di Ugo Barbara - @ugobarbara
Roma - L’appuntamento più importante che Matteo Renzi avrà al Cottolengo non è con Don Andrea Bonsignori, rettore della struttura, ma con un bambino. Giampiero (il nome è di fantasia) è sordo, è cieco e non parla. La sua interazione con il mondo esterno potrebbe sembrare minima e invece va a scuola e gli piace: “quando viene qui lo vedo sorridere” racconta la madre. E’ uno dei quasi quattrocento ragazzi tra i 5 e 20 anni di cui Don Andrea e gli altri 80 dipendenti del Cottolengo di Torino si prendono cura. Una di quelle eccellenze che il presidente del Consiglio ha deciso di visitare insieme a industrie all’avanguardia e firme della tradizione del made in Italy.
E Don Andrea, che è un sacerdote sui generis, sa bene cosa mostrare al premier. Non un cahier de doleance, ma un modello, un piano e una richiesta. “La gente pensa che noi qui facciamo qualcosa di straordinario” dice all’Agi, “mentre il problema è che non facciamo nulla di eccezionale, ma le cose normali che gli altri non fanno. E le facciamo nonostante i molti ostacoli che incontriamo sulla nostra strada”
Ostacoli di natura burocratica, innanzitutto, che pongono il Cottolengo tra le scuole paritarie, "quando invece andrebbe inserito in una categoria a sé". “La scuola pubblica ha il 3,7% di ragazzi disabili; quella paritaria l’1,8; noi il 13,7" spiega Don Andrea, "siamo trattati come una scuola privata, ma in realtà facciamo più di una scuola pubblica. Chiediamo di essere riconosciti come una realtà che in Italia non esiste, ma è apprezzata in tutta Europa”.
Quella che Don Andrea insegue è un’utopia che suona come una provocazione: “poter chiudere”. “Mi piace immaginare una scuola così accogliente che un posto come il Cottolengo non serva più. Ovviamente è un paradosso, ma bisogna capire che non siamo noi ad essere particolarmente bravi: il problema è l’isolamento che si trova nelle altre scuole”.
A Renzi Don Andrea presenterà anche “un piano che mette a confronto una realtà che funziona con una scuola pubblica e mostra il risparmio che si potrebbe avere usando il nostro modello”. Un modello non solo economico, ma di integrazione. “Non siamo assolutamente schierati in alcun modo, né politicamente, né religiosamente" dice il sacerdote, "abbiamo musulmani, ortodossi e persone di ogni provenienza. Nella sua peculiarità il Cottolengo è un modello di integrazione. Abbiamo famiglie di normodotati che fanno a gara per iscriversi da noi perché avere un disabile in classe è una risorsa. Abbiamo una serie di iniziative, tra cui quella per formare i ragazzi disabili al lavoro, che funzionano e funzionerebbero meglio se si riuscissero a superare quelle pastoie burocratiche che, ad esempio, ci inibiscono l’accesso a programmi come l’alternanza scuola-lavoro. E abbiamo squadre sportive che giocano e vincono, ma non possono disputare i campionati delle federazioni per disabili perché hanno normodotati nella rosa né quelli delle federazioni normali perché ci sono dei disabili. Chiediamo solo di non dover essere costretti a fare dieci cose per ottenerne una: già affrontare solo cinque passaggi sarebbe un risultato”. Un sogno concreto, prima di raggiungere un altro obiettivo: non avere più genitori che chiedono di bocciare il figlio anche se va bene perché nella scuola italiana, dopo la terza media, per un disabile si apre il vuoto. (AGI)