Cosa mangiavano davvero i sovietici. Un manuale per i compagni ai fornelli
Via fagiani, granchi e lingua di mucca: come la rivoluzione sovvertì persino l'insalata russa (che neppure si chiamava così)

Cento anni fa, con la Rivoluzione d'Ottobre, i bolscevichi iniziarono ad accorgersi che l'homo sovieticus sarebbe stato ciò che avrebbe mangiato, e quindi decisero di far cambiare abitudini alimentari alla nascente società senza classi. Si aprì un processo che avrebbe portato, un ventennio dopo, alla nascita di un Artusi (dal nome del gastronomo che codificò la tradizione culinaria italiana) del socialismo reale, realizzata per volere e per conto di Stalin. Una bibbia per ogni famiglia dell'Urss sopravvissuta anche al fatidico 1991, quando la Rivoluzione si spense e la stessa Unione Sovietica smise di esistere.
Una delle vittime dei Soviet fu l'insalata russa, che innanzitutto non si chiama 'russa', ma 'oliviè', come ricorda Paolo Stefanini su La Stampa, dal cognome dello chef Lucien Olivier, gestore del ristorante moscovita Ermitage, che la inventò nell’Ottocento. Ma, soprattutto, la versione diffusa oggi non è che una pallida imitazione comunista dell’originale. Durante il periodo sovietico, infatti, vennero rimpiazzati gli ingredienti costosi di questo piatto da ricchi dell’epoca zarista con ingredienti proletari. Un solo esempio: i crostacei (spesso si usava l’aragosta) furono sostituiti con l’altrettanto arancione carota. Poi erano previsti lingua di vacca, francolini di monte, granchi della Kamchatka e molti altri ingredienti non esattamnete alla portata del proletariato.
In una chiacchierata con l'Agi, Natalia Terekhova, insegnante di lingue e ricercatrice di storia alla Higher School of Economics di Mosca, racconta come è cambiato, sotto l'Unione Sovietica, il rapporto della popolazione con il cibo e spiega quanto di quei tempi vi sia ancora rimasto sulle tavole russe. "L'ultima cosa che preoccupava i bolscevichi nel 1917 era sradicare la cucina pre-rivoluzionaria - spiega la Terekhova - c'era la guerra, mancava tutto, compresi i prodotti alimentari. Il problema era sfamare la gente e molti uomini si arruolavano nell'Armata Rossa, perché almeno avevano il cibo".
Due cose, però, andavano eliminate subito nell'esperimento della nuova società sovietica: Chiesa e borghesia, compresa la loro presenza nel cibo. "La Chiesa ortodossa, allora, prevedeva che per più di metà non si mangiasse carne. Ci si asteneva due volte a settimana, cui sono da aggiungere quattro digiuni, tra cui quello quaresimale era il più lungo. Solo dopo ci si è scagliati contro le pietanze borghesi, criticate anche da un celebre verso del poeta Vladimir Mayakovsky: "Mangia ananas e mastica fagiani! Non ti resta, borghese, un domani".
Cosa mangiava un bravo compagno?
E' un volume, pubblicato per la prima volta nel 1939 e la cui l'ultima edizione risale all'anno scorso a stabilire come deve nutrirsi un buon compagno. Il 'Libro del cibo sano e gustoso', che ha avuto una tiratura di 8 milioni di copie finora, è la Bibbia del mangiare sovietico", racconta la Terekhova. La prefazione è dello stesso Stalin, mentre l'opera è curata dall'allora Commissario del popolo per l'Industria alimentare, Anastas Mikoyan. "Durante uno dei periodi più bui della storia sovietica, il regime scelse il cibo per raccontare al popolo, sempre alle prese con deficit di prodotti nei negozi, la favola delle vita in Unione sovietica".
I piatti della cucina sovietica - Foto
I cibi e le ricette sono scelti in base alla loro facile reperibilità sul mercato e al loro costo contenuto. "Il libro è corredato da immagini di piatti, che dovevano colpire il lettore per sfarzo e abbondanza", spiega la professoressa. "Molti lo ricordano come il primo libro della loro vita, che sfogliavano da piccoli, mentre odoravano le foto o leccavano il cibo. - aggiunge - E' stato uno dei simboli della propaganda sovietica e quando scarseggiava il cibo, la gente lo sfogliava e immaginava i sapori".
Una tradizione variegata
Così isolato dal resto del mondo, ma allo stesso tempo così vasto, l'impero sovietico ha sviluppato una cucina molto variegata. "Questo è dovuto prima di tutto alla diversità dei popoli che lo abitavano, poi alla politica di spostamenti forzati sul territorio che ha prodotto un forte scambio di usanze e infine al fenomeno delle komunalke, gli appartamenti in cui vivevano diverse famiglie che condividevano la cucina, scambiandosi ricette e consigli".
Anche tenendo presente l'ideale sovietico dell'amicizia tra i popoli, Stalin e Mikoyan non hanno impedito questa mescolanza tra diverse tradizioni culinarie. "Il libro nasconde con belle immagini la vita di stenti dei cittadini sovietici, comunica l'idea che a tavola non ci siano differenze di classe, mentre nella realtà sia le persone, che i negozi dove potevano rifornirsi, erano ben classificati: dalla spezialnaia kategoria (la categoria speciale per gli alti quadri del partito), fin giù alla prima, seconda e terza categoria.
Anche per i sovietici c'era la tavola delle feste
Il cibo è diviso tra uso quotidiano e festività: la dieta di ogni giorno è incentrata sulle zuppe, che le ragazze imparavano a cucinare a scuola, durante le lezioni obbligatorie di lavori domestici.
- shi (la zuppa di cavolo)
- borsh (zuppa di barbabietola)
- insalata vinegret (di barbabietole, patate, fagioli, carote e crauti)
- kartoshka (letteralmente 'patata', una torta fatta da diversi ingredienti di avanzo).
"Ma la zarina della tavola sovietica è la verza e il principe è il cetriolo, che le donne di divertono a preparare e condire in mille modi diversi", racconta la Terekhova.
I 'makaroni po flotsky' sono un altro punto forte, ma anche questi risalgono a prima della rivoluzione: si tratta di pasta in bianco, condita con carne macinata e cipolla fritte. Si chiama così perche' era il piatto della Flotta russa, prima della rivoluzione.
Con il crollo dell'Urss, nel 1991, la tradizione non si è persa, racconta la Terekhova: "In famiglia si è continuato a cucinare come prima, a parte negli anni '80 durante il picco del deficit di prodotti, quando mancava tutto e vedevamo le banane una volta l'anno".
Un codice per apparecchiare la tavola
Anche il modo di apparecchiare la tavola è quello di allora: "Se ci sono ospiti, la tavola deve essere piena zeppa di pietanze, è segno di rispetto e allora serviva a far vedere che si stava meglio degli altri". "Personalmente ho sofferto e goduto della cucina sovietica. - conclude la Terekhova - era buona e portava con sé delle emozioni; non era il cibo a farci felici ma le emozioni che da questo scaturivano; i ricordi ad esso legato e anche oggi in molti ricercano il gusto dell'infanzia. Ma la maionese era dappertutto, si usava per coprire i cibi poco freschi e questo si fa anche ora. Servirebbe un'altra rivoluzione, per cancellare l'abuso di maionese!".