(AGI) - Palermo, 7 set. - Se il mare ha una voce, e per la verita' ne ha tante, assomigliava anche alla sua. Maria Costa, la 'poetessa dello Stretto', oggi e' morta. Il 15 dicembre avrebbe compiuto 90 anni. Era l'anima antica in versi di Messina e dei suoi miti, custode di una storia collettiva resa nella sua unicita' dialettale. Tanti i premi ricevuti e nel 2006 e' stata inserita nel Registro Eredita' immateriale - Libro Tesoro Vivente Umano della Regione siciliana, secondo i criteri della convenzione Unesco. Nata a Messina il 12 dicembre 1926 da una famiglia di pescatori: il padre era un marinaio con la passione della poesia e ha sviluppato presto la duplice attitudine di poetessa popolare e di ambasciatrice di uno sterminato patrimonio di memorie orali. E' cresciuta nel piccolo borgo marinaro di Case Basse, in localita' Paradiso, nello stesso luogo dove Giovanni Pascoli ebbe l'ispirazione per la poesia "L'aquilone", proprio osservando sulla spiaggia i ragazzi che lanciavano i loro aquiloni. Maria Costa ha quindi negli occhi lo stretto di Messina, questo braccio di mare tra miti e leggende, per lei rifugio e fonte d'ispirazione. Per molti anni ha pubblicato volumi di poesie, racconti e storie di vita, attinti dal patrimonio orale e nei quali rivive lo spirito della cultura tradizionale messinese pre-terremoto 1908. Come quella espressa da Colapesce, giovane pescatore messinese, dall'aspetto bello e forte, il cui nome era Cola, viveva per il mare, la sua casa e la sua piazza; i suoi amici erano i pesci e per compagnia aveva le sole stelle. Era veloce quando remava e persino i delfini non riuscivano a stare dietro alla sua barca. A lungo andare questa amicizia del mare, pero', gli tolse dal cuore ogni altro affetto. Conobbe le ninfe marine e le sirene che con canti e vezzi lo incantavano; egli allora cercava di afferarle, ma gli sfuggivano. E dagli abissi sentiva le loro voci che lo invitavano a trovarle. Una storia di liberta' conquistata, ma anche sofferta che la poetessa dello Stretto nei suoi versi aveva reso in questo modo: "So matri lu chiamava: Colapisci! sempri a mari, a mari, scura e brisci, ciata 'u sciroccu, zottiati sferra, o Piscicola miu trasi ntera! Iddu sciddicava comu anghidda siguennu 'u so' distinu, la so' stidda". Seguiva il destino e la sua stella Colapesce. Come Maria, adesso piu' che mai. (AGI)
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