(AGI) - Palermo, 13 lug. - Se la trattativa ci fu, non si sa con certezza: ma se ci fu, Bernardo Provenzano ne fu una pedina essenziale, lo stratega e il mediatore. E' il capo corleonese morto oggi ad essere al centro della ricostruzione dei pm del processo che, a Palermo, sta cercando di capire se e come i presunti accordi tra pezzi di Cosa nostra e pezzi dello Stato incisero sulla stagione delle stragi del '92-'93, se rafforzarono l'intendimento dei boss di ricattare lo Stato, per ottenere l'ammorbidimento del carcere duro e altre concessioni, se contribuirono a creare l'aspettativa che le istituzioni potessero cedere al volere delle cosche. Il ruolo di "Binu" e' stato delineato da Massimo Ciancimino, certo non il massimo dell'attendibilita', ma collaboratori di giustizia considerati piu' affidabili hanno riconosciuto a Provenzano la figura della cerniera tra le due parti in causa: la politica del bastone e della carota, della mediazione e della sommersione piu' che dello scontro frontale, della sapiente alternanza del delitto a scopo intimidatorio e "terroristico", a cominciare dall'eliminazione di Salvo Lima, vede in Provenzano un elemento insostituibile, un "ragionatore" o "Ragioniere", soprannome che si alterna a quello di "Tratturi" e di "Zio". Attraverso il medico-boss Antonino Cina', Provenzano avrebbe fatto conoscere le condizioni di Cosa nostra per fermare le bombe che, nella primavera-estate del 1992, avevano colpito prima Giovanni Falcone e poi Paolo Borsellino. Lui avrebbe scritto i pizzini a don Vito Ciancimino, altro terminale della trattativa e interlocutore proprio di "Binu", lui avrebbe dettato tempi e modi di incontri e reciproche concessioni: ma questa parte, riconducibile alle dichiarazioni del figlio dell'ex sindaco mafioso e ai bigliettini da lui portati ai magistrati, non e' del tutto convincente, cosi' come i bigliettini, la cui natura, forma e tipo di scrittura (oltre che la macchina da scrivere usata) differisce non poco dalle carte riferibili sicuramente a Provenzano. Pentiti come Giovanni Brusca sostengono comunque che Provenzano non sarebbe stato del tutto concorde con la linea sanguinaria di Riina. Cosa che non spiega pero' come - a Riina catturato, a gennaio del 1993 - le stragi proseguirono al Nord, con la partecipazione e il mandato di uccidere dettato ancora una volta del "numero due" corleonese. Difficile credere poi che veramente "Binu" abbia tradito Toto', per fermare le stragi e scendere a patti con lo Stato: perche' i morti di Roma, Firenze e Milano e il fallito attentato contro i carabinieri, programmato il 23 gennaio 1994 allo stadio Olimpico di Roma, stanno li' a dimostrare che nessuna vera intesa era stata raggiunta tra le parti in causa. Soprattutto c'e' quella responsabilita' di Provenzano per gli eccidi, accertata da sentenze passate in giudicato, a far traballare questa ricostruzione. Tuttavia, a parte le affermazioni di Ciancimino figlio - piu' volte smentito, nelle sue dichiarazioni - di recente anche Toto' Riina, sia in alcune frasi da lui dette in presenza di agenti del Gom (e da questi ultimi riferite ai magistrati) che in quelle registrate in carcere, mentre discuteva col "compagno di socialita'" pugliese Alberto Lorusso, ha rilanciato le tesi del tradimento e dei contrasti con il suo vice. Cosa che confonde ulteriormente un quadro gia' abbastanza appesantito da voci, dicerie, "tragedie" messe in giro ad arte e che contribuisce non poco ad alimentare il mistero su una stagione tragica e confusa come quella del '92-'93. (AGI)
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