. Anzi Itpop per la precisione, e cominciate a familiarizzare con questo termine, Itpop, che in linea di massima rappresenta una nuova fascia di cantautori, che erano indie e non lo sono più, che sono quasi mainstream ma non vogliono essere confusi con la Pausini, che vanno ospiti da Fazio ma ancora pretendono di puzzare di club di provincia. Ecco, i Thegiornalisti, l’Itpop, praticamente se lo sono inventati loro. 

C’è chi gli rimprovera la nuova era partita da due città: Pamplona e Riccione, ma solo perché il pubblico tende spesso ad appropriarsi degli artisti e della loro arte, perciò vuole che le cose camminino sempre sui binari che hanno deciso siano quelli giusti. Tommaso Paradiso invece, nel ruolo di Pop Star ci sguazza che è una meraviglia. Non c’ha mai pensato un secondo a puntare ad essere un cantautore di nicchia, impegnato, gourmet. No, lui ha sempre saputo di essere un’ottima carbonara della nonna, sincero, onesto, da trattoria dove poi ti alzi appesantito, spanzato, con l’ultimo bottone del jeans slacciato, felice e avvinazzato. Non basterà poi lo sciacquone, dovrai chiamare i Ghostbusters per disinfestare il bagno di casa. Ma ciò non rovinerà la soddisfazione.

In autunno è atteso il prossimo album della band, anticipato da Questa nostra stupida canzone d’amore pezzo che in bocca si mastica come il pollo senape e miele del greco sotto casa, che non capisci perché ma continui a mangiare nonostante quel vago senso di nausea. Forse perché contiene nel testo il più bel complimento che un uomo possa concedere ad una donna: “Sei la nazionale del 2006” o forse perché il pop, quando fatto come si deve è così, ti prende. Punto. E da Felicità puttana, il singolo attualmente in classifica, quello con il quale i Thegiornalisti veleggiano alla conquista dell’estate. Quello che le vostre figlie sulla scia del video con la brava e bella Matilda De Angelis, ballano asciugacapelli in mano davanti allo specchio e sotto la doccia. Brano che strizza l’occhio, di nuovo eccessivamente tipo la sopracitata Riccione, al tormentone, operazione stavolta riuscita male, dato che il pezzo, rispetto all’ode per la capitale dell’estate romagnola, ha qualcosa di decisamente più sincero da dire.

Tommaso è felice, è evidentemente felice, talmente felice da riderci insieme alla sua gioia, chiamandola, solo affettuosamente, puttana. Amandola per essere arrivata nella quantità e modalità esatta che ha sempre evidentemente sognato. Un brano che entra in classifica e ci resta, ma non tocca mai l’apice. La cosa che però non si capisce e che ci lascia particolarmente dubbiosi è: che ci troverà mai di bello Tommaso Paradiso nelle note vocali di dieci minuti e nella birra che si scalda in fretta. Siamo noi che siamo troppo poco indie o troppo vecchi se pensiamo che siano due delle cose peggiori che possano capitare ad un essere umano?

Forse è questo in fondo il segreto del successo di Tommaso Paradiso, la sua estrema gioia nell’essere Tommaso Paradiso, il che non fa necessariamente di lui un presuntuoso sbruffone, ma anzi l’esempio che se si procede nella vita con onestà, inseguendo in maniera semplice ed efficace ciò che piace, si può dar senso alla propria esistenza. Forse è per questo che lui può dare della “puttana” alla felicità e a noi comuni mortali non ci si fila. O forse è semplicemente così che va il mondo, si divide in chi è infelice e chi è Tommaso Paradiso.

Questo essenziale manuale è rivolto a quei genitori che non vogliono restare indietro, che vogliono capirci di più del mondo dei loro figli attraverso ciò che, come accade per tutte le generazioni, li crescerà e formerà più di quanto loro, mammà e papà, ne avranno mai capacità e potenzialità. La musica. La loro musica. Prima di partire allacciate bene le cinture, mettete da parte i vostri dischi dei Beatles, Adrianone Celentano, Mina e Battisti, la tv in bianco e nero, Berlinguer, e ogni vostro singolo pregiudizio su quanto tutto ciò che avete vissuto e ascoltato voi fosse infinitamente più “giusto” del loro e, già che ci siete, eliminate per sempre anche l’utilizzo del termine “giusto”, che non credo abbia mai significato alcunché a parte tirare una linea rispetto a ciò che è “sbagliato”. Antitesi che potrebbe contribuire non poco a formare una generazione di iscritti a Casa Pound.



Se avete correzioni, suggerimenti o commenti scrivete a dir@agi.it