“La destra ha saputo più di noi cogliere lo smarrimento degli italiani, lo sradicamento di legami antichi, la paura della frammentazione e della dispersione”. In un intervento a propria firma sul Corriere della Sera, il segretario del Pd Nicola Zingaretti nel domandarsi perché “Salvini e la destra siano così forti” si è dato questa risposta, un tema “che – scrive – generalmente viene poco analizzato nei commenti e nel dibattito politico”, anche se i motivi sono molteplici tra cui sicuramente c’è “la presenza sul territorio”.
Zingaretti aggiunge poi che “il partito va rifondato” e che bisogna smetterla con “egoismi e conflitti” interni, perché “i cittadini impauriti vogliono ritrovare la loro ‘casa’. La loro ‘casa interiore’, protettiva e in grado di far loro esprimere i bisogni, i desideri e i talenti di cui sono dotati”. “Non si vive senza una ‘casa’” scrive ancora il segretario dem che riconosce alla destra sovranista in tutto il mondo e alla Lega in Italia, in particolare, di saper proporre e offrire “approdi forti e chiari”. Certo, aggiunge, sono approdi “autoritari, regressivi e intollerabili per noi, illiberali e xenofobi”. “Ma sono approdi, forme cui aggrapparsi”, analizza. “Simboli identitari e sicurezze ideologiche” che danno forza e sostanza ai singoli e alla collettività.
E riconosce: “Salvini è il migliore a raccontare e rappresentare i problemi” ma è anche “il peggiore a risolverli”, chiosa subito dopo. Di più: “È un tifone di bugie raccontate con un sorriso”. Da qui l’autocritica, perché di fronte a questo enorme macigno “il centrosinistra non è stato in grado di fare altrettanto sulla base di un suo rinnovamento ideale, programmatico e identitario”, scrive ancora il segretario, che nell’analizzare questa dispersione di forze e di intenti ammette che per arrivare a questo punto “ci abbiamo messo anche qualcosa di nostro”.
E fa l’elenco delle mancanze, come lo sono “una storia di conflitti, separazioni, di chiusure e a volte di egoismi”. Per poi mettere sotto accusa l’essersi rintanati, chiusi a riccio “nel proprio io”, nelle proprie certezze, quando invece l’essenziale era “far sentire al popolo la forza del noi e la voglia di sentirsi parte di una comunità” e puntare l’indice contro una prassi, un modo di fare molto comune nel suo schieramento: “Solo nel campo democratico è stata così forte la spinta a difendere le proprie posizioni in modo assertivo e solitario”, accusa.
Da questa osservazione, Zingaretti fa perciò anche discendere la constatazione di aver avvertito a volte “una resistenza politica, ma persino psicologica, ad aprirsi davvero a una ricerca libera per costruire un destino comune”. In questo quadro il Pd che fa? “Resiste” e allo stato attuale lo si può considerare anche come l’unico “argine” all’ondata impetuosa della destra sovranista che avanza. Ma è sufficiente resistere, si chuede il segretario del Pd, “si può andare avanti così?” La risposta è che “sbaglia chi lo vuole picconare” perché così facendo, attaccando di continuo il Pd “si indebolisce la democrazia”.
Come ovviare, allora, allo stato presente delle cose? Zingaretti dice che non basta più per risolvere queste difficoltà “un partito monoculturale o del leader” ma nemmeno “un arcipelago di confuse parzialità” che portano a praticare una politica ”lontana dalla vita”. Aprirsi, indica Zingaretti, aprirsi dunque alla società “con forme di rappresentanza più coinvolgenti e libere per i singoli iscritti”. E per questo obiettivo propone per il mese di novembre l’apertura di “un grande confronto politico e culturale su come pensiamo gli anni 20 del nuovo secolo” anche “rimettendo mano in modo radicale allo statuto e alla forma partito”.
Perché il punto, scrive, è che “non si tratta di cambiare qualche regola ma di una scelta politica di fondo”, ma di “cambiare davvero tutto per dare alla democrazia italiana un soggetto plurale ricco e partecipato della politica” secondo i principi di “ ricostruire una comunità aperta”. “Rifondare il Pd per me significa in primo luogo questo” scrive il segretario dem.