Come sarà il futuro del cinema, dei concerti e delle fiere 
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Come sarà il futuro del cinema, dei concerti e delle fiere 

La pandemia di Covid-19 ci costringerà a vivere per mesi in modo differente, stravolgendo le abitudini e rinunciando a molti aspetti delle nostre vite, a cominciare da quelli che maggiormente hanno a che fare con la socialità. Con ogni probabilità sarà un 2020 senza concerti negli stadi e senza festival, ad esempio. Completamente rivisto anche il calendario delle fiere, un settore fondamentale per l’export italiano, mentre i cinema si interrogano su come riportare il pubblico di fronte a uno schermo che non sia quello della tv del salotto. A cura di Marco Gritti

Ugo Barbàra / Agi
Ugo Barbàra / Agi

Migliaia di persone in un unico luogo, adibito appositamente per favorire i contatti e gli scambi: è il leitmotiv delle fiere, un settore che ogni anno genera affari per 60 miliardi di euro e contribuisce al 50% dell’export delle aziende che vi partecipano.

Ma proprio la natura aggregativa di queste manifestazioni rende difficile immaginarne la ripartenza. Ne abbiamo parlato con Giovanni Laezza, il presidente dell’Associazione esposizioni e fiere italiane (Aefi).

Il rischio che di fiere se ne riparli direttamente nel 2021 c’è, e lo ammette lo stesso Laezza: “Chi organizza eventi aggregativi sarà l’ultimo a partire, ed è probabile che staremo tutti fermi fino a dicembre”, dice all’AGI. Ma se così non fosse, il settore sta ragionando su come farsi trovare pronto.

Stand distanziati e mascherine, “ma servono regole uguali in tutto il mondo”

Distribuzione di mascherine, guanti e gel igienizzanti; misurazione della temperatura corporea all’ingresso; sanificazione degli ambienti. E poi, naturalmente, distanze aumentate tra gli stand degli espositori. È così che Laezza immagina il futuro prossimo delle fiere. “Normalmente abbiamo circa 950 eventi all’anno, ma nel primo semestre del 2020 quasi 170 sono già stati annullati o rinviati - spiega il presidente Aefi - Luglio e agosto non sono mesi fieristici, ma da settembre in poi il calendario è pieno”. E lo è ancora oggi, visto che finora in molti hanno deciso di non mollare e di spostare in avanti gli eventi. “È un gesto di grande coraggio - aggiunge Laezza - Tutti ci dicono ‘tenete duro, abbiamo bisogno delle fiere per mandare avanti il nostro business’”. 

Il timore di Laezza è che le fiere, nel caso in cui le fiere ricevano un semaforo verde, vedano ugualmente snaturata l’organizzazione degli spazi: “Se ad esempio si decidesse che all’interno degli stand della fiera da 20 mq ci può stare una sola persona, sarebbe un grande problema - sostiene Laezza - Ogni azienda che vi partecipa normalmente manda due o tre rappresentanti per occuparsi di diversi aspetti, dalla comunicazione al commerciale. Se non si potesse più fare, le aziende perderebbero grandi opportunità”.

E poi c’è il tema della competizione internazionale: “Se la regolamentazione in Italia fosse più restrittiva che all’estero, significherebbe stendere un tappeto rosso per la concorrenza straniera”, dice. La richiesta, insomma, è che il protocollo di misure che verrà messo a punto sia uguale a livello internazionale, “altrimenti rischiamo di farci ancora più male”. 

“Il rischio che la concorrenza ci batta”

Quasi certamente, in ogni caso, il numero di persone autorizzate a partecipare a fiere e congressi sarà contingentato. Laezza pone però l’accento su un’altra questione, che non ha strettamente a che fare con le regole con le quali dovrà convivere il settore fieristico: “La partecipazione ai nostri eventi dipende da tre fattori - spiega - Oltre che dalla capienza della sala o del quartiere fieristico, anche dal sistema dei voli aerei e dalla funzionalità della ricettività alberghiera e della ristorazione”.

In altre parole: niente fiere internazionali se non si potrà volare normalmente da un Paese all’altro, e neppure se gli alberghi e l’intera filiera del turismo non assicurare i consueti servizi. “Significa che le persone che verranno in fiera saranno meno per fattori che non dipendono soltanto dall’organizzazione del luogo in cui si tiene la manifestazione”, aggiunge Aefi.

“Assisteremo a un ridimensionamento del settore - conclude Laezza - ma mi auguro che sia temporaneo. In questa fase, per sopperire ai mancati ricavi dobbiamo cercare solidarietà dalle istituzioni”. Anche per questo, lo scorso 21 aprile c’è stato un confronto con il sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano, durante il quale si è discusso di implementare, con l’aiuto della Ice, l’agenzia al servizio delle imprese italiane all’estero, un marketplace online a disposizione delle fiere e mettere in contatto domanda e offerta, con il quale sostenere l’export delle aziende italiane. 

PRAKASH MATHEMA / AFP 
PRAKASH MATHEMA / AFP 

In soccorso dei cinema, costretti alla chiusura da due mesi, sta arrivando la bella stagione: ed è proprio alle condizioni climatiche clementi, che consentano cioè di trascorrere parte del tempo all’aria aperta, che guardano gli esercenti delle sale per poter far ripartire il proprio business.

L’idea più concreta di cui si discute in queste settimane non sembra essere la rinascita dei drive-in, ma le proiezioni all’aperto nei mesi estivi. A raccontarlo all’AGI è Mario Lorini, presidente dell’Associazione nazionale esercenti cinema (Anec) che riunisce 2.606 schermi in tutte le regioni d’Italia.

Per ora, naturalmente, si tratta solamente di idee: le proposte che verranno presentate alle istituzioni nei prossimi giorni non sono ancora state del tutto formalizzate, e poi occorrerà far combaciare le esigenze sanitarie e di sicurezza con gli aspetti organizzativi e di sostenibilità economica di simili proiezioni. 

Spazi all’aperto e distanze tra sconosciuti, ma gruppi familiari più vicini 

Tra le ipotesi per far ripartire i cinema, insomma, quella che Lorini sostiene con maggiore forza è l’allestimento di spazi all’aperto. “Penso ai nostri castelli e alle ampie piazze d’armi di cui dispongono, alle fortezze, alle ville come la Fabbricotti di Livorno, ai parchi dove in passato i nostri esercenti hanno già portato gli schermi”, spiega Lorini.

“Penso alle arene, di cui ce ne sono almeno 200 già attive in tutta Italia e ad altre che possano venire attrezzate, agli open space come il Cinevillage a Talenti a Roma - prosegue il presidente di Anec - Eventualmente posso pensare anche alle piazze, ma in ogni caso si tratta di spazi delimitati dove il rapporto tra la superficie e lo spazio occupato sia assolutamente ampio”.

Grandi spazi all’aperto, insomma, che non servano soltanto ad assicurare la distanza interpersonale, “ma anche a offrire la sensazione di tranquillità agli spettatori”. 

La nuova normalità sarà un mix di “equilibrio, sicurezza e senso di libertà”, possibilmente organizzando consentendo a chi vive insieme di restare a più stretto contatto e di fruire del film in compagnia: “Oggi viviamo il bisogno di ritrovare un senso di famiglia e anche di coppia, pertanto credo che le persone che vivono insieme in ambito familiare possano stare insieme anche quando guardano un film, magari indossando le mascherine - spiega il presidente dell’Anec - Sì a una distanza di sicurezza, ma che sia inferiore a quella a cui occorrerà tenersi con gli sconosciuti”. In altre parole: all’incirca un metro e mezzo tra persone che non vivono insieme, maggiore contatto per chi invece condivide l’abitazione ogni giorno. 

Serve socialità, non il drive-in

Regole di sicurezza e capienze contingentate da una parte, recupero della socialità dall’altra: sono questi i due capisaldi attorno ai quali far ripartire i cinema. Gli strumenti per farlo, prosegue Lorini, ci sono: i biglietti potranno essere venduti online, e la verifica del titolo di accesso avvenire con scansioni a distanza che evitino il contatto fisico. E poi, sottolinea Lorini, “i nostri esercizi cinematografici hanno già l’abitudine a tenere i locali in perfetto ordine, rispettando norme stringenti in materia di sicurezza e pulizia”. 

E sui drive-in, di cui tanto si è parlato nelle ultime settimane? “Non ho niente contro i drive-in - spiega Lorini - ma che cosa cambia se gli spettatori invece di rimanere chiusi a casa si chiudono in un’automobile? Se abbiamo la possibilità di organizzare ambienti ampi all’aperto, perché dobbiamo concentrarci sull’auto?”. Oltretutto, prosegue il presidente di Anec, costruire un drive-in ha un costo importante: “Non dico di no a questa ipotesi, è nostalgica e romantica”, ma presenta anche questioni tecniche non indifferenti, dalla necessità di mettere a punti progetti ingegneristici importanti alla gestione della sicurezza di tante auto in uno spazio ristretto, dal rischio che le temperature serali estive rendano poco sopportabile uno show di un paio d’ore, fino al più banale dei problemi: che in ogni macchina ci possono stare al massimo due persone (quelle sedute nei sedili anteriori), di fatto escludendo a una famiglia con un bimbo di guardare un film tutti insieme. 

In questo momento, conclude Lorini, la priorità è “far ripartire un settore, tenendo però ben presente che si tratta di un momento eccezionale, in cui le misure da adottare sono temporanee”. Secondo il presidente dell’Anec non vivremo dunque un cambiamento definitivo: l’orizzonte resta il ritorno nelle sale. Nell’attesa, “consentiamo che il pubblico guardi il cinema come si deve: lasciamo che lo facciano i professionisti”.

Ugo Barbàra / Agi
Ugo Barbàra / Agi

Ci ritroveremo nei drive-in per assistere all’esibizione del nostro musicista preferito? Guarderemo dal divano di casa qualche concerto trasmesso in streaming? O magari verranno allestiti spazi all’aperto nei quali gli spettatori possano rimanere in sicurezza a qualche metro di distanza l’uno dall’altro?

Non si sa: il futuro della musica dal vivo, per il momento, è avvolto dal mistero. Dando per scontato che, per almeno qualche mese, dovremo scordarci di grandi raduni in palazzetti e stadi, la questione è capire se potranno esistere altre forme di espressione artistica live.

Per Vincenzo Spera, presidente di Assomusica, l’associazione che riunisce 120 imprese di organizzatori e produttori di spettacoli di musica dal vivo che si occupano dell’80% dei concerti in Italia, non è ancora il momento di sbilanciarsi: “È il momento di ragionare sulle ipotesi, ma raccontarle non farebbe altro che aumentare la confusione tra il pubblico e tra gli operatori del settore in un momento in cui c’è già abbastanza frastuono”.

L’unica soluzione, aggiunge intervistato dall’AGI, è aspettare “la pazienza e la disponibilità delle istituzioni a dialogare con i soggetti che fanno questo lavoro. Abbiamo chiesto di venire convocati e ci hanno detto che lo faranno, perciò per il momento aspettiamo fiduciosi, consapevoli che è un momento difficile anche per loro”.

The show must go on, oppure no?

Assistere a un concerto, è ovvio, non significa soltanto ascoltare l’artista cantare o suonare sul palco. A differenza di molte altre attività che contemplano la presenza di pubblico, come lo sport o il cinema, gli spettacoli dal vivo (specialmente i concerti a cui normalmente si assiste in piedi) si articolano in una serie di gesti che trasformano il pubblico in una parte attiva dello show: saltare, urlare, abbracciarsi, rituali che cozzano con la necessità di mantenere le distanze.

“O hanno certe caratteristiche, o gli show non ha senso farli”, sintetizza il presidente di Assomusica. E anche nei casi in cui si trovino soluzioni tecniche che consentano di esibirsi, “bisogna verificarne la sostenibilità economica. È improponibile, sia per quanto riguarda la fruizione che gli incassi, pensare ad esempio di organizzare eventi in un teatro, dove per assicurare le distanze si potrebbe occupare un posto lasciandone otto liberi attorno”, aggiunge. La strada, insomma, è tutta in salita. 

Dal drive-in allo streaming, fino al pianobar

Ci sono eccezioni, sottolinea Spera, come il caso dei pianobar: “Gli artisti che si esibiscono da soli in piccoli concertini, ad esempio intrattenendo il pubblico di un ristorante, potrebbero tornare al lavoro non appena i locali riceveranno il via libera a una riapertura soft”. 

Il problema, prosegue il presidente di Assomusica, sorge nel caso di show con più di mille posti. Per ovviare alle difficoltà si è parlato di drive-in: “Il progetto è interessante, è quello che sui media è uscito in maniera più forte”. Ma non è l’unica suggestione: c’è chi ragiona su eventi in streaming, anche se si tratterebbe di soluzioni ancor meno socializzanti, insomma più distanti dalla normalità. In ogni caso, spiega Spera, si tratta di “un momento di transizione e di modalità artistiche propedeutiche a un ritorno” dello show come lo intendiamo. “Ben vengano tutte soluzioni che mantengano vivo il sentimento verso la musica dal vivo”, dice, ma per poter concretizzare “occorre che qualcuno ci convochi a un tavolo e ci chieda di spiegargli come funziona il nostro lavoro”.