
I COMUNI COMMISSARIATI
I dati sono del dossier di AGI-Openpolis “Fuori dal Comune”, sul fenomeno dello scioglimento dei consigli comunali
Quando vengono commissariati i comuni
I provvedimenti con cui il presidente della repubblica, su proposta del ministro dell’interno, dispone di sciogliere un consiglio comunale sono un indice indiretto dell’efficienza delle amministrazioni locali. In Italia un comune può essere commissariato per 4 motivi: persistenti violazioni di legge (art. 141 del Tuel), la mancata approvazione del bilancio (art. 141 del Tuel), il mancato funzionamento degli organi (possibilità che può riguardare o il sindaco con dimissioni, decadenza, sfiducia e decesso o i consiglieri con dimissioni di massa o impossibilità di surroga), e infine per persistenti e influenti infiltrazioni della criminalità organizzata.
A queste possibilità, che riguardano l’attività e il funzionamento delle istituzioni locali, se ne aggiungono altre che invece riguardano il funzionamento delle elezioni. Commissari possono infatti essere chiamati a operare in un comune quando non vengono presentate liste elettorali, quando non viene raggiunto il quorum alle elezioni, o quando la tornata elettorale viene annullata per irregolarità. Quando, in pratica, gli organi di rappresentanza locale non vengono formati.
+162,50% comuni commissariati per mafia tra il 2016 e il 201
Quali sono le 'malattie' dei comuni
In un modo o nell’altro i commissariamenti, cioè l’intervento dell’apparato pubblico nelle abituali dinamiche di rappresentanza democratica, sono uno strumento per valutare lo stato di salute delle istituzioni locali. Analizzando i dati di questa materia è quindi possibile far emergere alcuni dei mali che affliggono i comuni del nostro paese: dalle infiltrazioni mafiose ai pluri commissariamenti passando per l’incapacità di svolgere regolarmente elezioni democratiche.
Nel 2017, come anche nei primi 6 mesi del 2018, il numero di comuni che sono stati commissariati per infiltrazioni della criminalità organizzata è notevolmente cresciuto. Tra il 2016 e il 2017 sono aumentati del 162%, e dopo i primi 8 mesi del 2018 i numeri hanno quasi raggiunto quelli registrati nella totalità del 2017. Diverse considerazioni accompagnano questi numeri, dalla difficoltà che hanno le istituzioni democratiche in alcuni territori di difendersi da certe dinamiche, alla complessità stessa di stabilire caso per caso cosa definisca un’ingerenza della criminalità organizzata.
Il comune di San Luca in Calabria è senza sindaco dal maggio del 2013. Sciolto inizialmente per ingerenze della criminalità organizzata, non si sono più riuscite a svolgere elezioni.
Ogni numero, e ogni commissariamento, è una storia a sé. Il comune di San Luca, città calabrese in provincia di Reggio Calabria, è senza sindaco da 1.963 giorni, cioè dal 17 maggio del 2013, giorno in cui il consiglio è stato sciolto per ingerenze della criminalità organizzata. Dopo la proroga del commissariamento nel 2014, per 3 tornate elettorali consecutive, ultima in ordine di tempo le amministrative 2018, non sono state presentate liste elettorali. La difficoltà che appare emergere in determinati comuni è proprio quella di ristabilire il funzionamento abituale dei processi democratici di rappresentanza. Dei 99 comuni attualmente commissariati, 4 lo sono perché per ben 2 volte di fila non si è riuscito a svolgere regolarmente un’elezione. Insieme a San Luca abbiamo infatti Austis e Magomadas in Sardegna, e Rodero in Lombardia.
Incapacità di “curare” le istituzioni che può voler dire sia non riuscire a svolgere un’elezione, sia ciclicamente ricadere in difetto, trovandosi commissariata dal ministero interno varie volte in pochi anni. I consigli comunali di Bova Marina e Platì, entrambi in provincia di Reggio Calabria ed attualmente commissariati per ingerenze della criminalità organizzata, sono stati sciolti già 3 volte dal 2011 ad oggi.
Fonti e raccolta dati - I dati fino al 2016 sono stati raccolti dall’annuario delle statistiche ufficiali del ministero dell’interno. Per quanto riguardo il 2017 e il 2018 i dati sono stati raccolti manualmente interrogando la Gazzetta ufficiale. I dati sui comuni sciolti per mafia sono frutto del lavoro di Avviso Pubblico
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Quanti sono e dove
Nonostante la recente tornata elettorale il numero di comuni commissariati rimane alto
Quanti sono e dove si trovano
Ad oggi in Italia ci sono 99 comuni commissariati, di cui il 30% in Calabria. La regione del sud Italia, da sempre tra le più ricorrenti in materia, guida di gran lunga la classifica, seguita a distanza dalla Campania, con il 16,16% delle amministrazioni coinvolte. Più in generale circa 3 comuni su 4 tra i 99 commissariati sono nel meridione, il 16,16% al nord il 6% al sud.
Nonostante la recente tornata elettorale quindi, il numero di comuni commissariati rimane alto. Il 40,40% di essi è stato sciolto per ingerenze della criminalità organizzata e tutti, tranne il comune di Lavagna (Genova), si trovano al sud: 24 comuni calabresi, 7 siciliani, 6 campani e 4 pugliesi.
Quindici dei 99 provvedimenti (il 15,15%) sono stati presi per le dimissioni della maggioranza dei consiglieri e 12 (il 12,12%) per l’incapacità dell’amministrazione di approvare il bilancio.
Da non ignorare anche il numero di comuni che hanno avuto difficoltà a portare a termine regolarmente la tornata elettorale, circa il 16% dei consigli comunali attualmente sciolti. Nel 9% dei comuni in questione (9 amministrazioni) non è stato raggiunto il quorum, nel 5% (5 amministrazioni) non sono state presentate le liste e nel 2% (2 amministrazioni) le elezioni sono state annullate.
Per quanto riguarda i provvedimenti che sono direttamente collegati al mandato del primo cittadino, possiamo registrare 3 casi di commissariamenti per dimissioni del sindaco, 2 per la sua decadenza (evento abituale negli anni in cui si svolgono elezioni nazionali e regionali come il 2018) e 1 sfiducia.
Quando i commissariamenti durano troppo
La materia è complessa, e come spesso avviene i numeri non permettono di inquadrare a pieno le problematiche in ballo. Dieci dei 99 comuni attualmente commissariati sono senza sindaco da più di 23 mesi, quasi 2 anni. È evidente quindi che si tratta di casi particolari che meritano un’attenzione maggiore.
In cima a questa classifica la già menzionata San Luca. Commissariata per mafia nel maggio del 2013, si trova da oltre 5 anni senza primo cittadino. Fatto reso ancora più allarmante dalle tre tornate elettorali andate a vuoto per la mancata presentazione delle liste elettorali. Con oltre 1.000 giorni senza sindaco anche Austis (Nuoro), comune che negli anni ha avuto le medesime difficoltà a svolgere regolarmente le elezioni.
Altre due città meritano menzione, in quanto senza primo cittadino da oltre 800 giorni. Il comune di Marano di Napoli, in provincia di Napoli, nel maggio del 2016 è stato commissariato per le dimissioni del sindaco. A dicembre dello stesso anno, in seguito ad ulteriori accertamenti, il ministero dell’interno ha nominato una commissione straordinaria per ingerenze della criminalità organizzata. Commissariamento che è stato poi prorogato nell’aprile del 2018. Spostandoci al nord troviamo il comune di Lavagna, in provincia di Genova. Nel giugno del 2016 la maggioranza dei consiglieri si è dimessa, costringendo il ministero a sciogliere l’ente. A marzo del 2017 sono emerse ingerenze della criminalità organizzata, tramutando la causa del commissariamento. Nell’aprile del 2018 l’atto è stato poi prorogato.
Quando il commissariamento diventa la prassi
I consigli comunali di 11 dei 99 comuni attualmente commissariati sono già stati sciolti almeno 2 volte dal 2011 ad oggi. Un numero che da solo racconta quanto sia complicato per un territorio uscire da situazioni di mala gestione e mala politica.
Bova Marina, comune in provincia di Reggio Calabria, è senza sindaco da 605 giorni. Le dimissioni del sindaco a febbraio del 2017 causarono il commissariamento del comune. Nel corso dell’anno poi emersero ingerenze della criminalità organizzata causando lo scioglimento dell’ente per mafia. Il comune era già stato sciolto nel 2011 per la dimissioni della maggioranza dei consiglieri e nel 2012 sempre per mafia (poi prorogato nel 2013). Situazione simile a Platì, sempre in provincia di Reggio Calabria. Attualmente commissariato per ingerenze della criminalità organizzata, il comune era già stato sciolto nel 2011 (dimissioni consiglieri), 2012 (criminalità organizzata, prorogata nel 2013), e 2018 (dimissioni consiglieri).
11 comuni attualmente commissariati sono stati già sciolti almeno 2 volte dal 2011 ad oggi.
Assieme ai 2 comuni appena menzionati ne abbiamo 5 della Campania (Marano di Napoli, San Felice a Cancello, Calvizzano, Caivano e Cerino), 2 della Puglia (Manduria e Gioia del Colle) e altri 2 della Calabria (Gioia Tauro e Cassano all’Ionio) che, oltre all’attuale commissariamento, hanno subito provvedimenti di scioglimento altre 2 volte dal 2011 ad oggi.
Tra gli 11 enti locali in questione tutti tranne due sono stati sciolti almeno una volta per ingerenze della criminalità organizzata. I 2 comuni in questione sono: Cervino in provincia di Caserta (2011 - decesso sindaco, 2013 e 2018 - dimissioni consiglieri) e Gioia del Colle in provincia di Bari (2011 e 2018 - mancata approvazione del bilancio, 2015 - dimissioni consiglieri).
Quando il problema è votare
Se un comune commissariato va al voto e per qualche motivo non si riescono a svolgere le elezioni, di fatto non ci sarà un nuovo provvedimento di commissariamento, non essendosi mai formato il consiglio comunale che andrebbe sciolto. In alcuni comuni quindi, nonostante non ci siano stati recenti provvedimenti di commissariamento, mancano sindaco, giunta e consiglio da anni.
2 comuni che sono stati commissariati nel 2017 perché non avevano raggiunto il quorum alle elezioni, sono ancora senza sindaco perché nel 2018 non sono state presentate liste alle elezioni.
Quattro dei 99 comuni attualmente commissariati si trovano in questa situazione. Due sono già stati menzionati (San Luca e Austis) in quanto senza sindaco da oltre 1.000 giorni, gli altri 2 sono Magomadas, in provincia di Oristano e Rodero, in provincia di Como. A giugno del 2017, nella tornata di elezioni amministrative, entrambi i comuni non raggiunsero il quorum e quest’anno, in periodo di elezioni, in nessuno dei 2 sono state presentate le liste elettorali.
Entrambi i comuni sardi (Austis e Magomadas) hanno meno di 1.000 abitanti, sollevando anche il tema della difficoltà per comuni particolarmente piccoli e con una bassa popolazione di svolgere regolarmente le elezioni.
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Numeri e geografia
Le dimissioni della maggioranza dei consiglieri comunali sono stati il principale motivo dietro allo scioglimento dei comuni in Italia dal 2001 al 2017
Numeri e geografia dei commissariamenti dal 2001 a oggi
Dopo aver considerato l’attuale situazione del nostro paese, è giusto dare uno sguardo ai dati storici e geografici del fenomeno. Per farlo, abbiamo preso in esame i dati forniti dal ministero dell’interno dal 2001 a oggi, confrontando sia le variazioni nei numeri che la distribuzione sul territorio nelle diverse regioni italiane.
Dal 2001 al 2017 una media di 170 comuni sono stati commissariati ogni anno, circa il 2% dei quasi 8.000 comuni italiani.
Una costante che segue gli avvenimenti politici nazionali. Basti pensare che con l’arrivo del governo tecnico guidato da Mario Monti i commissariamenti tra il 2011 e il 2013 sono aumentati del 26%, passando da 169 a 213. Proprio con il 2013 si è così eguagliato il dato record del 2005, superando per la seconda volta dal 2001 ad oggi quota 200 commissariamenti in un solo anno. Un numero che da molti è stato spiegato con la presenza di Annamaria Cancellieri alla guida del Viminale, un ex prefetto e quindi più vicino alle istanze delle prefetture.
I numeri con l’inizio della XVII sono iniziati a scendere: nel 2014 (primo anno pieno della legislatura) è stato registrato il dato più basso di comuni commissariati tra gli anni presi in esame. Nei successivi tre anni (2015, 2016, 2017) i numeri sono cresciuti, ma rimasti comunque ampiamente sotto la media degli anni precedenti.
170 comuni commissariati all’anno dal 2001 al 2017
Con il passaggio tra la XVII e XVIII legislatura però le cose sono fortemente mutate. I primi 8 mesi del 2018 sono stati infatti particolarmente ricchi di provvedimenti per lo scioglimento di consigli comunali, caratterizzando in questo senso sia la gestione Minniti che quella Salvini al Viminale.
Da gennaio ad agosto 2018 sono stati sciolti 119 consigli comunali, circa 15 al mese. A questa media l’anno in corso è destinato a registrato uno tra i dati più alti dal 2001 ad oggi
Le cause dei commissariamenti
Come già visto le cause che possono portare allo scioglimento di un consiglio comunale sono di vario tipo.
Le dimissioni della maggioranza dei consiglieri comunali sono stati il principale motivo dietro allo scioglimento dei comuni in Italia dal 2001 al 2017, il 48,42% dei provvedimenti. Caso recente più noto riguarda certamente il comune di Roma, con le dimissioni presentate da 26 consiglieri che nel 2015 portarono alla fine della giunta Marino e al commissariamento della capitale. Capitale che dal 2001 ad oggi è stata commissariata in tre diverse occasioni: oltre al già citato caso del 2015 ricordiamo quelli del 2001 (post giunta Rutelli) e del 2008 (post giunta Veltroni). I 3 eventi hanno notevolmente influito nei 3 anni in questione sul numero di cittadini residenti in comuni commissariati: se in media parliamo di 2,6 milioni di persone all’anno, nel 2001, 2008 e 2015 si superavamo i 4 milioni di cittadini coinvolti.
Quello delle dimissioni della maggioranza dei consiglieri comunali è un gesto utilizzato molto spesso dalle assemblee elettive di tutto il paese per terminare anticipatamente il mandato di una specifica amministrazione, rappresentando uno strumento politico decisivo. Con il medesimo scopo, ma con numeri molto più bassi, sono i commissariamenti in seguito a sfiducia votata nei confronti del sindaco, solo il 2,94% dei casi. Altra causa invece particolarmente ricorrente, e con altrettanto peso politico, sono le dimissioni del primo cittadino (19,36% dei casi dal 2001 al 2017).
L’incidenze delle diverse cause anno dopo anno è relativamente stabile, ma dal 2017 si è registrato una particolare crescita nel numero di comuni commissariati per ingerenze della criminalità organizzata.
Dal 2001 al 2016 hanno rappresentato generalmente circa il 6% dei provvedimenti annui. Nel 2017 sono stati il 14,19%, e nel 2018 sono saliti al 15,97% dei commissariamenti. Mai dal 2001 ad oggi l’incidenza dei commissariamenti per mafia è stata così alta sul totale dei decreti. I numeri e più in generale il fenomeno dei comuni commissariati per ingerenze della criminalità organizzata verrà meglio analizzato più tardi nel report, con una sezione interamente dedicata alla materia.
Dal 2017 ad oggi è fortemente cresciuto il numero di comuni commissariati per ingerenze della criminalità organizzata e per incapacità di approvare il bilancio.
Negli ultimi anni abbiamo anche testimoniato una sensibile crescita dei comuni commissariati per incapacità di approvare il bilancio. In media sono stati 6 all’anno, ma dal 2016 ad oggi i numeri sono stabilmente in doppia cifra: 10 nel 2016, 16 nel 2017 e già 12 nei primi 8 mesi del 2018. In neanche 3 anni sono stati registrati il 31,40% dei casi dal 2001 ad oggi. L’incidenza della fattispecie sul fenomeno è ora evidente, considerando che per la prima volta sia nel 2016 che nel 2017 i commissariamenti per incapacità di approvare il bilancio hanno superato il 10% dei casi annuali.
Le regioni più coinvolte
Se il fenomeno ha caratterizzato la storia recente del nostro paese in maniera costante, la stessa uniformità di dispersione non si può dire per le regioni che sono state coinvolte. Oltre il 50% dei commissariamenti dal 2001 ad oggi hanno riguardato comuni del sud Italia, un dato che nel 2017 si è persino spinto oltre il 60%. Regione più coinvolta è stata la Campania con 533 commissariamenti, il 18,70% dei provvedimenti registrati. Molto distanziate le altre regioni che guidano la classifica: Lombardia con 378 provvedimenti (il 13,26% del totale), la Calabria con 355 (12,45%), Puglia con 267 (9,37%), Piemonte con 255 (8,94%) e Lazio con 231 (8,10%).
Al livello di macro aree le considerazioni da fare sono numerose. La prima è che i comuni del centro Italia, numericamente di meno, sono stati storicamente meno coinvolti dal fenomeno, rappresentando in media il 13% dei commissariamenti annui. Più alte invece le percentuali del nord e del sud Italia, incluse le isole.
Significativo sotto quest’aspetto il fatto che dal 2010 ad oggi i dati del nord Italia siano in crescita, segnando, almeno dal punto di vista generale, un leggero cambio di tendenza. Tra il 2001 e il 2009 l’incidenza dei comuni del nord sul fenomeno (percentuale di comuni del nord sul totale di quelli coinvolti) era in media del 31,21%, dal 2010 ad oggi la percentuale è salita al 35%. Di riflesso l’incidenza dei comuni del sud e isole è passata dal 56% al 51%. Cambiamenti non determinanti, ma che rappresentano comunque una novità nazionale da segnalare.
La grande differenza territoriale però riguarda l’incidenza del fenomeno all’interno delle singole regioni. In media la percentuale di comuni italiani coinvolti dal fenomeno anno dopo anno è stata intorno al 2%, nelle regioni del sud il dato è stato 3 volte tanto.
Tra nord e sud la differenza principale è l’incidenza del fenomeno all’interno dei singoli territori regionali.
Nel 2017 il 6,98% dei comuni pugliesi è stato commissariato, il 6,44% di quelli calabresi e il 5,82% di quelli campani. Molto più bassa la percentuale per le altre regioni maggiormente coinvolte dal fenomeno: Lazio (2,91%), Lombardia (1,12%) e Piemonte (0,67%). Questo vuol dire che se da un lato in tutt’Italia vengono sciolti consigli comunali, l’incidenza del fenomeno nelle regioni del meridione è molto superiore.
I comuni ricorrenti
Le considerazioni portate avanti fino ad ora sono anche sostenute da un altro tipo di analisi. Il commissariamento di per sé non deve rappresentare un indicatore di mal governo o mala gestione. Il problema è quando nel giro di pochi anni i provvedimenti, o le proroghe, nei confronti di un singolo comune sono ricorrenti.
133 comuni dal 2011 al 2017 sono stati commissariati più di una volta
Tra il 2011 e il 2017 133 comuni sono stati commissariati più di una volta, ed oltre il 70% di essi sono al sud. Quest’ennesimo dato ci racconta proprio delle difficoltà di alcuni territori di uscire in maniera sana da provvedimenti di scioglimento, rimanendo spesso incastrati in anni di gestione straordinaria dei prefetti. Trentasei dei 133 comuni in questione sono in Campania, il 27% del totale e soprattutto il 6,55% dei comuni regionali. Ventisette invece i comuni calabresi e 24 quelli pugliesi.
Circoscrivendo ancora di più l’analisi, per un gruppo di 17 comuni i commissariamenti dal 2011 sono stati 3 o più, includendo anche le proroghe. In cima alla classifica con 5 provvedimenti troviamo la già menzionata Bova Marina con 4 commissariamenti (di cui 2 per ingerenze della criminalità organizzata) e una proroga. A seguire con 4 provvedimenti: Gioia Tauro (2 commissariamenti e 2 proroghe), Marano di Napoli (3 commissariamenti e 1 proroga), Nardodipace (2 commissariamenti e 2 proroghe), Platì (3 commissariamenti e 1 proroghe) e Quarto (4 commissariamenti).
Dei 17 comuni in questione, 11 sono in Campania, 4 in Calabria 1 in Puglia e 1 in Piemonte. L’unico comune non del sud che rientra in questa particolare graduatoria è Leini, in provincia di Torino. Commissariato inizialmente nel febbraio 2012 per impossibilità di surroga, a marzo dello stesso anno, a seguito di ulteriori accertamenti, sono emersi condizionamenti da parte della criminalità organizzata sull’istituzione locale. Lo scioglimento del consiglio comunale per mafia, inizialmente fissato a 18 mesi, è stato poi prorogato nell’agosto del 2013 per ulteriori 6 mesi.
Come se non bastasse tutti i comuni in questione tranne 3 (Maddaloni, Melito di Napoli e Oria) hanno almeno un commissariamento per ingerenze della criminalità organizzata.
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Le infiltrazioni della criminalità
Dal 1991 ad oggi i provvedimenti che hanno sciolto consigli comunali per l’ingerenza della criminalità organizzata sono stati quasi 300
Come funzionano
Gli enti sciolti per infiltrazioni e condizionamenti di tipo mafioso meritano un capitolo a parte. Il provvedimento, dal notevole peso politico, segue un iter leggermente diverso dagli altri. Per accertare la sussistenza delle accuse, il prefetto nomina una commissione d’indagine che entro tre mesi (rinnovabili per altri tre) deve fare le dovute verifiche e consegnare le proprie conclusioni al prefetto. Entro 45 giorni il prefetto invia al ministro dell’interno una relazione. A decretare lo scioglimento è poi il presidente della Repubblica, su proposta del ministro dell’interno. L’intervento conserva i suoi effetti per un periodo da dodici a diciotto mesi, in casi eccezionali prorogabili a un massimo di ventiquattro mesi. Contro il decreto di scioglimento si può ricorrere in prima battuta dinanzi al tar e in appello dinanzi al consiglio di stato. Un’altra particolarità è che il commissariamento per mafia può essere determinato non solo dalla condotta degli organi politici, giunta e consiglio, ma anche da altri incaricati come il segretario comunale, il direttore generale, i dirigenti e i dipendenti dell’ente locale.
Nel 2012, sotto il governo Monti, si è registrata un’impennata di provvedimenti di commissariamento per mafia, ben 24.
Quanti comuni vengono commissariati per mafia
Dal 1991, anno in cui l’istituto è stato introdotto, ad oggi i provvedimenti che hanno sciolto consigli comunali per l’ingerenza della criminalità organizzata sono stati quasi 300. Il provvedimento ha un’elevato peso politico, e più degli altri vive di riflesso gli eventi politici nazionali. Non è un caso che un anno record per i provvedimenti di commissariamento per mafia è stato il 2012, con l’arrivo del governo tecnico guidato da Mario Monti. Rispetto all’anno precedente il balzo fu del 380%, passando dai 5 provvedimenti del 2011 ai 24 del 2012.
Con l’arrivo dei governi Letta, Renzi e Gentiloni i numeri sono scesi, stabilizzandosi su livelli in linea con il passato. L’ultimo anno di gestione Minniti però (governo Gentiloni), ha registrato una crescita considerevole dei commissariamenti per mafia. L’aumento, del 162,50%, è poi proseguito nei primi 8 mesi del 2018, con il passaggio di consegne al governo Conte e la gestione Salvini. Da gennaio ad agosto di quest’anno i comuni sciolti per mafia sono stati 19, terzo dato più alto dal 2001 ad oggi, dopo i 24 casi del 2012 e i 21 del 2017.
Come abbiamo avuto modo di raccontare in media i commissariamenti per mafia dal 2001 al 2016 hanno rappresentato circa il 6% dei provvedimenti annui, ma con il 2017 questa percentuale ha superato il 14%. Sembra quindi che mai come oggi l’incidenza del fenomeno sia forte, un elemento che potrebbe essere spiegato anche da una maggiora collaborazione tra il ministero e le diverse prefetture locali.
Dove vengono commissariati i comuni per mafia
Se per far emergere le differenze territoriali fin ad ora si è dovuto dare una serie di letture ai dati dei commissariamenti, per quanto riguarda lo scioglimento dei comuni per mafia la situazione è molto diversa. Il fenomeno ha storicamente un forte radicamento nel sud del paese. Il primo comune sciolto per mafia nel nord Italia risale al 1995, quattro anno dopo l’introduzione dell’istituto. Da allora in poi però i casi emersi hanno avuto come protagoniste principalmente tre regioni: la Campania, la Calabria e la Sicilia.
96,6% dei commissariamenti per mafia dal 2011 sono avvenuti nelle regioni del meridione
Nonostante i numeri ci raccontino di uno scenario quasi completamente incentrato nelle regioni del sud, è anche vero che i numeri nel nord Italia stanno crescendo. Tra il 2001 e il 2009 i comuni al nord sciolti per mafia sono stati zero, dal 2010 al 2017 sono stati 6. Una crescita che, per quanto minima, dimostra l’inizio di una nuova fase, che vede la criminalità organizzata protagonista anche nelle regioni del settentrione. Un elemento emerso anche nella relazione dell’allora ministro Minniti al parlamento a marzo di quest’anno.
“D'altra parte le indagini giudiziarie hanno accertato la delocalizzazione/colonizzazione mafiosa, confermando la presenza invasiva della criminalità organizzata nel nord Italia, caratterizzata da una penetrante capacità di infiltrazione, soprattutto della 'ndrangheta, nell'economia legale di comuni anche di piccole e medie dimensioni”
Relazione Minniti sui comuni sciolti per mafia - marzo 2018
Un’analisi per macro aree ci aiuta ancora di più a capire quanto sottolineato da Minniti. Se fino al 2012 l’apporto del resto d’Italia è stato vicino allo zero, dal 2012 in poi le cose sono andate diversamente. Il 2017 ha infatti registrato la percentuale più alta di commissariamenti per mafia al di fuori di Calabria, Sicilia e Campania, arrivando al 14,29% del totale.
Commissariamenti per mafia, dove avvengono
Oltre a una crescita del fenomeno in Puglia infatti, possiamo notare come i provvedimenti nel resto del paese da inesistenti, stiano diventando gradualmente una variabile.
Ciò detto, i numeri generali e soprattutto l’incidenza del fenomeno al sud continua ad essere maggiore. Basti pensare le 3 regioni citate precedentemente hanno da sole totalizzato oltre il 90% dei provvedimenti: la Calabria (88 provvedimenti tra il 2001 e il 2017), la Campania (59) e la Sicilia (49). In aggiunta, se l’incidenza del fenomeno nelle regioni del nord e del centro non supera l’1% (numero di commissariamenti per mafia sul totale dei provvedimenti regionali), al sud la percentuale arriva al 13%.
Negli ultimi anni però appare evidente un cambiamento nell’apporto che le tre regioni in questione danno al fenomeno. Tra il 2001 e il 2011 in media il 32,54% dei commissariamenti per mafia avvenivano in Campania, negli anni successivi la percentuale è scesa al 18%. D’altro canto quelli in Calabria sono passati dall’essere il 41% al 48%.
I comuni pluri-commissariati per mafia
Dal 1991 ad oggi 59 comuni sono stati sciolti per mafia più di una volta: 24 di essi si trovano in Campania, 24 in Calabria e 11 in Sicilia.
Tra questi, abbiamo 16 casi in cui i commissariamenti per ingerenza della criminalità organizzata sono stati 3: 6 si trovano in provincia di Reggio Calabria, 4 di Caserta, 2 di Napoli, 2 di Vibo Valentia, 1 in provincia di Catanzaro e 1 di Palermo.
59 comuni italiani sono stati sciolti per mafia più di una volta.
Ovviamente anche qui le differenze tra i 16 comuni in questione sono molte, tra provvedimenti che sono stati successivamente annullati e proroghe che ne hanno esteso la durata. Tre comuni però meritano particolare attenzione.
Il comune di Casapesenna (Caserta) è stata commissariato per mafia per la prima volta nel 1991. Il secondo commissariamento del 1996, ha subito due diverse proroghe: la prima ha prolungato il mandato dei commissari da 12 a 18 mesi, il secondo ha esteso il provvedimento al limite massimo dei 24 mesi. Infine il commissariamento del 2012, ha subito una proroga di 6 mesi nell’agosto dell’anno successivo.
Roccaforte del Greco (Reggio Calabria) ha subito una successiva proroga per ognuno dei commissariamenti per mafia che ha ricevuto: nel 1996, 2003 e 2011. Destino analogo a quello di San Ferdinando (Reggio Calabria) con 3 commissariamenti (nel 1992, 2009 e 2014) e 3 diverse proroghe (1994, 2010 e 2016).
Tra scioglimenti e proroghe quindi, i 3 comuni sono stati sanzionati in 6 diverse occasioni per ingerenze ed influenze della criminalità organizzata sull’amministrazione.
Quando i decreti vengono annullati
Il processo che porta allo scioglimento di un comune per infiltrazioni della criminalità organizzata può incorrere in due tipi di “ostacoli”.
Il primo avviene prima dell’emanazione del provvedimento, e riguardo la possibilità che il lavoro della commissione d’indagine, per accertare la sussistenza della accuse, abbia esito negativo.
In questo caso la legge stabilisce che il ministro dell’Interno emani un decreto di conclusione del procedimento, le cui modalità di pubblicazione, sul sito del ministero dell’interno, sono state disciplinate con decreto ministeriale del 4 novembre 2009. Dal 2010 in 40 occasioni le indagini hanno avuto esito negativo, circa 4 all’anno. Con un numero record di decreti in questo senso, il 2013 (anno già menzionato per un alto numero di procedimenti andati a buon fine), e il 2015.
Il secondo ostacolo invece viene normato dall’articolo 143 del Tuel e permette di ricorrere contro il provvedimento in prima battuta dinanzi al tar e in appello dinanzi al consiglio di stato. Dal 1991 ad oggi sono stati 25 i decreti di scioglimento per mafia che sono stati annullati in seguito a ricorso. Annullamenti che possono avere un costo sulle casse dello stato. Nel 2012, solo per fare un esempio, riguardo il contenzioso relativo allo scioglimento del comune di Amantea (Cs), il TAR Calabria aveva condannato il ministero dell’interno a risarcire oltre 2 milioni di euro “per il pregiudizio patrimoniale, connesso alla mancata percezione delle indennità, degli stipendi e dei c.d. gettoni di presenza degli amministratori nonché per il danno non patrimoniale, connesso al provvedimento illegittimo, che ha inciso su una sfera di interessi riconducibili al novero dei diritti inviolabili tutelati dall’art. 2 della Costituzione”.
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Quattro storie
San Luca, Corleone, Lavagna e Marano. Quattro casi emblematici
San Luca: nessun vuol fare il sindaco, l’ultimo nel 2008
Nessun candidato alle elezioni comunali, meglio i commissari straordinari. La politica non riesce a riappropriarsi del suo ruolo tra i monti dell’Aspromonte, nel Comune di San Luca, dove da tre anni “saltano” le elezioni comunali. Nessuna lista, nessun candidato, ma l’appello di un gruppo di cittadini che preferisce la terna commissariale ad un sindaco, una giunta ed un consiglio comunale regolarmente eletti.
Nel palazzo comunale, sin dal 2013, siede una commissione straordinaria insediata dopo lo scioglimento del Consiglio per infiltrazioni mafiose. L’ultima volta che i sanluchesi hanno eletto un sindaco risale addirittura al 2008, quando uscì vincente l’avvocato Sebastiano Giorgi, a capo di una coalizione civica. Da allora, urne e palchi per i comizi sono rimasti chiusi in magazzino. Il primo e unico tentativo di ridare organismi democraticamente eletti risale al 2015, quando venne presentata una sola lista che, però, non raggiunse il quorum del 50 per cento più uno degli aventi diritto.
Da allora, ogni anno, non si riesce a tornare alle urne. Tentativi sempre falliti, nonostante anche qualche impegno di associazioni e società civile. Nessuno vuole amministrare il comune calabrese noto, purtroppo, anche per i condizionamenti della criminalità organizzata, la faida di Duisburg e l’epoca dei sequestri.
Eppure, San Luca è anche tanta cultura e panorami suggestivi. È il paese che ha dato i natali a Corrado Alvaro. È arroccato nella suggestiva area dell’Aspromonte. Ma tutto questo non è mai diventata un’occasione di sviluppo. “Meglio i commissari” sottolineano i cittadini, “almeno hanno ridato un minimo di regole al nostro paese”.
Sullo sfondo anche quell’ombra di scetticismo rispetto ai legami con la ‘ndrangheta: “Il rischio è che una volta eletti gli organismi vengano comunque fuori legami di parentela sospetti, portando all’ennesimo scioglimento”. Il paese è piccolo, poco meno di quattromila abitanti, per cui ognuno ha in famiglia qualche legame dubbio o pericoloso. Ed allora, “restino pure i commissari”.
In municipio, comunque, si respira un'aria nuova. "Qualcosa si muove - dice all'AGI Salvatore Gullì, a capo della commissione straordinaria dal 2015 - finalmente in paese si è risvegliato l'orgoglio di appartenenza, la voglia di riprendere in mano il futuro. Purtroppo a San Luca il fatto che non si riesce a votare da tre anni rappresenta sicuramente un vulnus che però va superato, perchè è giusto che torni la democrazia. Quando lo Stato fa rete - sottolinea Gullì - siamo più forti della 'ndrangheta. E questo, a San Luca, sta succedendo".
Intanto, però, l’ombra della ‘ndrangheta a San Luca è più di un effetto mitologico. Dall’anonima sequestri, alla faida tra cosche rivali, culminata il 15 agosto del 2007 con la strage di Duisburg: sei morti ammazzati per proseguire l’interminabile scia di sangue tra le famiglie Pelle-Vottari in guerra con i Nirta-Strangio, impegnate in una faida cruenta scattata in seguito a quello che doveva essere un semplice scherzo di carnevale.
Nel 2017 un sussulto c’era stato. L’ex giudice Romano De Grazia e il sindacato di polizia Coisp avevano lanciato un progetto: la candidatura dell’allora segretario regionale del sindacato, Giuseppe Brugnano a sindaco. Era stato avviato anche un percorso politico, con incontri che avevano aperto le porte del palazzo comunale ad associazioni e movimenti locali.
Pochi mesi fa si è offerto anche il massmediologo Klaus Davi, dichiarandosi disponibile per una candidatura a sindaco. Tentativi che, almeno per ora, non hanno prodotto soluzioni concrete, lasciando a San Luca una terna di commissari straordinari, nell’incapacità della politica di tornare a creare azioni sinergiche e programmi risolutivi che possano fare ricredere tutti. A giugno del prossimo anno è previsto un nuovo turno elettorale, ed a San Luca si respira ottimismo. Forse è arrivato il momento giusto per riaprire le urne, tornare nelle piazze, riprendere in mano le redini del futuro politico ed amministrativo e chiudere, finalmente, la lunga fase del commissariamento.
(Rosario Stanizzi)

Corleone, dove solo 25% pagava tasse
"Il risveglio dell’attenzione dei giovani corleonesi lo consideriamo il vero successo di questo commissariamento. Saranno loro le sentinelle del futuro di Corleone". Dopo 24 mesi dal loro insediamento è questo il messaggio delle tre commissarie che hanno amministrato Corleone. Tre dipendenti del ministero dell'Interno, ma soprattutto tre donne, come raramente accade: Giovanna Termini, viceprefetto e presidente della Commissione; Rosanna Mallemi, viceprefetto aggiunto; Maria Cacciola, funzionario economico-finanziario.
Il Comune venne sciolto nell’agosto 2016, anche alla luce del blitz dei carabinieri "Grande Passo 3" del novembre 2015. Nel paese che fu roccaforte della feroce mafia stragista di Riina e Provenzano, il prossimo 25 novembre si tornerà a votare, ma ascoltando le protagoniste di questa sfida che hanno vissuto tra la gente e le strade che si irradiano e si inerpicano in questo centro così segnato dall'ascesa e dalla caduta degli uomini del disonore, si spera che la “ventata di normalità” portata in questi anni non svanisca.
"Abbiamo provato a difendere la dignità di Corleone e dei corleonesi in ogni modo", dicono le commissarie al cronista, "una difesa basata sui diritti e sui regolamenti, che non abbia bisogno di prevaricazioni. Corleone non è uno zoo, né per i turisti in cerca di escursioni di mafia, né per multinazionali alla ricerca di set pubblicitari per scimmiottare stanchi stereotipi".
Una delle prime revoche colpì dei locali comunali utilizzati anche dal figlio di Bernardo Provenzano come base logistica per dei mafia-tour. Si trovavano all’interno del Complesso Sant’Agostino che lo scorso 3 settembre ha celebrato la figura del prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, ospitando gli stati generali dell’Arma dei Carabinieri. "In questi giorni - spiegano - abbiamo concluso il recupero della struttura restituendola alla sua destinazione originaria. Era previsto un polo museale e già da adesso ospita delle mostre permanenti".
La gestione del Comune è passata per gesti amministrativi normali, ma non scontati da queste parti, come la riorganizzazione del personale e la verifica delle responsabilità di tutti. La prossima missione sarà la stabilizzazione di un centinaio di precari prima che si vada al voto. Negli anni precedenti allo scioglimento il Comune stava rischiando di sprofondare nelle paludi del proprio passato.
La riscossione delle tasse comunali era stata affidata al cognato di un capomafia e in tre anni era crollata dal 73% al 25%, gli amministratori si rifiutavano di costituirsi come parte civile nei processi per mafia e non esisteva un regolamento sulla gestione dei beni confiscati. Adesso tutti sono sollecitati a pagare, senza guardare in faccia a nessuno; una regola ferrea a cui non sono sottratti neppure i parenti dei boss: insomma, non ci sono più zone franche. Ci sono dei regolamenti per la rateizzazione dei tributi, per l’utilizzo dei beni sottratti ai boss e perfino per l’utilizzo dello stendardo cittadino, il cui uso prima era diventato un 'abuso'.
Le commissarie hanno contribuito a dar vita a un marchio chiamato De.Co che identifica tutti i prodotti di Corleone e hanno promosso un turismo che mette a sistema circuiti religiosi, beni confiscati e prodotti delle terre confiscate e affidate alle coop. Ora sarà possibile acquistarli all’interno di un mercato biologico nato all’interno di un immobile comunale, finanziato per questo scopo, ma fino a qualche anno fa utilizzato come parcheggio per mezzi comunali dismessi. Il logo del marchio è stato disegnato da una ragazza che vive nel Nord Italia.
In paese c’è molta curiosità verso i candidati alle elezioni del 25 novembre. Lo spauracchio è il ritorno al passato ma secondo le commissarie "c'è un senso di responsabilità, un senso civico che prima era abbandonato al caso singolo. Adesso c'è una chiara presa di coscienza e da questo dato non si potrà tornare indietro".
(Marco Bova)

Lavagna, la ‘ndrangheta e il patto sui rifiuti
All’alba del 20 giugno 2016 un’operazione di polizia (Dda e Squadra mobile di Genova) porta allo scoperto i rapporti tra ‘ndrangheta e politica nel comune di Lavagna, quinto centro per numero di abitanti del territorio metropolitano di Genova. Secondo gli inquirenti, il sodalizio è maturato nell’ambito del traffico illecito di rifiuti.
Quella mattina vengono arrestate 8 persone, tra le quali spiccano nomi noti della politica locale e nazionale: Giuseppe Sanguineti, eletto con la lista civica Movimento per Lavagna, vicino al centrodestra, sindaco della cittadina ligure dal maggio 2014, l’ex parlamentare Gabriella Mondello, eletta col Pdl e poi passata all’Udc e il consigliere comunale Massimo Talerico, con delega al Patrimonio e Demanio. I politici finiscono ai domiciliari, mentre in carcere finiscono in tutto 5 persone: Paolo, Antonio e Francesco Nucera, Francesco e Antonio Rodà. Le accuse, a vario titolo, vanno dall’abuso d’ufficio, al voto di scambio, fino al traffico di rifiuti.
L’indagine, denominata “I conti di Lavagna”, evidenzia come gli esponenti della politica locale avessero concesso appalti in cambio di pacchetti di voti. L’arresto di Mondello, in particolare, fa scalpore: nota al grande pubblico già nel 1973, quando divenne campionessa nel quiz televisivo Rischiatutto di Mike Bongiorno, diventa sindaco di Lavagna nel 1980, restando in carica per 24 anni, prima di entrare in Parlamento, dove siede dal 2001 al 2013. Centrale, nella vicenda, è il ruolo delle famiglie Nucera e Rodà: Paolo Nucera e Francesco Antonio Rodà sono considerati dagli inquirenti i capi della “locale” legata alla ‘ndrina Rodà-Casile di Condofuri, in provincia di Reggio Calabria.
È la prima volta che un legame del genere si palesa nel levante genovese. Gli investigatori avevano riscontrato gravi violazioni della normativa ambientale per lo sversamento in discarica di consistenti quantitativi di rifiuti solidi urbani pericolosi, con relativa falsa documentazione.
Nel prosieguo degli accertamenti, con un blitz del marzo 2017, a carico di alcuni degli indagati vengono formulate ulteriori accuse: spaccio di droga, usura e riciclaggio. Alla luce di quanto emerso nelle indagini, nel marzo 2017, il Consiglio dei Ministri - su proposta dell’allora titolare del Viminale, Marco Minniti - dispone lo scioglimento per inflitrazioni mafiose del Comune di Lavagna, affidandolo al commissario straordinario Paolo D’Attilio (già in carica dopo la decadenza del consiglio comunale, nel giugno 2016), sostituito a inizio settembre da Fabrizia Triolo, vicario della Prefettura di Savona.
Il 3 agosto di quest’anno il Cdm, su proposta del ministro dell’Interno Matteo Salvini, delibera la proroga dello scioglimento “in considerazione della necessità di completare l’azione di ripristino dei principi di legalità all’interno dell’amministrazione comunale”.
Negli anni scorsi la stessa sorte era toccata a Ventimiglia e Bordighera, in provincia di Imperia, ma in entrambi i casi il provvedimento era stato successivamente annullato dal Consiglio di Stato. Per i fatti di Lavagna sono a processo 19 persone. Ma c’è già stata una condanna: uno degli arrestati, infatti, Antonio Rodà, considerato dagli inquirenti uno dei presunti "boss" della locale, ha scelto il rito abbreviato e, a un anno dal blitz della polizia, a luglio 2017, è stato condannato a 14 anni e 8 mesi perché ritenuto colpevole di associazione mafiosa e di cessione di sostanze stupefacenti. Il 21 luglio 2018, però, la Corte d’Appello di Genova lo ha assolto dal reato associativo, rideterminando in 4 anni e 4 mesi la condanna per droga.
E se per il processo sono attesi tempi piuttosto lunghi, Lavagna, in primavera, potrebbe avere una nuova amministrazione: il voto potrebbe coincidere con le europee, a maggio, poco prima della scadenza del commissariamento, fissata a giugno.
(Alessandra Rossi)
Marano, “senza camorra sarebbe un Biafra”
Ventitré pagine e tanti omissis. È il dossier che ha portato a deliberare lo scioglimento del Comune di Marano per infiltrazioni della camorra. Una relazione che suggella una storia tormentata del grosso centro a Nord di Napoli, circa 60mila abitanti che ne fanno uno dei più grandi della Città Metropolitana, con una storia 'criminale' di tutto rispetto che vede legati a quel territorio il clan Nuvoletta, l'unica organizzazione criminale campana 'federata' con i Corleonesi, ma anche i Polverino, economicamente e militarmente molto potenti, ora cementati al clan Orlando.
Un intreccio fitto quello tra camorra e politica che ha pesantemente condizionato la vita dell'ente locale specie negli ultimi anni, ma soprattutto ha creato una economia nella quale lo sradicamento della camorra, come ha detto di recente in una intervista a Fanpage.it Mauro Bertini, sindaco di Marano tra il 1993 e il 2006 e probabile candidato della sinistra nelle elezioni in autunno, porterebbe a una "situazione come quella del Biafra. L'economia di Marano è tutta in mano ai clan".
Ne è prova anche l'indagine della Procura di Napoli del maggio 2017 sull''affare' da circa 40 milioni di euro per il Piano di insediamento industriale (Pip), un appalto pubblico sul quale, per i pm della Direzione investigativa antimafia, i Polverino allungano le mani attraverso i fratelli Raffaele e Aniello Cesaro, imprenditori fratelli anche del parlamentare di Forza Italia Luigi, arrestati e ora a processo. Il dossier della commissione di accesso porta al decreto del Presidente della Repubblica che scioglie il Comune per infiltrazioni mafiose il 30 dicembre 2016, nominando una commissione straordinaria alla guida della città per 18 mesi, prorogati poi nell'aprile di questo anno di altri sei; tuttavia Marano ha visto le sue ultime elezioni amministrative a giugno 2013 e, dopo le dimissioni dell'allora sindaco Angelo Liccardo a maggio 2016, è da più di due anni senza una amministrazione scelta dai cittadini.
Proprio il dossier della commissione di accesso dedicava ampio spazio alla gestione amministrativa dell'ex sindaco Liccardo, eletto con Forza Italia. Ma ci sono anche le parentele 'scomode' di altri ex amministratori, come il suo predecessore, Salvatore Perrotta, eletto con il Pd, e quel "15 per cento dei dipendenti dell'ente cittadino" con familiari coinvolti in vicende di camorra, alcuni dei quali indagati in procedimenti penali.
Proprio "la fitta rete di parentele, frequentazioni che legano amministratori ed alcuni dipendenti ad esponenti di famiglie camorristiche del territorio" indusse a marzo 2015 l'allora prefetto di Napoli Gerarda Pantalone a inviare al Comune una commissione d'accesso agli atti, composta dal viceprefetto Gerlando Iorio, dal capitano dei carabinieri Antonio De Lise e dall'ingegnere Antonio Bruno. L'ex sindaco Angelo Liccardo è nipote di Pasquale Liccardo, defunto boss del clan Nuvoletta, ed è imparentato con familiari di imprenditori condannati per associazione mafiosa.
"Questo reticolo di legami familiari e di affinità - si legge nella relazione - ha inciso tangibilmente sull'azione del primo cittadino, proiettata a costruire vantaggi illegittimi per i privati, per la sua famiglia e per la criminalità, secondo logiche del tutto avulse dalla corretta e trasparente gestione della cosa pubblica". Nella relazione si fa riferimento anche ad altri ex amministratori ed ex consiglieri legati da vincoli familiari o intrecci ad esponenti delle famiglie malavitose i cui nomi sono coperti da omissis nella relazione. "Assumono un particolare significato – si sottolinea ancora nella relazione - la vicinanza familiare e la contiguità con ambienti criminali di alcuni dipendenti, inseriti in uffici notoriamente esposti al rischio di corruttela e di interferenza, e i rapporti emersi tra i funzionari dell'ufficio tecnico e le imprese gestite da famiglie di imprenditori legati alla camorra".
(Lucia Licciardi)
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