Il grano antico che viene dall’Africa sbarca da noi quando molte certezze sono messe in discussione

Nuovi studi avanzano dubbi sulle virtù salvifiche di taluni alimenti. Ma chissà se è tutto da buttare

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Monococco, khorasan, amaranto, quinoa, sorgo, miglio, farro e teff sono solo alcuni dei popolari grani antichi arrivati a noi da tempi e paesi lontani e che, oggi, arricchiscono gli scaffali e i menù di tutto il mondo. Un vero esempio d’integrazione senza gommoni che continua ancora nel 2018. Basti sapere che è in arrivo dall’ Africa Occidentale il grano antico fonio (Digitaria exilis) , una pianta erbacea della savana priva di glutine, come il miglio, l’amaranto, la quinoa, il grano saraceno e il riso.  Ingredienti di un mercato di nicchia in netta espansione che è esploso nel 2010 e ha visto un incremento delle vendite del 269% dopo soli 12 mesi. Numerose sono le evidenze scientifiche che dimostrano i benefici di una dieta integrata con i grani antichi, anche sotto forma di pane e pasta, a tal punto da essere paragonati a elisir protettori poiché riducono il rischio di malattie croniche, come quelle cardiovascolari. E parliamoci chiaro: qui le bufale non c’entrano nulla.

Le certezze sono poche

Ma è notizia di questi giorni che il potere salutistico dei grani antichi sembrerebbe essere decaduto a seguito di accurate analisi di laboratorio, le stesse che anzitempo li hanno definiti i più efficaci tutori della biodiversità, rispetto ai grani moderni (o grani “migliorati”).

Negazionismo, revisionismo o fretta? Oggi esistono poche certezze alimentari basate sull’evidenza scientifica e una di queste riguarda l’assunzione quotidiana di grani integrali, e non raffinati, che aiuta a prevenire la mortalità da malattie cardiovascolari.  Partendo da questa pietra miliare, lo studio made in Italy, pubblicato dal giornale canadese Food Research International, opera delle distinzioni tra genotipi antichi e moderni coltivati in Italia. Gli autori dimostrano che farine integrali ottenute da genotipi antichi di grano duro (ad esempio, Russello, Etrusco, Dauno III e Senatore Cappelli) contengono quantità di proteine e glutine più alte di quelle dei genotipi moderni (ad esempio Sfinge, L14 e PR22D89), nonostante l’indice di glutine (che misura la forza del glutine) sia più basso. Non tutti i grani antichi, però, sono uguali.

Nuove fonti di proteine

Sebbene gli antichi Perciasacchi e Dauno III abbiano livelli di glutine e indice di glutine analoghi a quelli del moderno L14, essi detengono la più alta concentrazione di proteine. Una dote nutrizionale da non disprezzare, soprattutto in tempi in cui si propongono grilli e cavallette come nuove sorgenti naturali di proteine commestibili per un pianeta affollato.

Gli autori, ricreando in modo artificiale il normale processo di digestione, hanno osservato che le gliadine e le glutenine (proteine tipiche del grano) di alcuni frumenti antichi (come il Russello) generano quantità di peptidi immunogenici e tossici simili a certi grani moderni (come la Sfinge), nonostante tutte le altre varietà antiche integrali analizzate abbiano un potenziale immunogenico superiore a quello delle varietà moderne. Secondo i quotidiani, tutto ciò si tradurrebbe in un maggior rischio per i consumatori di entrare a far parte di quell’1% della popolazione affetta da celiachia (grave malattia infiammatoria dell’intestino) oppure di quel 6-8% di individui intolleranti al glutine ma non celiaci

Anche qui il clima è fondamentale

È tanto il clamore suscitato da questo studio in vitro, sebbene alcuni studi clinici, forse meno noti al pubblico, abbiano dimostrato che i celiaci tollerino meglio il glutine dell’antico monococco rispetto al riso (notoriamente senza glutine) e i grani moderni siano più ricchi di Glia-alfa9 , una proteina tossica del glutine. Al fine di aiutare a comprendere meglio il tutto, nonostante gli studi discordanti allontanino, per il momento, sentenze definitive, non va dimenticato che la scarsità delle piogge e le alte temperature ambientali durante il periodo di riempimento del grano, potrebbero contribuire a far elevare i livelli di glutine e delle sue proteine tossiche (come le gliadine omega-5), indipendentemente dal genotipo.

Fattori che andrebbero considerati quando si selezionano i grani da utilizzare in una dieta. Sebbene l’argomento sia controverso, non abbiamo abbastanza prove per ignorare che i livelli di glutine tossico nei grani possano dipendere dalla loro coltivazione. Ma i grani antichi possono essere discriminati tout court sulla base del loro rapporto glutine-gliadine, nonostante alcuni di loro ne siano privi per natura?

Nel 2012, le analisi del sangue di volontari sani, reclutati come gruppo controllo, avevano rivelato livelli di anticorpi anti-glutine più alti dei celiaci.   Un’evidenza che ha fomentato lo scetticismo degli scienziati sul ruolo assoluto del glutine alimentare nell’innescare la celiachia o il danno infiammatorio della barriera intestinale, a tal punto da indurli a chiamare, per la prima volta, sul banco degli imputati il glutine non alimentare contenuto nelle plastiche, in alcuni farmaci, integratori vitaminici, cibo per animali, plastiline e negli apparecchi ortodontici . Ma questa è un’altra storia.  

Questioni di amido

Oltre al glutine, i meno noti Fodmap, cioè i polimeri oligosaccaridi a catena corta del fruttosio, galatto-oligosaccaridi, disaccaridi, monosaccaridi e alditoli (come sorbitolo, mannitolo, xilitolo e maltitolo) fermentabili, sembrerebbero non essere privi di colpe.

Come cambia il contenuto in fibre, carboidrati e amido nei grani antichi rispetto a quelli moderni? In questo ci viene in aiuto lo studio italiano . Emerge, infatti, che le farine integrali dei grani antichi e moderni analizzati hanno lo stesso contenuto in fibre alimentari, solubili e insolubili. I carboidrati e l’amido totale, invece, sono più alti nelle farine integrali “moderne”, sebbene quelle “antiche” contengano maggiori quantità di amido resistente ovvero non digeribile da parte delle alfa-amilasi dell’intestino tenue. L’amido resistente, come tutte le fibre solubili, contribuisce a rimodellare il microbiota intestinale favorendo un aumento dei Bacteroidetes, batteri del colon che, fermentando le fibre solubili, generano gli stessi acidi grassi a catena corta (propionato, acetato, idrossibutirrato) tipici del digiuno, e dalle straordinarie proprietà epigenetiche nel favorire l’espressione di geni protettivi , anche prima di un intervento chirurgico.

Ed ecco che i ricercatori italiani aggiungono un dato d’interesse ristoceutico. Dopo la cottura, le percentuali di amido resistente nella pasta integrale fatta con farina “antica” si riducono da oltre il 6% a quasi il 2%, mentre aumentano fino all’1,7% nella pasta integrale “moderna”. I dati presenti nell’articolo, però, non permettono di accertare quanto amido resistente residuo sia stato gelatinizzato ovvero reso digeribile, anche se il raffreddamento della pasta lo renderebbe nuovamente fermentabile.

Battaglie del grano

Nell’attesa di nuovi studi clinici e meccanismi più chiari, la guerra dei grani non sembra trovare pace. Nel 2018, infatti, la stessa rivista canadese (Food Research International)  ha pubblicato i risultati di uno studio, condotto da un altro gruppo di ricercatori italiani, che suggerisce come gli effetti anti-infiammatori dei grani antichi siano dovuti a una migliore interazione tra vari composti chimici (molti ancora trascurati) diversi dalle proteine .

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Benito Mussolini (AGF) 

Mentre la ricerca va avanti, è importante ricordare che i grani antichi di oggi sono molto diversi dal frumento della dieta dell’Uomo di Altamura o degli abitanti dell’Impero Romano, perché, sebbene siano sopravvissuti alla Battaglia del Grano del ventennio fascista e alla Rivoluzione Verde degli anni ‘60 , hanno subìto spontanei adattamenti di tipo genetico all’ambiente e alle tecniche di coltivazione (come l’uso di fertilizzanti azotati).  Nonostante questa eredità, i grani antichi, più ricchi di micronutrienti (come zinco, magnesio, ferro, calcio), alcune vitamine (come l’acido folico), polifenoli e carotenoidi, potrebbero subire la castrazione genetica dei peptidi più immunogenici della gliadina usando tecnologie di ingegneria genetica, che interferiscono con  l’espressione del suo RNA.

Ma sarà davvero necessario? Al nuovo anno l’ardua sentenza.



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