“Faccio un appello. Non più fonti parlamentari (anonime)” aveva detto Nicola Zingaretti nel salone del Nazareno, lasciando intendere che non avrebbe risposto alle domande dei giornalisti dopo la sua lunga dichiarazione sulla trattiva con il M5S. Per aggiungere subito dopo che “chi si vuole assumere la responsabilità di ciò che dice si faccia avanti con nome e cognome. Faccio quest’appello – ha poi proseguito – perché siamo in un momento delicato in cui si deve parlare con i fatti e i processi vanno gestiti con il massimo della serietà. Da questo momento le ‘fonti’ non le commento più…” ha poi concluso.
Così, alla scadenza del terzo dei cinque giorni concessi dal capo dello Stato a Pd e M5S per verificare l’esistenza di un patto giallorosso, Zingaretti ha inviato un messaggio di condotta piuttosto forte e forte e chiaro ai capi area del Pd con un particolare riguardo a Matteo Renzi e alle sue improvvise esternazioni.
Ciò che fa osservare in una cronaca al Corriere della Sera, edizione cartacea, che “la palla, in realtà, l’aveva alzata per primo Dario Franceschini che ha invitato il Pd a comportarsi come Bearzot e Zoff” ai Mondiali del 1982. E secondo l’ex ministro della cultura “ai Mondiali dell’82 il silenzio stampa portò fortuna. È tutto molto delicato e difficile e faccio una proposta a tutti i compagni di squadra del Pd: fino alla fine della crisi parla solo Zingaretti per tutti, come allora fecero gli azzurri con Zoff».
Così la Repubblica ha telefonato all’ex portiere della Nazionale Dino Zoff interrogandolo sul silenzio stampa di 37 anni fa, per verificare se davvero portò fortuna come detto da Franceschini. Risposta di Zoff: “Per carità, non parliamo di fortuna: non fu assolutamente una questione di buona sorte. Franceschini neppure immagina come ci sentivamo noi: eravamo bersagliati dal 95% della stampa, avevamo tutti contro. Forse lui al massimo ha il 5% contro”.
Zoff racconta che si arrivò a quella decisione di non parlare più con i giornalisti perché “pensammo che fosse impossibile continuare in quel modo, ogni giorno condannati a giustificarci su tutto quello che facevamo perché quello che facevamo era tutto sbagliato. Così diventammo muti. Io solo ero autorizzato, da capitano e da membro più anziano del gruppo, a intrattenere rapporti”. Però Bearzot, l’allenatore della Nazionale, “non era molto contento della nostra decisione. Lui era un grande ma era anche molto istituzionale, non amava i colpi di testa fuori dal campo…” forse perché sentiva anche la responsabilità di essere un po’ il portavoce di quella fase.
Zoff conferma e aggiunge: “Era giusto che fossi io a confrontarmi con le persone. Meno male che per carattere potevo contare sulla mia tranquillità olimpica…”. La cosa andò bene, “ma non per fortuna” sottolinea Zoff.