La festa del lavoro che non c'è più

Ha ancora senso celebrare il 1 maggio in un Paese piagato da crisi industriali, dove un giovane su tre è disoccupato ed è stato bruciato un milione di posti in 10 anni? Il dibattito sui principali quotidiani, sui quali non mancano critiche ai sindacati

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Alcuni giornali hanno scelto di “celebrare” in anticipo (con uno e talvolta anche più giorni) la Festa dei lavoratori che cade domani. Ma cosa c’è poi da festeggiare? Stando alla prima pagina-copertina de la Repubblica (“Chiamalo 1° maggio” il titolo) e al suo sommario, ben poco, perché “il lavoro, ogni anno che passa, vale meno”. “Altro che Festa del Lavoro” si legge: “Un giovane su tre non ha un posto. In 10 anni raddoppiati i sottoccupati. Il 25% ha un impiego inferiore al titolo di studio. Perso in totale un milione di posti a tempo pieno: peggio di noi solo la Grecia. E i robot nei prossimi vent’anni copriranno il 15% della manodopera” la sintesi che sottolinea il declino e la crisi dell’impiego e del suo concetto, il lavoro appunto.

Il Corriere della Sera parla di una data sulla quale gravano “quattro crisi infinite” su cui punta i riflettori e che poi sono i casi aziendali dell’ex stabilimento Fiat di Termini Imerese, l’Alcoa, il marchio Ardo e la Piaggo Aerospace. Ieri Il Fatto Quotidiano titolava “1° maggio cercasi” analizzando “quel che resta del simbolo”. Mentre Il Foglio parla di “Primo maggio di costrizione” puntando il dito sui sindacati che “dovrebbero riflettere per aver dato copertura ai populisti”.

Un decennio nero

E se il decennio più nero dell’occupazione è stato quest’ultimo, dalla crisi del 2008, in cui sono registrati “un milione in meno di posti stabili”, Gad Lerner su la Repubblica osserva, in estrema sintesi, che questa data “rischia di diventare un rituale fuori dal tempo con i nuovi sfruttati, l tutele spezzate e il caporalato digitale” ciò che rende “necessario un altro sindacato” ma questa volta di tipo “unitario”.

E aggiunge: “A mezzo secolo di distanza dalle lotte operaie sfociate nell’autunno caldo del 1969, che avviarono un decennio di conquiste sociali e cospicua redistribuzione della ricchezza a favore del lavoro dipendente, gli sfruttati di oggi vietano a se stessi perfino la nostalgia; non parliamo della fede in una prossima riscossa proletaria”. Tanto che a forza di “sentirsi dire che la lotta di classe è solo un nocivo ferrovecchio del passato, il 1° maggio 2019 in Italia rischia di trasformarsi in un anacronismo: la festa del lavoro che non c’è più”.

L’approccio al tema di Dario Di Vico sul Corriere è assai simile, in quanto rileva che proprio oggi “avremo la stima preliminare dell’Istat che ci dirà se anche il primo trimestre 2019 ha fatto registrare crescita zero” e questo ci dice che “al di là però dei decimali l’anno in corso non promette niente di buono per l’industria italiana a causa del combinato disposto di contrazione dell’export e ristagno della domanda interna”.

E proprio nei giorni scorsi “un’indagine della Uil ha prodotto dati preoccupanti: la cassa integrazione ordinaria e straordinaria è aumentata nel primo trimestre del ’19 del 6,1% rispetto allo stesso periodo del ‘18. Complessivamente sono 130 mila i posti di lavoro tutelati dalla Cig. Ma accanto ai dati più freschi si segnalano anche vecchie crisi mai risolte”, che sono poi i quattro casi su cui accende i fari il quotidiano di via Solferino.

“Crisi della sinistra, crisi del Primo Maggio? L’equazione non è così lineare” si domandava e si rispondeva ieri Il Fatto. Tuttavia, l’analisi è chiara: “Durante le celebrazioni del Primo Maggio, nonostante il malessere e il disorientamento della sinistra, le iconografie delle feste sono in gran parte “rosse”. Nemmeno i megaconcertoni organizzati dal 1990 a Roma in piazza San Giovanni (iniziativa patrocinata dalla triade sindacale Cgil-Cisl-Uil) riescono ad annacquare la matrice da lotta di classe, il clima della protesta, delle rivendicazioni, dell’antifascismo, con le valenze di giustizia sociale e fede nell’avvenire che accompagnano gli interventi dal palco. E tuttavia, per gli irriducibili della sinistra più trinariciuta, proprio questi concertoni dimostrano che non c’è più il Primo Maggio di una volta, trasformato ormai in un evento consumistico, tradendone le radici e la memoria”.  

il Foglio mette la Cgil sotto accusa

La manifestazione del Primo maggio per la festa dei lavoratori può essere invece, secondo Il Foglio, “l’occasione per i sindacati confederali di meditare su come abbiano aiutato a costruire il consenso del governo contro il quale protesteranno mercoledì in piazza a Bologna. La radicalizzazione sociale post crisi economica è stata gestita dai sindacati, dalla Cgil in particolare, con le stesse rivendicazioni dei movimenti populisti, ovvero cercando di attingere a qualsiasi umore negativo (anche al di fuori del merito sindacale)".

E ancora: "La Cgil si è messa contro tutte le riforme del governo Renzi, e prima delle elezioni ha portato in piazza i pensionati insieme a Cisl e Uil. È difficile dire che non abbia fornito il piombo per costruire i proiettili usati da questo governo, dalla demolizione della riforma Fornero all’introduzione di quota cento passando per il reddito di cittadinanza”.

Ma l’analisi prosegue rilevando che “la Cgil prima di Camusso e poi di Landini è andata ben oltre le rivendicazioni sindacali con l’idea di favorire una forza politica a sinistra del Pd, un errore che ha avuto come risultato quello di dare copertura a M5s e Lega aumentandone il consenso. Non a caso, se la dirigenza Cgil preferiva Leu, la base sindacale per un terzo ha votato i pentastellati e per circa il 10 per cento la Lega”. E allora, il Primo Maggio? “Sia occasione per riflettere sulla complicità del sindacato più grande d’Italia nell’aver lasciato che il mostro prendesse vigore” conclude Il Foglio.



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