T im Burton torna sul luogo del delitto. Dopo quasi 10 anni dal suo primo film con la Disney, un originale remake in live action del classico animato 'Alice nel Paese delle Meraviglie', il geniale cineasta americano si cimenta in un 'remake-sequel' di 'Dumbo', in sala in Italia dal prossimo 28 marzo. "Ho aderito subito al progetto, ci tenevo molto - racconta il regista in un incontro ristretto con la stampa - per due motivi: perché Dumbo è un simbolo e poi perché adoro l'idea di un elefante che vola. Alcune immagini del film animato del '41 me le sono portate dietro - aggiunge - come gli elefanti rosa, ma ciò che mi è rimasta impressa è soprattutto l'immagine dell'elefante che vola".
Oltre all'aspetto fantastico, però, Tim Burton si è detto interessato anche al messaggio che legge dietro a un film come Dumbo. A differenza del classico Disney che, ha spiegato, "aveva caratteristiche non attuali adesso come gli stereotipi a sfondo razziale" e che nel suo remake non ci sono più, ciò che lo ha "catturato è il fatto che si tratta di raccontare un personaggio dall'aspetto diverso, al di fuori dai canoni normali. Interessante - aggiunge - è vedere come un aspetto mostruoso che può essere uno svantaggio diventa un vantaggio. Nel film, quindi, viene dato un messaggio importante che riguarda le persone che non rientrano nei canoni standard, con disabilità".
Di certo questo 'Dumbo' è un film di Tim Burton un po' anomalo, in cui l'animo gotico e dark del regista si sente molto poi. "In realtà alcuni aspetti del circo, alcuni personaggi sono più cupi. E anche il mondo di Dreamland (una sorta di Disneyland ante litteram, ndr) lo è. Già nella sceneggiatura - aggiunge - c'erano aspetti del lato oscuro delle cose. Usando la mia esperienza ho voluto esplorare i diversi lati della realtà".
Tim Burton confessa poi che la 'diversità' di Dumbo è quella che lo fa identificare con l'elefantino: "Per me era importante riconoscermi un po' in questo elefantino - spiega - Dumbo è un perfetto simbolo dell'artista e per questo forse mi è più vicino di altri personaggi che ho portato sullo schermo anche alla luce della mia esperienza come artista con la Disney. Mi piace mettere parte di me in quello che faccio e Dumbo è un simbolo di chi viene trattato in un certo modo perché è diverso".
Nella pellicola scritta da Ehren Kruger e interpretata da un cast stellare - Danny De Vito, Colin Farrell, Michael Keaton, Eva Green - Burton introduce un tema meno presnete nel calassico del 1941, la famiglia. Il film racconta di Max Medici (Danny DeVito), proprietario di un circo, che assume l'ex star Holt Farrier (Colin Farrell) insieme ai figli Milly (Nico Parker) e Joe (Finley Hobbins) per occuparsi di un elefante appena nato le cui orecchie sproporzionate che lo rendono lo zimbello di un circo già in difficoltà.
Quando si scopre che Dumbo sa volare, il circo riscuote un incredibile successo attirando l'attenzione del persuasivo imprenditore V.A. Vandevere (Michael Keaton) che recluta l'insolito elefante per il suo nuovo straordinario circo, Dreamland. Dumbo vola sempre più in alto insieme all'affascinante e spettacolare trapezista Colette Marchant (Eva Green) finché Holt scopre che, dietro alla sua facciata scintillante, Dreamland è pieno di oscuri segreti.
"C'è un altro motivo per cui mi piaceva questo progetto - spiega ancora Tim Burton - ed è che qui si esplora il concetto di famiglia e, visto che ho avuto molte frequentazioni con Disney, per me è diventata un po' la mia famiglia. Il senso di famiglia ce l'avevo anche nei confronti del cast, a partire da De Vito e Keaton" che ripropongono i personaggi di Pinguino e Batman del primo film di Tim Burton sul supereroe di Gotham City, "a ruoli invertiti: il cattivo di quel film ora è buono e viceversa. Poi ci sono anche Eva e Alan Arkin".
A differenza del classico animato, il piccolo Dumbo non parla. "La sfide interessante per me era come rendere credibile un elefante che vola - spiega - si è trattato di compiere un viaggio come avviene nel caso di un circo itinerante. Mai pensato di far parlare l'elefantino come nel cartone animato, dove alcuni animali parlavano e altri no - precisa poi - volevamo rendere credibile l'elefantino che vola nella sua semplicità: in un mondo complicato come il nostro volevamo far emergere un personaggio semplice, onesto".
Si parla di circo e la domanda inevitabile va su Fellini. "Il mio amore per Fellini è anche uno dei motivi per cui adoro venire in Italia - risponde Tim Burton - però, premesso che non mi è mai piaciuto il circo perché mi spaventano i clown e non mi piace vedere gli animali in pericolo, adoro il circo nei suoi film che c'è sempre ed è una strana famiglia". E' quindi dovuto anche un po' a Fellini la scelta del nome dei circensi, fratelli Medici, oltre al fatto che "negli Usa quando ero piccolo era forte la presenza di italiani nel mondo circense e io stesso trascorrevo molto piu' tempo con le famiglie italoamericane che con la mia. Da qui il nome Medici".