Per quanto modesto possa esser stato il test elettorale nella piccola Basilicata, grande è stato però l’impatto. Sul governo, soprattutto. Sui rapporti di forza tra Lega e M5s. La prima avanza, il secondo arretra. Quindi sulla stabilità dell’alleanza. Che sembrerebbe scricchiolare. O dare segnali di cedimento. C’è fastidio. Intemperanza. Fibrillazione. “Il voto agita la maggioranza”, esplicita il Corriere della Sera. “Di Maio in crisi accusa Salvini”, incalza Il Messaggero. “Il Governo in debito” sottolinea la Repubblica.
Sono, questi, i tre temi centrali e forti che si snodano sui giornali di questa mattina nelle tre esemplificazioni più esplicite. Perché in ogni caso quel che è evidente è che l’esito del voto delle regionali in Basilicata ha finito “per scuotere la maggioranza giallo-verde”, ora con il trattino, a sottolinearne la non coesione, come sintetizza nell’incipit “in prima” il quotidiano di via Solferino.
La pazienza di Di Maio ha un limite
La resistenza elettorale di Silvio Berlusconi con Forza Italia “spiazza la Lega” come racconta Francesco Verderami, e spinge a reagire il leader pentastellato Luigi Di Maio: “Non abbiamo bisogno di Berlusconi, ci sono troppe ammucchiate” (e “nonostante tutto in Basilicata siamo la prima forza politica” ribadisce nell’intervista a pag. 9). Anche se per la cronaca del quotidiano milanese il vicepremier leghista Salvini sembra gettare acqua sul fuoco e rassicurare l’alleato: “Luigi stia tranquillo”, quasi a replicare l’”Enrico stai sereno” di renziana memoria, rivolto con un tweet al premier Letta nel ribaltone di Palazzo Chigi del 2014.
Rassicurazione che sul Messaggero si sostanzia nel titolo “Salvini: insieme altri 4 anni”. Però, a fianco, lo stesso quotidiano della capitale, raccoglie in un retroscena lo sfogo del vicepremier a 5 stelle: “Mi spiegate cosa ha fatto Salvini sinora? Ha rimandato indietro un barcone e ‘Quota 100’, misura criticatissima in Europa e che ci costa una valanga di soldi. Mentre i clandestini che doveva respingere sono tutti qui”.
È chiaro che nel voto regionale di domenica l’anello debole è oggi il Movimento di Grillo e Casaleggio, che – come si può leggere a pag. 10 ancora del Corriere – “in un anno perde 6 voti su 10. Male il Pd, cresce solo il Carroccio”. Dove, per quest’ultimo, gli elettori sono “quasi triplicati”. A questo stato di cose, il leader pentastellato sembra puntare sul recupero della radicalità delle origini e sul coinvolgimento di Alessandro Di Battista, marginalizzato in questa ultima fase, oltre che sul cambio della legge elettorale e sull’essere anche “Più aggressivi in tv”.
L'economia non può attendere
Ora il punto, però, sembra essere un altro - secondo la versione de la Repubblica – che punta il dito accusatorio sul fatto che “il debito pubblico sfonda ormai tutti i record” perché in un anno, da gennaio a gennaio, “è aumentato di 71 miliardi al ritmo di 6 miliardi al mese” mettendo sulle spalle di ciascuno di noi 38.000 euro di costi. Un circolo vizioso di spesa senza controllo che nell’analisi sostenuta dal quotidiano comporta “tagli a cantieri, scuola, sanità. Un conto salatissimo per gli italiani.
Perché “la prima conseguenza, la più diretta, dell’eterna corsa del debito pubblico è il corrispondente aumento della spesa per interessi. (…) Sono soldi, tanti soldi, sottratti ai servizi per i cittadini, agli investimenti pubblici, agli stimoli per l’economia privata. Naturalmente il governo può provare a mantenere inalterato il livello dei servizi ai cittadini, e anche a introdurre nuove misure di spesa (è quello che sostanzialmente ha fatto il governo Lega-Cinque Stelle con la legge di Stabilità per il 2019) ma il prezzo da pagare è un saldo di bilancio negativo. Cioè un deficit (programmato per l’anno in corso poco sopra il 2% del Pil, ma le previsioni pressoché unanimi puntano già su un valore intorno al 2,5%)” si può leggere sul quotidiano diretto da Carlo Verdelli.
Ma anche l’analisi che ne fa Dario Di Vico sul quotidiano di via Solferino è piuttosto preoccupata: “Nessuno può dirci con certezza se la recessione alla fine si limiterà a restar tecnica ovvero rimarrà nell’ambito di una pura valutazione statistica oppure s e dovremo scontare un nuovo ridimensionamento dell’economia italiana. Che — ne dobbiamo essere coscienti — produrrebbe inevitabilmente una forte penalizzazione del peso della nostra industria e consistenti rischi per l’occupazione. Il guaio è che il governo e i partiti che ne detengono le chiavi non se lo chiedono con la dovuta ansia, sono già concentrati sulla campagna elettorale europea e sulla ricerca del posizionamento più opportuno per massimizzare le chance di successo di questo o quel leader”.
L’economia non può attendere. Ciò che spinge il ministro Tria ad incontrare a Singapore i Fondi sovrani in una missione nella città-stato asiatica – come racconta Il Sole 24 Ore – con l’intento di coinvolgerli sui grandi piani di investimento strutturali.