Incontro con Tosca, "nemica della non fatica"
Protagonista di quella che è finora una delle esibizioni più emozionanti viste sul palco dell'Ariston, la cantante racconta il suo ritorno a Sanremo dopo 13 anni

In attesa della terza serata del Festival, quella dei duetti in omaggio alla storia di Sanremo, Tosca staziona in ottava posizione. Poco per certi aspetti, considerata l’esibizione impeccabile, emozionante, che ha offerto al pubblico dell’Ariston; tanto per altri, se pensiamo a cosa sta accadendo in Italia in questo determinato momento storico, musicalmente parlando.
Tosca torna in gara a tredici anni dall’ultima volta, il palco dell’Ariston è il luogo che l’ha fatta conoscere al grande pubblico nel 1996, debutto con vittoria in duetto con Ron cantando “Vorrei incontrarti fra cent’anni”. La Tosca dell’edizione 2020 non è soltanto un’artista diversa, chiaramente più matura, ma anche una donna che ha scelto consapevolmente di andare controcorrente, rinunciare alle luci della ribalta che le si aprivano nel momento di maggiore notorietà e inseguire il sogno di cantare ciò che più l’ha sempre appassionata. Quindi il teatro, insieme al compagno di una vita Massimo Venturiello, la ricerca musicale, e ora il ritorno al festival di Amadeus con “Ho amato tutto”, brano che risulta totalmente distopico rispetto non solo al sound “che va”, quindi rap e trap, ma anche alla playlist proposta dal direttore artistico con le sue scelte.
Un’idea particolare la sua ma, assicura ad AGI, “Non c’è stata nessuna strategia, se non di cantare semplicemente una cosa che mi piaceva”. Quello che piace dunque a Tosca è un brano poetico, di gran classe, cantato in maniera magistrale, con il mestiere e il fascino che da sempre contraddistingue il cantare di Tosca, “Il vestito l’ho scelto perché mi è stato suggerito dalla canzone, ma quando mi è stato proposto io ho voluto una cosa minimale, perché volevo che parlassero le parole, la melodia, e che ci fosse un soffio intorno, un vento intorno, non volevo niente che appesantisse. Tutto qua, non c’è una ricetta”.
Una scelta controcorrente
Non c’è una ricetta ma c’è comunque una scelta, quella di andare controcorrente, specie in un’edizione dove sono presenti nel cast anche altri artisti della stessa generazione che hanno deciso di provare ad adattarsi, dal punto di vista delle produzioni, a colleghi più giovani, togliere invece di aggiungere, di invadere. “Grazie a questa sottrazione sono arrivata a questa intimità, c’ho messo trent’anni a mettermi a nudo, a non avere paura, perché non è facile, è un salto”.
“Perché sei tu, con poco intorno, quindi ci deve essere tanto di tuo, ma in questo momento della mia vita, naturalmente sono là, e non potevo portare niente di diverso da quello che sono”, spiega, "me l’hanno proposto negli anni passati di portare brani con quello o con quell’altro, ma non sono capace, sto bene nel mio mondo, un mondo di nicchia, faticoso, delle volte anche irriconoscente da parte del mainstream, ma io quando salgo su quel palco e canto le cose amo sto bene”.
Un brano, “Ho amato tutto”, talmente fuori dagli schemi di questa edizione del Festival della Canzone Italiana, da rappresentare quasi una rottura, “Io lo spero, ma che sia di rottura una cosa classica fa ridere. Io credo che in questo momento il classico sia avanguardia. Io porto solo una canzone: strofa, inciso... E ogni tanto la strofa diventa inciso e viceversa, una canzone che si gira su se stessa, come ogni cosa che viene emozionalmente; non c’è una ricetta, scrivi in base a quello che il tuo sangue ti detta”. E conclude “Io invito ad essere più artigiani, senza troppe aspettative. Io sono una nemica della non fatica, perché tutto ciò che ti arriva senza aver capito esattamente dove sei, non è costruire una casa è costruire una maniglia”.
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