“Sfidare i populisti al voto”. E “accogliere gli italiani”. "Accoglierli nelle strutture pubbliche, offrendo servizi adeguati, con la capacità di farli sentire sicuri, istruiti e curati”. È la ricetta di Carlo Calenda, pd sui generis, in un’intervista che appare oggi su La Stampa in cui dice anche: “Salvini è forte perché noi siamo deboli”.
L’esponente Pd di recente acquisizione teme una “deriva venezuelana” e quindi insiste sulla necessità di “creare un fronte fondato sui valori della Repubblica e della democrazia” con un programma in tre punti: “Migliorando la Sanità che in alcune regioni del Sud rasenta situazioni da sottosviluppo”, “intervenendo sull’istruzione, visto che siamo uno dei paesi più ignoranti d’Europa”, “spingendo sugli investimenti, per industria 4.0 e ambiente”.
Secondo l’esponente dem andrebbe riprodotta “l’alleanza costruita in Europa fra popolari, liberaldemocratici e socialdemocratici, mettendo insieme la componente innovatrice della società civile, la classe dirigente, imprenditori e sindacati, il terzo settore, la gente che lavora, insomma”. Dunque l’Italia è giunta a un bivio e non può più “rinviare la decisione su cosa essere”. Anche perché, spiega, “Salvini vuole rendere il Paese un misto fra Turchia e Russia. La parte degli italiani che studia, lavora e fatica deve compiere una scelta consapevole per alzare gli standard e renderli europei”.
E quanto a Salvini, “forte non lo è di per sé”, dice Calenda, “ha preso il 16% degli aventi diritto al voto. Se il Paese serio si mobilita, se i Roberti e i Bartolo si impegnano, ce la faremo. Non stiamo mica parlando di Putin” ma “di uno che non ha mai lavorato in vita sua, che abbiamo mandato in giro a fare chiacchiere a nostre spese e che non ha messo piede al Viminale”. Però, obietta l’intervistatore, però quando dice che non vuole accogliere i migranti viene acclamato da un italiano su tre, come si spiega?
Per Carlo Calenda, dunque, s’è parlato moltissimo in questi anni di accoglienza degli stranieri “e dimenticato l’accoglienza più importante, quella degli italiani, che s’è deteriorata perché la macchina pubblica non funziona”. Invece “dobbiamo ‘accoglierli’ nelle strutture pubbliche, offrendo servizi adeguati, con la capacità di farli sentire sicuri, istruiti e curati. Non puoi essere generoso se non sei giusto”. Ed esser tale significa che “nessuno può sostenere che la politica giusta sia aprire i confini indiscriminatamente a chiunque voglia entrare”. Il dovere dello Stato è, semmai, “essere attento a come la migrazione impatta soprattutto sui cittadini meno abbienti che convivono con chi è entrato” sostiene. Perciò “i flussi vanno gestiti e regolarizzati” anche perché “abbiamo bisogno di regolari che si possano integrare”.
Calenda sostiene anche che “siamo a un passo dal baratro” perché “Salvini vuole uscire dall’Europa” e allo stato attuale “solo un italiano su tre si considera europeo”. Ciò significa che come s’è potuto vedere nel Regno Unito “occorre sapere che l’impossibile succede in fretta”.
Su chi guiderà il Fronte che lui auspica dice che “sarà designato dalle primarie di lista” e lui si candiderà “se necessario” ma lui ha sempre pensato che Gentiloni “sia una figura di grande qualità”: “Se c’è lui, io non servo” aggiunge Calenda. Sull’isolamento suo e di Zingaretti che invocano il voto subito non è affatto d’accordo, perché “la stragrande maggioranza di quelli che hanno votato Zingaretti e considerano Gentiloni leader la pensa così”. E lui ritiene che la pensi così “anche la maggioranza di chi guarda a Renzi con interesse”. Quella di Renzi è infatti una giravolta estemporanea, nata senza alcuna discussione e confronto”.
Per prendersi il Pd? “La scissione era già cominciata prima. Se ne vuole andare, lo faccia e che Dio lo accompagni. Però lo faccia. Invece la sua strategia è quella di star dentro al Pd per fare la guerra al Pd”. E lui resiste invece “perché ha bisogno di sei mesi per fare il suo partito” conclude Calenda.