Sulle ragioni della sconfitta del Pd le analisi politiche si sono sprecate e molte ne leggeremo ancora nei prossimi giorni. L'uomo che del Pd scrisse il programma elettorale, il professore della Bocconi Tommaso Nannicini ha deciso quindi di concentrarsi sulle "emozioni della sconfitta", come recita il titolo del post pubblicato su Medium. Mettendo, per prima cosa, in fila qualche elemento.
- Primo: "Le ferite ancora aperte della crisi economica (rispetto alle quali, noi del Pd, avremmo dovuto mostrare più empatia, facendo capire che per cicatrizzarle occorrono tempo e scelte coraggiose, come quelle che avevamo iniziato a fare)".
- Secondo: "Il fascino di soluzioni tanto semplici quanto illusorie rispetto a nuove insicurezze (a fronte della nostra incapacità di inserire in una 'costituzione emotiva' risposte più solide perché più complesse)".
- Terzo: "Il malcontento verso un rinnovamento troppo lento o scarsamente selettivo della nostra classe politica. Tutti questi elementi hanno finito per soffiare sulle vele di forze estremiste e populiste, che in Italia hanno trovato terreno fertile anche per le storiche debolezze delle nostre istituzioni e per il ruolo che l’anti-politica ha giocato a più riprese nella nostra cultura collettiva".
Nannicini rivendica i risultati dei governi a guida Pd - dal reddito di inclusione al biotestamento - e la bontà delle proposte "altrettanto forti" presenti nel programma. Ma attenzione: "Perdere le elezioni quando hai fatto cose buone per il tuo Paese non è un’attenuante, ma un’aggravante. Vuol dire aver fallito sul terreno della politica. Non c’è stato solo un problema di comunicazione. C’è stato un problema politico".
Ovvero: "Abbiamo fatto fatica a ricondurre le nostre scelte di governo (o le nostre proposte elettorali) dentro a quella che la psicologia politica chiama “costituzione emotiva”: quell’insieme di valori, principi e macro obiettivi che plasmano l’identità di un partito. Troppe scelte che abbiamo fatto faticavano a stare dentro alla stessa costituzione emotiva. Finendo per non far capire agli elettori per che cosa si stesse battendo il Pd".
"Abbiamo ammainato la bandiera del cambiamento"
Eppure, sottolinea l'accademico, "c’è stato un periodo in cui il nuovo corso del Pd una costituzione emotiva l’ha saputa trovare", cioè gli anni della "rottamazione", della voglia di cambiamento del quale il 41% di italiani che votarono sì al referendum costituzionale riconosceva il Pd come portatore. "Anche per questo è stato un errore non rilanciare il tema del rinnovamento istituzionale nel nostro programma", prosegue Nannicini, "abbiamo ammainato una bandiera che ci aveva dato un’identità riconoscibile".
Serve quindi "un partito di tipo nuovo, un partito che fa il partito, che intermedia la società in forme nuove, che dialoga con altri corpi intermedi, con altri centri dove si raccolgono esperienze e si elaborano idee". E, soprattutto, ritrovi un rapporto con il territorio, serbatoio fondamentale per il rinnovo della classe dirigente. "Perché è inutile negarlo: il voto in certe aree del Paese non si spiega solo con le proposte degli altri partiti, ma anche con l’inadeguatezza della nostra classe dirigente (per usare un eufemismo)", conclude Nannicini, "ci aspetta una lunga traversata nel deserto. Prima di scegliere il capitano, dobbiamo chiarirci le idee sulla destinazione finale. E dotarci di una bussola. Dopodiché, non resterà che mettersi in marcia. Senza fretta, ma senza sosta".