M a voi lo sapete cos’è la Cumbia? Immaginiamo che in pochi abbiano alzato la mano. Se si pensa al Sudamerica prima della Cumbia vengono in mente molti altri balletti. Spagnoleggianti, vuoti e allegrotti. Mortificano le nostre estati brillocce, facendo sbiascicare canti ad orde di ragazzetti che non hanno la minima idea di cosa stanno dicendo.
Forse è da questo riflesso che deriva una fascinazione irresistibile per la Cumbia: ti aspetti una cosa ed è tutt’altra. Forse è la declinazione elettronica che sta spopolando a renderla più accattivante rispetto a tutti gli altri suoni sudamericani finora incontrati. Sta di fatto che una volta nel vortice, non se ne può più fare a meno.
La Cumbia rovescia la visione di tutta la musica proveniente da un continente e in qualche modo quella della tua vita. Non è un caso se nelle prime pagine de’ “Il Cammino della Cumbia” Davide Toffolo si disegni letteralmente al contrario. Questo perché l’ascolto della Cumbia lo ha “ribaltato”, così non ha altra scelta, per raddrizzare la propria vita, e anche la propria immagine, e considerato che parliamo di Davide Toffolo, fumettista e frontman dei Tre Allegri Ragazzi Morti, tutto ciò assume un senso decisamente più tangibile, di partire direzione SudAmerica per scoprire le radici di questa musica magica, questo sortilegio benefico che conquista senza alcuna pietà.
Il libro, stupendo oltre che nell’arte di Toffolo che, come al solito, è sempre più raffinato e distrattamente epico nel suo tratto (nel senso che lo è senza l’apparente volontà di esserlo, il che raddoppia l’effetto), racconta un’avventura vissuta davvero dall’artista, che mette insieme, non può proprio farne a meno, due facce della propria esistenza, quella da scrittore e quella da musicista. Un libro che in Italia solo Toffolo è in grado di scrivere e di scrivere così bene. Ma per farci spiegare qualcosa in più lo abbiamo sentito:
Il mio primo approccio con questa musica è stato al concerto dell’Istituto Italiano di Cumbia alle Terme di Diocleziano a Roma…
La navicella madre
(Sembra una battuta mollata lì per caso, invece no, il suddetto Istituto è l’unione di nove, tra artisti e band di nove città italiane differenti, tra i quali ovviamente anche lo stesso Toffolo, che portano in giro questo spettacolo (riassunto anche in una compilation favolosa) per spiegare a colpi di danza frenetica e travolgente cosa diavolo significa Cumbia).
….ma ancora la conoscono in pochissimi, forse perché ci si aspetta qualcosa di classicamente sudamericano, ma non è così.
La Cumbia è nata in Colombia 500 anni fa, quindi certamente ha a che fare col Sudamerica, è una musica migrante, che si è trasformata e che ha vissuto tanti momenti diversi in nazioni differenti. In questa ultima forma ha una contaminazione forte anche con l’elettronica e per questo motivo risulta anomala rispetto a quello che c’è in giro. Però è forse la musica sudamericana più sudamericana, nel senso che è quella che ha avuto lo spostamento sul territorio più lungo.
Tu sei un fumettista, ma sei anche leader di una band che non fa Cumbia. A un certo punto però la scopri e, come appari nelle prime pagine del tuo libro, ti ribalta. Ma cosa ti ha colpito di questo genere?
Tutte le volte che si incontra qualcosa di spiazzante non si sa precisamente cosa succede. Sicuramente il suo esotismo, il fatto che sia una musica rimasta marginale, una musica che ha avuto dei sostenitori in ambito punk come Joe Strummer per esempio, che in qualche modo me l’hanno avvicinata (in un disco che si chiama “Sandinista!” ci sono degli episodi di Cumbia e poi lui ad un certo punto della sua carriera ha dichiarato che la musica di Andres Landero, che è un grande acordeonista cumbiero, quello che ha portato la Cumbia in Messico, per dire, è “la musica definitiva”). Per cui ci sono dei motivi che hanno a che fare con i miei gusti precedenti, però è anche vero che quando uno si innamora, chi lo sa?, sarà per l’odore o i feromoni, dicono…
Tu riesci, probabilmente caso davvero unico in Italia, ad essere davvero doppio nelle manifestazioni della tua arte, la musica e il fumetto. Ma in quale forma ti senti davvero te stesso?
(Ride) Io sono doppio, mi sento me stesso quando posso farle tutte e due. Chiaramente non si possono fare spesso contemporaneamente tutte e due, perché quando sei su un palco è un conto, quando stai a disegnare sei a casa e sei da solo. Ci sono stati degli esperimenti che ho fatto per mettere insieme queste due cose, alcuni esperimenti di Live-Painting (che adesso li chiamano “concerti disegnati”), abbiamo cominciato al MiAmi una quindicina di anni fa ad immaginare questa forma per tenere insieme musica e disegno. Per quanto riguarda me non riesco a fare a meno né di una cosa né di un’altra, questo è sicuro. Quindi per ora è così: funziona che quando disegno per troppo tempo mi viene voglia di fare il cantante e, viceversa, quando canto troppo l’unica cosa che mi manca è disegnare. Però non è un problema, ultimamente tento di tenere solo gioia, zero problemi.
Mi sembra un’ottima prospettiva. Questo libro documenta una tua ricerca, quando si scrive (ma anche si compone musica chiaramente) ci si immagina sempre quale riscontro potrà mai avere la propria opera sul pubblico. Tu cosa ti aspetti accada una volta letto?
Le prime reazioni le ho già avute e le persone che lo leggono cominciano ad ascoltare questa cosmogonia di artisti che io presento e incontro durante il viaggio, che è un viaggio vero. Questo libro infatti ha due cose importanti per me: la prima è che per scriverlo ho fatto una ricerca sul campo precisa, che mi ha dato una coscienza diversa della Cumbia, più profonda di cos’è questa musica; e dall’altra parte il libro penso che sarà percepito come un libro mio a fumetti, costruito con una tecnica che io ho già usato in altri due libri (uno si chiama “Pasolini” e l’altro “Il Re Bianco”) con una struttura narrativa di invenzione, che è quello che io faccio perché sono uno scrittore di fumetti, in cui sovrappongo un vissuto, questo vissuto è un viaggio, in questo caso un viaggio estremo, un viaggio lunghissimo su un continente intero. Non so cosa mi aspetto veramente dal libro, le prime reazioni sono tutte divertenti perché è un libro sulla musica ed è giusto poi andarsi a cercare quella musica, la cosa che ti posso dire è che questo libro è il mio primo che racconta una storia organica di una musica complessa, nata tanti anni fa, migrante, che si è spostata su un territorio e che ha una sua attualità perché racconta oggi una identità extranazionale nel territorio sudamericano che in qualche modo da al Sudamerica una coscienza collettiva, continentale. E questa è una cosa che ho trovato sul territorio, cioè i nuovi musicisti e i nuovi producer che fanno questa musica qui sono coscienti della portata extranazionale della loro musica; perché esiste una Cumbia colombiana, una Cumbia peruviana, esiste una Cumbia del Cile, dell’Argentina, ma in realtà la lettura di questa storia può essere considerata come una lettura continentale, non una lettura soltanto nazionale.
E in Italia?
L’Italia è già nel futuro della Cumbia perché l’ultima versione di questa musica ha a che fare con uno spostamento virtuale e reale. Ci sono degli artisti, che possono essere considerati di quella che si definisce “diaspora sudamericana”, cioè ci sono degli artisti che sono nati in Sudamerica o nati qui da genitori sudamericani, che perciò hanno preso un know how tecnico che è quello prettamente europeo, però riscoprono una radice di musica folklorica, come la Cumbia. Tra questi ci sono sicuramente, conosciuti a livello internazionale, Nicola Cruz, che è un ecuadoregno nato in Francia che poi è tornato in Ecuador, ed è uno dei musicisti di elettronica più quotati del mondo e per l’Italia, uno degli esempi sono un gruppo che si chiama Cacao Mental che sono l’incontro tra un cantante di Tingo Maria, città nella selva amazzonica del Perù, e due musicisti milanesi. Come sempre, la Cumbia si è spostata anche sulle spalle delle persone che si sono spostate per fare questa musica, portatori di questa musica, migranti; come successo anche nello stesso Sudamerica, cioè in Argentina la Cumbia l’hanno portata i boliviani e i peruviani che si sono spostati lì per lavorare. E continua ad essere una musica che ha questa natura.
Non un semplice libro, quello di Davide Toffolo, quindi, ma un vero e proprio documentario a fumetti, un esperimento unico e imperdibile. Alla ricerca di qualcosa di nuovo, che anche in Italia coinvolge una spirale di pubblico sempre più grossa. È bello capire, specie in musica, che non esiste un artista o una band ma proprio un genere del tutto nuovo che possa prenderci in un modo che non ci si aspetta. Più che un libro “Il Cammino della Cumbia” è un’esperienza condivisa, a spasso per il Sudamerica insieme ad uno dei più preparati e curiosi musicisti del panorama musicale italiano