“Lui ha deciso di collaborare con la giustizia, rompendo ogni legame con Cosa nostra, rendendo dichiarazioni che hanno trovato riscontri e conferme. Il ‘pentimento sociale’ richiesto dai giudici di sorveglianza secondo me è rappresentato anche dalla collaborazione che non s’è interrotta in oltre vent’anni, perché ha aiutato a scoprire la verità su ciò che era avvenuto e impedito ulteriori crimini”. In un’intervista al Corriere della Sera è netto il giudizio di Pietro Grasso, ex procuratore della Repubblica a Palermo ed ex presidente del Senato, su Giovanni Brusca, l’omicida del giudice Falcone e sulla sentenza della Cassazione che ieri ha deciso che Brusca deve continuare a rimanere in carcere nonostante la sua attiva collaborazione con lo Stato.
Grasso, che sostiene che “la decisione è andata nelle mani giuste”, ovvero “quelle dei giudici” perché non crede che la sua opinione “dovesse in qualche modo condizionare la decisione presa” in quanto “i giudici devono emettere un provvedimento sul piano tecnico, senza essere influenzati dai sentimenti delle vittime”, tuttavia ritiene anche che Brusca “uno come Brusca non si può valutare alla stessa maniera” di Riina e Provenzano, che – a suo avviso - è stato giusto che siano rimasti in carcere fino alla loro morte”.
Poi l’ex magistrato ricorda che “sì, è vero, anch’io posso ritenermi una vittima di Giovanni Brusca”, perché “ha progettato un attentato contro di me e voleva rapire mio figlio” e anche perché “tra le centinaia di persone che ha ucciso o di cui ha ordinato la morte c’erano alcuni miei amici” ma è pure vero – sottolinea – “che queste cose le sappiamo grazie a lui, alla sua collaborazione e confessione. Le ha dette anche a me, durante decine di interrogatori” riferisce.
Dopodiché, insiste Pietro Grasso, “Brusca ha fatto ricorso ed è toccato alla Cassazione” decidere, pertanto “la via giudiziaria è quella corretta”. Ma l’ex procuratore aggiunge anche che quando ha avuto a che fare con lui “avevo l’obiettivo di cercare la verità. Non mi sono preoccupato di ottenerne le scuse o richieste di perdono”. E precisa: “La legge per ‘ravvedimento’ intende altro” anche se Grasso condivide il dolore e la rabbia di chi, come Maria Falcone e i parenti delle vittime della strage di Capaci, chiedono giustizia, “ma so – aggiunge Grasso – anche che i giudici per fare il loro dovere sono tenuti ad applicare le norme prescindendo dai sentimenti delle vittime, per dimostrar e che l’ordinamento statale opera secondo giustizia e mai secondo vendetta”.
Grasso poi si dice preoccupato per il rischio che l’ergastolo ostativo, che impedisce la concessioni dei benefici a mafiosi e terroristi non pentiti, venga bocciato senza appello dalla Corte europea dei diritti umani, perché – afferma - “non sono sicuro che a livello europeo, attraverso la sola lettura delle carte, si riesca a percepire fino in fondo la pericolosità e l’incidenza della criminalità organizzata in Italia”. A suo avviso, infatti, “la strada per uscire dall’ergastolo ostativo c’è già, e ovviamente dipende dallo spessore criminale dei singoli detenuti”, per poi ricordare che “l’abolizione dell’ergastolo era uno dei punti del papello di richieste che Riina pretendeva dallo Stato per fermare le stragi”. E chiosa: “Ce l’ha raccontato proprio Giovanni Brusca”.