Da Antonacci a Piotta, le nostre recensioni delle nuove uscite discografiche
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Da Antonacci a Piotta, le nostre recensioni delle nuove uscite discografiche

Da Antonacci a Piotta, le nostre recensioni delle nuove uscite discografiche

Gabriele Fazio
Paola & Chiara
Paolo Santambrogio 
- Paola & Chiara
di lettura
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Biagio Antonacci feat. Benny Benassi – “Tridimensionale”: Benny Benassi accelera Biagio Antonacci verso la direzione che ha evidentemente scelto di seguire, ovvero quella della negazione del tempo che passa, sindrome ormai molto in voga tra gli artisti della sua generazione, che piuttosto che mettere in musica la propria fisiologica maturità, decidono di provare invano a tirare per la coda attimi di giovinezza. Ma, bisogna dirlo, mentre le precedenti sperimentazioni hanno quasi rischiato di ridicolizzare la figura di un cantautore di indubbio valore, questa “Tridimensionale”, pur sfogando attimi di cafonaggine dance, è proprio divertente. Luchè – “DVLA Vol. 2”: Luché, uno dei pilastri della storia del rap partenopeo, artista in grado di percepire come pochi della sua generazione la rivoluzione all’interno del suo genere riuscendo a stargli dietro in scioltezza, allunga il suo già splendido “Dove volano le aquile” con tre nuovi bellissimi brani. “Niente”, in cui la cazzimma napoletana ti esplode letteralmente in faccia, “Non siamo uguali” che vanta la collaborazione con CoCo, che aggiunge pillole di sonorità sofisticate davvero entusiasmanti e la divertente “Rispetta il Re”. Tutto corretto al millimetro, tutto trascinante, tutto in linea con “Dove volano le aquile”, ascoltando, sospettiamo, molto in alto. Mr. Rain feat. Sangiovanni – “La fine del mondo”: Dimenticabilissimo poppettino surgelato con le solite vocali sbagliate di Sangiovanni che, tra l’altro, ricorda molto più che vagamente “Panico” di Lazza. Interessante la metafora sulla fine del mondo, nel senso che questo pezzo ne sarebbe degna colonna sonora. Ex-Otago – “La fine”: Bizzarro che il brano che segna il ritorno degli Ex-Otago dopo ben quattro anni di silenzio, in pratica un nuovo inizio, si intitoli “La fine”. Non si parla della loro di fine infatti, ma di quella del mondo, visto attraverso gli occhi di una coppia costretta a fare i conti con il tempo che sta per scadere e comunque, di base, una lucida speranza nel cuore. La band genovese decide di raccontare tutto con un suono uptempo che ti acchiappa per la gola, che quasi ti soffoca, che nonostante la quasi “ballabilità” in realtà ti comunica un profondo senso di tragedia, di dramma, una sorta di affascinantissima mini follia, come uno che ride sguaiatamente per farti capire che non ci sta niente da ridere. Mancavate. Bravissimi. Paola & Chiara – “Per sempre”: La verità è che questo recupero di Paola & Chiara altro non è che il segno della decadenza della musica italiana, infatti le sorelle dell’insulsa canzonetta pop anni ’90 in questo contesto di vuoto sempre più totale, accecante e preoccupante ci calzano proprio a pennello. Tra l’altro “Per sempre”, che è la percezione della durata di questa esplosione di orrenda leggerezza, è in pratica un’autocelebrazione del nulla cosmico, un modo di rifilare a quella generazione che ha scoperto Paola & Chiara all’ultimo Festival di Sanremo hit del passato riciclate con ospiti di lusso; un’operazione che di artistico non ha nulla, musica che non è musica, ma solo la colonna sonora di una serata a Porta Venezia. Potevamo recuperarci artisti di gran valore e colpevolmente messi da parte perché non in linea con la moderna concezione di coolness, e invece ci toccano Paola & Chiara, che disastro, i prossimi chi saranno? I Ragazzi Italiani? Le Lollipop? Mah. Di “Per sempre” salviamo giusto “Amici come prima” con Max Pezzali, ma solo perché in fondo siamo dei sentimentali. Achille Lauro feat. Rose Villain – “Fragole”: Reggae poppizzato leggero e intrigante che riflette, finalmente, l’autentico spessore di Achille Lauro, artista a cui piace vendersi come poeta maledetto ma altro non è che un qualsiasi prodottino commerciale venduto a chi di poesia e maledizione non capisce alcunché. Invece quando si lascia andare all’allusione leggera, magari accompagnato da una super artista come Rose Villain, tutto improvvisamente quadra e non può essere un caso. Quindi, lasciamo da parte rose sul petto, quadri, fumogeni in faccia agli sprovveduti, e seguiamo questa strada che sembra la più corretta; “Rolls Royce” docet. Piotta – “Tutti a…”: Mina carica di ironia, complessa nella costruzione all’incrocio con un funky delizioso e trascinante. Tutti a quel paese, chi ascolta il pezzo, chi lo compone, senza cattiveria, anzi, quasi come valida opzione; il ritorno di Piotta, autore vero, autore a parte, non dentro la scena rap, non dentro la scena pop, dentro se stesso però, pienamente presente rispetto la propria autentica idea di musica, che guarda ad altri, chiaro, perlopiù americani, da cultore talebano della materia musica quale è, ma sempre poi riportando tutto nel proprio mondo, nella propria dialettica, nei propri suoni. Se a quel paese si suona roba di questo livello, quasi quasi controlliamo gli affitti… Studio Murena – “WadiruM”: Tutto fa musica, suoni, rumori, il puro istinto, come nella migliore tradizione jazz, e sembra questa la materia prima degli Studio Murena, in assoluto uno dei più intriganti progetti musicali venuti fuori negli ultimi anni. Se l’idea del rap sdraiato su sonorità jazz può sembrare puro cibo per radical chic, in realtà è prioritario sottolineare quanto in realtà parliamo di rap che colpisce forte e sotto la cintura, che tiene fortemente in considerazione le tematiche sociali, che mantiene un flow cazzuto, intraprendente, sofisticato ma totalmente accessibile. In generale però preme far capire, per quanto parole siano in grado, è chiaro, quanto questo disco sia speciale, come approccio artigianale alla musica, come proposta in termini stilistici e di originalità, nel senso che quello che fanno gli Studio Murena, come lo fanno gli Studio Murena, lo fanno solo gli Studio Murena; e poi come sensazione di impegnare il tempo con senso, trattandosi bene, come se fosse una spa per il nostro cervello, roba che concludi l’ascolto e ti senti rigenerato. Auguriamo di cuore “WadiruM” alle nostre persone più care, fatelo anche voi, vi ringrazieranno. Chiello – “Puoi fare meglio”: Attitudine punk e cuore di panna, chiello è un cantautore inaspettato, che ti credi voglia solo vomitare fuori il proprio ego, completare, cantando quattro parole in croce, ciò che già racconta il suo aspetto da maledetto. E invece no, ma proprio no, ma proprio per niente, i suoi brani trasudano una sensibilità incandescente, che brilla di umanità, che stordisce per la spudorata onestà, una poetica favolosa ed equilibrata, cupa e disintossicata dai trend discografici. Bravissimo. Calibro 35 – “Gun Powder”: I Calibro 35 non deludono mai, questa “Gun Powder” è talmente coinvolgente che ti fa sentire il protagonista di un film d’azione, la ascolti e ti vien voglia di correre per strada per provare a salvare il mondo. Cari cattivi, vi salvate che da queste parti più forte delle sensazioni suscitate dalla musica c’è solo la pigrizia, altrimenti, con ‘sta musica nelle orecchie sarebbero cavoli vostri. Entusiasmante. Eccellente. Indubbiamente superiore. Dylan – “Love Is War”: Dylan, ei fu il Pyrex della Dark Polo Gang, punizione musicale divina per chissà quale colpa atavica ci tocca scontare, debutta da solista con ben quattordici brani; segno che le cose da dire erano tante. E invece no, di cose da dire dentro ce ne sono pochissime, è anche vero però che i singoli che hanno anticipato questo lavoro ci avevano preparato al peggio, invece nel mezzo di un disco fatto perlopiù di brani inascoltabili, ci sono dei pezzi passabili (“Un’altra guerra”, “L’inferno nella stanza”) e uno perfino molto interessante (“Aurora”). Stringi stringi parliamo di canzoni davvero sottili, davvero poco significative, che mettono davvero in evidenza la pochezza di una non opera, che se anche c’era qualcosa da dire manca totalmente la capacità di dirla. Impreparato. Giuse The Lizia – “Amare” / “Erba”: Giuse The Lizia è una delle migliori opzioni quando si è giovani e si cerca nella musica qualcosa di significativo; questo perché le canzoni sono oneste, totalmente accessibili e calibrate con garbo ed intensità. Poi però piacciono anche ai grandicelli, perché si fanno ascoltare bene, perché la costruzione del testo, ma, facendo un passo indietro, più in generale del pensiero dietro l’ideazione della canzone, in quanto a struttura, scelta dei vocaboli, vivacità degli intenti, è travolgente. “Amare” ed “Erba” completano “Crash”, il primo disco di Giuse The Lizia, due tasselli che non sapevamo mancassero, perché il disco ci era già piaciuto così com’era, ma che accettiamo e ringraziamo sentitamente per il pensiero, specialmente “Erba” sarà ascoltata e riascoltata. Angelina Mango – “Ci pensiamo domani”: Quella che è nettamente l’unica cantante credibile di questa edizione di “Amici” propone un singolo che gode della firma di Filippo Uttinacci, ovvero Fulminacci, ovvero il più sbrilluccicante dei giovani cantautori attualmente in attività in Italia. La sua impronta si sente, si percepisce quella poetica per raccontare la semplicità delle nostre vite e la capacità di far risuonare le parole all’interno di un brano. La Mango ci mette di suo una buona interpretazione, misurata e divertita; non sarà una canzone che ci rivolta la vita come un calzino ma si fa ascoltare con gusto. Alfa – “Bellissimissima <3”: A noi sembra normale che se ci si mette in otto per scrivere una canzone, poi la canzone debba essere perlomeno decente, perché passa sotto otto nasi, nove se si considera ROOM9, il producer, quindi pensiamo che in questi casi, qualora il brano provochi irritazioni acustiche, almeno uno alzi la mano per dire “No, raga, non possiamo fare uscire ‘sta roba!”; ma siccome capita spesso che otto, nove, ma anche dieci o più persone non riconoscano l’improponibilità di certi brani, allora noi ci teniamo lo stupore per questa “Bellissimissima <3”, che solo per il titolo avevamo intenzione di fare a pezzi. E invece dobbiamo alzare le braccia, Alfa, artista che consideriamo quasi sempre eccessivamente leggero nei propositi musicali, butta giù un brano molto divertente, sensato nella costruzione della narrazione, ispirato dal punto di vista musicale (tanto che ci riconosciamo dietro l’ironia di un certo primo Daniele Silvestri) e molto centrato nell’interpretazione. Titolo a parte, che continua ad essere un insulto per qualsiasi alfabeta, un gran bel lavoro. Ensi e Nerone – “King Kong Vs Godzilla”: Un’esplosione di parole, un incontro di boxe tra due pesi massimi della scena rap italiana, in mezzo, ad arbitrare, ad orchestrare, a produrre, Salmo. Basterebbe questo per rendere l’idea di che bomba di pezzo è questo “King Kong Vs Godzilla”, ma la verità è che la realtà supera la fantasia e quanta energia sprigiona il pezzo lo si può capire solo cliccando play e godendosi questo letale colpo di pistola alla tempia. Yung Snapp feat. Lele Blade e Icy Subzero – “Sincer”: Brano valido, scritto benino, parla di quei sogni infranti quando una storia finisce, il problema è che nella giungla discografica dentro la quale i brani vengono sguinzagliati è ormai necessario rendersi memorabili, distinguersi, in qualche modo indispensabili. “Sincer” è un buon brano, Yung Snapp è un ottimo producer e per questo lavoro ha convocato due campioni indiscussi come Lele Blade e Icy Subzero, ma non parliamo sicuramente di un brano indispensabile; al massimo non disturba, che è già un risultato considerata la quantità di brutture che tocca ascoltare ogni settimana, ma si può fare meglio. Avincola – “Barrì”: Brano di ottima fattura che potrebbe rappresentare l’exploit di Avincola, non solo perché Avincola è bravo, anche perché lo è sempre stato, ma anche perché in questa “Barrì” regge con una scioltezza impressionante il confronto con Pasquale Panella, che firma con lui il pezzo; per chi dormisse da quarant’anni parliamo dell’autore che ha accompagnato Battisti nella seconda e ultima parte della sua carriera, quella post Mogol, tra l’altro per molti (tipo per chi scrive) la migliore. “Barrì” è entusiasmante, complessa, eterea eppure ficcante, Avincola non rinuncia ai colori della sua musica, ma li incastra in un pezzo che avrebbe potuto serenamente cantare Battisti, ma lo canta Avincola e lo canta benissimo come lo avrebbe cantato benissimo Battisti; non è una questione di paragoni, figuriamoci, è una questione di approccio artistico, sincero, amorevole, alla materia canzone, un approccio sempre più perso nei meandri delle mega produzioni computerizzate, e ritrovarlo in un giovane artista ci regala attimi di sostanziosa speranza. Grazie. Lorenzo Fragola e Mameli – “Crepacuore”: Forse i brani in sé andrebbero messi da parte, “Crepacuore” è un disco che ha svariati punti di vista più importanti da evidenziare, ci racconta una storia ben più interessante; quella di un ragazzo, Lorenzo Fragola, che raggiunge il successo grazie ad un talent e viene condannato a canzonette pop che illuminano il cielo delle classifiche italiane come un fulmine, intensamente e solo per un attimo, e poi, per motivi personali, scompare dai riflettori e viene quasi dimenticato da tutti, tranne che da un amico, Mameli, con il quale inizia un percorso musicale comune che rappresenterà non solo la rinascita di Fragola ma anche probabilmente il suo migliore lavoro in assoluto. Mai stato così centrato, così efficace, questo perché “Crepacuore” è un disco pensato, composto, realizzato, non per scalare le classifiche ma per il puro amore di due ragazzi per la musica, quella vera, quella capace di fare incontrare due persone, di salvare la vita, di riacchiappare le speranze che esista qualcosa di bello e di significativo, a prescindere da quanto renda in termini di soldi e follower. I brani di “Crepacuore” sono tutti solidi e gradevoli, non ci sono hit e non importa, importa di più il lieto fine, importa dimostrare che la musica può ancora essere elemento che va oltre il mero e stupido intrattenimento. Quindi bravissimi. J Lord – “Addo staje”: Litania concentrata, ipnotizzante, pennellate oscure e decise per disegnare i contorni di un disagio che tramite la musica si materializza davanti ai tuoi occhi con inquietante tangibilità. Che botta. Wow. Leon Faun – “Profezia”: Un crescendo drammatico e coinvolgente, intimo, vivace, da cantautore vero. Leon Faun si conferma il fenomeno vero che è, con una spiccata sensibilità che gli permette di guardare al mondo con la poesia e la lucidità di pensiero necessari quando si fa una cosa, in questo caso la musica, che prevede un percorso che arrivi agli altri. Ecco, Leon Faun ci arriva e ci arriva forte e il suo passaggio lascia strascichi di profondità con la quale, volente o nolente, ci tocca fare i conti. E va bene così. Bravo. Ludwig – “La stessa cosa”: Trash che riflette un vuoto cosmico che non riusciamo nemmeno ad immaginare come poter colmare. Spiegazione elementare: una canzone può essere una hit, se scrivi una canzone inseguendo la hit alla fine può finire in due modi e due soltanto, o il giochino ti riesce e fai una roba funzionante, una hit appunto, ma plastificata o pubblichi una canzone che si fa fatica pure a chiamare canzone. Ecco, diciamo che con “La stessa cosa” il giochino non è riuscito. Kid Yugi – “Quarto di bue”: Parole che si intrecciano come filamenti di DNA, rap cattivo nonostante una evidente immaturità in termini di contenuti, ancora spesso deviati verso inutili machismi da gangster. Però c’è un’idea ed è un’idea ben precisa, maturando Kid Yugi potrebbe fare ciò che a Guè (tra l’altro uno degli ospiti dell’EP) non è mai riuscito: essere credibile. Wax – “Anni 70”: Diremmo che si tratta di un brano di una bruttura d’altri tempi, solo che in tutta onestà, ora come ora, su due piedi, non ci viene in mente un tempo in cui si pubblicavano brani così brutti. Sound volgare, una narrazione talmente minuscola che non arriva oltre il naso di chi canta, che non solo non significa alcunchè per chi ascolta ma che non ne ha, è evidente, nemmeno l’intenzione. Una roba talmente leggera da essere inesistente, una roba che anche a volersi concentrare per farla così brutta difficilmente ci si riuscirebbe; arrivare alla fine della canzone è una tortura medievale. Ma come si fa? Ma soprattutto: perché? Tredici Pietro e Lil Busso – “Bro + Bro”: Il tema dell’amicizia affrontato con un approccio decisamente street e questo è molto interessante. Interessante anche il carattere, l’interpretazione di Tredici Pietro e Lil Busso, molto giusta, molto azzeccata. Il brano in sé però è scoordinato, musicalmente molto debole, senza particolari guizzi, l’abbiamo ascoltato e probabilmente non accadrà mai più. Mox – “Sale”: Mox è uno di quei cantautori capaci di aprirti in due con un pezzo, di trovare parole per parlare di te che nemmeno sapevi esistessero o comunque non pensavi potessero accarezzarti con tale amore. “Siamo fatti di sale…”, quindi piccoli, frammentati, necessari e potenzialmente pericolosi; “…di risate di cuore…”, ostinati nella ricerca di una felicità che si esaurisce in una smorfia; “…e di troppe parole”, vacui nelle intenzioni, perduti nelle nostre trame, drammatici nei nostri inciampi. Ci affidiamo alle parole degli altri per scoprire angoli bui di noi stessi e trovare il coraggio di affrontare gli altri, altri come Mox, perché le sa tenere in piedi le parole, forte di una maturità nella scrittura che si fa sempre più impegnata e viva e di valore. Mox si conferma cantautore straordinario, la sua capacità di guardare al mondo con poesia è stupefacente e necessario. Che bello che ci sono artisti come Mox in giro. 8blevrai – “Fidèle”: Marracash in una recente intervista proprio con l’AGI, proprio con chi vi scrive, ha dichiarato che il futuro del rap sono i ragazzi di seconda generazione. Tra questi 8blevrai è uno dei più interessanti, uno di quelli in grado di raccontare una storia dura senza cascare in stupidi cliché, mantenendo una solida credibilità, cosa che accade anche in questa “Fidèle”. L’impressione è che da questo ragazzo ne sentiremo delle belle. Sethu – “Mare di lacrime”: Sethu si conferma artista con uno stile tutto suo, capace di utilizzare e bene sonorità vintage, quindi contemporanee con ispirazione retrò, per confezionare la propria idea di cantautorato. “Mare di lacrime” è divertente e drammatica allo stesso tempo, viene cantata con questo apparente distacco sempre sull’orlo di un’esplosione che non avviene mai, un equilibrio particolare e affascinante. Bluem – “Nou”: Cantautorato tech, minimal, che fa vibrare il cuore, che innalza l’anima; Bluem si conferma cantautrice visionaria, avanguardista, futurista, dallo sconfinato talento. Suoni, distorsioni, lingue, parole, si susseguono come in un puzzle in cui l’immagine giusta compare solo quando i pezzi sono sbagliati, che vive di una scoordinazione che si adagia su sonorità contemporanee di altissimo livello, altissimo gusto. Non un solo pezzo sbagliato, tutto fila liscio in un susseguirsi di commozione e ipnosi, musica che ti trascina per le orecchie in un altro mondo, un mondo in cui la musica è una roba seria. Santachiara – “La strada più breve per tornare a casa”: Un disco davvero molto molto divertente. Santachiara col suo grande carattere propone pop scorrevole ed incisivo, stiloso, vivace e gustoso in un disco perfetto e fortemente funzionale in termini di contemporaneità, di quello che, insomma, va forte oggi, ma senza puntare ad un target, magari teen, o rinunciare alla volontà di dire qualcosa, ad una narrazione chiara che ti accoglie e ti abbraccia; quando le canzoni finiscono e ti viene la voglia di ricominciare. Bravo. No, bravissimo. The Andre – “Signora mia”: Inutile sottolineare che la straordinaria somiglianza della voce di The Andre con quella di De André se all’inizio ha aiutato, perlomeno finché reggeva il gioco di ascoltare su YouTube, Faber a cantare i trapper, nel momento in cui poi la proposta è diventata originale, gli si è rivoltata contro. Ed è un gran peccato perché nelle canzoni di The Andre c’è gusto e c’è significato, questa “Signora mia” è carica di ironia, è radiofonica, è trascinante, ma con quella voce lì tutti diventa meno credibile e non ci si può fare proprio niente. Ma è sicuramente un pezzo molto valido e The Andre un ottimo artista. Filo Vals – “Ballerina”: Timbro intenso, graffiato, pungente; brano ricco di guizzi, di trovate, di idee; narrazione chiara, precisa, solida. Il problema è che non ti entra dentro, non ti affezioni a questa ballerina, di conseguenza di ciò che succede te ne frega pochissimo. Non è un no, non è nemmeno un si convinto, sappiamo solo quello che non è. Davide Diva – “Oggi, domani, per sempre”: Un disco davvero ben fatto, canzoni d’autore vere, tutte che toccano in punta di fioretto, che pungono, che stimolano ora i ricordi, ora le storie, ora gli amori, ora il futuro, tutti argomenti caldi che Davide Diva con la sua visione classica del cantautorato, ma senza negarsi sonorità moderne e accattivanti, spacca letteralmente in due. Ma c’è una cosa che rende “Oggi, domani, per sempre” davvero speciale ed è il rispetto con cui la materia prima, parole e musica, viene trattata, la fantasia con cui Diva colora i suoi brani, la voglia di andare in profondità, di non fermarsi sulla superficie delle sue umani storie; una cosa, parliamoci chiaro, che non rende in termini di popolarità, in un mondo in cui la superficialità viene inseguita con famelica bramosia. A tutto ciò Diva risponde con la delicatezza di chi ha l’urgenza di scrivere canzoni splendide come “Castelli di sale”, “Ex”, “La vita a volte” o “Centrale nucleare” (pezzone!) e per questo atto eroico, rivoluzionario, gli dovrebbero intitolare vie e scuole medie. Assurditè – “Figlie della luna”: Moderna, cool, intrigante, divertente, Assurditè ha tutto e questa “Figlie della luna” è impossibile da tenere fuori da ogni nostra singola playlist. Aaron – “Visione led”: Brano divertente, niente di memorabile, anzi si tratta di pop abbastanza poverello che non punta a dire nulla, ma apprezzabili le idee, il taglio, le intenzioni; insomma lo ascolti e non ti viene voglia di spalmarti l’orecchio su un ferro da stiro fumante. The Niro – “Un mondo perfetto”: Ci manca assai The Niro, cantautore dallo strepitoso talento, dal gusto raffinato e dalla delicatezza sconfinata. Ci mancherebbe anche se vivessimo una parentesi di tempo piena zeppa di grandi cantautori, invece “Un mondo perfetto” in questo deprimente tempo di non musicisti in classifica, della musica ostaggio di Instagram e TikTok, ci arriva come un raggio di sole, una strizzata d’occhio del buon Dio, il suono che ha la speranza di vivere un’altra stagione di grandi canzoni. Grandi canzoni come quelle di questo disco, che ti accarezzano le orecchie, ti strappano un pezzo d’anima, ti innalzano a tal punto da farti sentire alla fine una persona migliore. Perché questo fa la musica buona, così come i buoni film, i buoni libri, i bei quadri…ti migliorano come persona, ti arricchiscono, ti gonfiano la mente. The Niro con questo album si mette sulla scia dei grandi songwriter americani, quelli sono i riferimenti, una roba della quale noi avremmo un gran bisogno e che resta colpevolmente offuscata da un oblio ingiusto. Giacomo Lariccia – “Sempre avanti (dieci)”: No no, ma continuiamo a celebrare ‘sti ragazzetti della tv, pop star che scimmiottano gli americani, rapper che giocano a fare in gangster, e poi i musicisti veri, quelli che compongono in maniera straordinaria, tentando di proporre un concetto musicale, legato ad un genere, legato alla stesura di un testo con cognizione di causa, li lasciamo ai margini, in pasto ad uno sparuto gruppo di nerd, nella periferia della periferia della discografia. Come Giacomo Lariccia, che compone canzoni splendide, che è uno splendido chitarrista, che in questa “Sempre avanti (dieci)”, per dire, sull’onda di una sorta di affascinante country, letteralmente incanta con un cantautorato, riprendendo le redini, ormai abbandonate (non perse, abbandonate) della nostra più fulgida tradizione, Fossati sopra a tutti. Mi raccomando, continuate così, impoveriamoci sempre di più, vedrete che ricchezza le nostre vite quando nelle orecchie ci gireranno solo spot pubblicitari fluttuanti di ciò che una volta chiamavamo musica. Angelica – “Milano Mediterranee”: Con un italica dance proposta con un buon gusto minimale e un’interpretazione fortemente femmina, sensuale ed impertinente, Angelica punta il dito contro la sua Milano, senza farle sconti, pur mostrando un’evidente affezione, pur amandola profondamente, portandola in punta di lingua. Si tratta senza dubbio di un buon brano, tra i migliori che vedono protagonista Milano. Galoni – “Cronache di un tempo storto”: Molto intrigante osservare il mondo attraverso gli occhi del bravissimo Galoni, perché attraverso le sue canzoni ci possiamo leggere la vita, addirittura potremmo dare una direzione, prendere una parte, sicuri che sia quella giusta. Potere dei cantautori, che ci incantano come topi e, per fortuna, non vogliono portarci fuori da nulla, da nessuna parte, solo, quando sono bravi, e Galoni, ripetiamo, è bravissimo, a scavare dentro noi stessi. Non a caso il disco si intitola “Cronache di un tempo storto”, perché i brani altro non sono che cronache e questo tempo è storto, storto veramente, forse non sarà una bella canzone a raddrizzarlo, forse nemmeno undici, quante sono le canzoni di questo disco, ma certamente serve qualcuno che ci costringa a riflettere su ciò che stiamo facendo. Quello le canzoni lo possono fare e quelle di Galoni sono di un livello sopraffino, abbandonatevi dunque a “L’esercizio fisico di piangere”, “Mare Magnum”, “Sui piani alti di un palazzo”, che sono quelle che ci hanno incantato, date una possibilità al vostro spirito di migliorarsi, aprite un varco di poesia dentro di voi; dopo starete meglio e se non starete meglio allora vuol dire che siete già morti, condannati ai sangiovanni e gli Amici di Maria De Filippi per tutta la vita, e ve lo sarete meritati. Luv! feat. Zeep – “Mille volte”: Di nuovo colorata, con quella voce graffiata così accattivante e la penna che punta sempre allo specchio, verso se stessa, senza facili protagonismi, mettendosi in discussione, rendendo così l’ascolto sempre accogliente, confortante, facile, ma non superficiale, facile come facile è ascoltare le belle canzoni quando sono belle e le sue sono delle vere mine. Parliamo di Luv!, cantautrice sarda da tempo già nei nostri radar, che a poco a poco si sta facendo largo in questo casino mortifero che chiamiamo discografia portando un po' di se stessa, con qualche inedito accenno R&B e accompagnata dal bravo Zeep, con un altro pezzo convincente, e ormai sono sei, tutti azzeccati, in un universo musicale che lamenta la mancanza di voci femminili e quando ci sono sono Elisa o cloni di Elisa, bisognerebbe prestare più attenzioni a giovani fenomeni come Luv!, non per dare una possibilità a lei, ma per dare una possibilità a noi di ascoltare roba di qualità, pensate e prodotta con il cuore, con autenticità e che poi, anche per questo, molto piacevole da ascoltare. Eccellente. Where Is Wang – “Too Many Lines”: Un vento piacevole ti accarezza il viso, ti bacia in bocca, è questo arpeggio di chitarra e il battito del cuore della batteria che ti fa fare si con la testa, come se istintivamente ti venisse da sottolineare come tutto risulta corretto. E poi nel ritornello il pezzo si fa etereo e ti trascina su, senti mancarti la terra sotto i piedi, a tirarti giù ci pensa il rock dell’ultima parte della canzone, senza parole, che mica servono alle volte. L’idea di un rock così trascinante, narrativo, dei Where Is Wang cresce a vista d’occhio, niente che possa anche solo minimamente interessare al mercato italiano, sempre così ancorato all’italica melodia, che niente niente accenni mezzo accordo storto sei bollato come rivoluzionario e rischi la fustigazione in prime time sulla Rai in diretta dal Teatro Ariston, costretto, tipo “Arancia meccanica” ad ascoltare senza sosta per tre mesi l’intera discografia di Al Bano. Per fortuna c’è chi se ne frega. Bravi.

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