Il 12 marzo il web ha compiuto 29 anni. Un compleanno (molto) agro (poco) dolce per il suo papà, Tim Berners-Lee. Si festeggia perché, per la prima volta, più della metà delle persone al mondo è connessa. Ma Berners-Lee ha preferito mettere da parte le candeline e sfruttare la ricorrenza per lanciare il suo ennesimo appello: Google, Facebook e Twitter – ha scritto in una lettera aperta pubblicata dal Guardian - sono ormai “dominanti” a tal punto da trasformare il web “in un'arma”.
Per proteggersi, servirebbe “un intervento giuridico e normativo”, perché “la risposta” non può arrivare dalle stesse piattaforme che hanno contribuito a creare il problema. Tradotto: non si può lasciare ai social network e ai motori di ricerca il ruolo di giudice su fake news, contenuti illeciti.
Un web “compresso”
Berners-Lee, come già fatto in passato, dimostra di non riconoscersi più nella sua creatura. Lo scorso novembre aveva affermato che “il sistema sta fallendo”. Oggi scrive che “il web cui ci si connetteva qualche anno fa non è quello che i nuovi utenti trovano oggi. Quello che un tempo era una ricca selezione di blog e siti è stato compresso sotto il grande peso di poche piattaforme dominanti”. Una concentrazione che rappresenta un pericolo per la rete, per la libertà.
E anche per l'innovazione. “Una manciata di società controlla quali idee e opinioni vengono viste e condivise”. Rischiando così di “trasformare il web in un'arma”. Berners-Lee cita le ingerenze di bot su Twitter e Facebook, le pubblicità politiche (definite “discutibili”) e la disinformazione utilizzate per “aizzare” le tensioni sociali. “Le compagnie sono al corrente del problema e stanno mettendo in campo sforzi per risolverlo”. Ma, sottolinea il professore del Mit, non bastano un tasto per segnalare le bufale o il ritocco di un algoritmo: gli utenti non possono chiedere “una risposta” ai social network. Perché “la responsabilità delle decisioni ricade su aziende costruite per massimizzare i profitti più che il bene sociale”. O sei parte della soluzione o sei parte del problema.
Google e Facebook un freno all'innovazione
Google e Facebook hanno le casse piene e la reputazione di essere traino per l'innovazione mondiale. Per Berners-Lee, invece, sono un freno. “Le piattaforme dominanti -scrive - sono in grado di serrare la propria posizione creando barriere per i concorrenti: acquisiscono startup, acquistano innovazioni e assumono i talenti migliori. Se a questo si aggiungono i vantaggi competitivi dovuti al possesso dei dati degli utenti, possiamo aspettarci che i prossimi 20 anni saranno molto meno innovativi degli ultimi 20”.
Come se ne esce? Invocare una più saggia gestione delle piattaforme è solo un tassello. I tempi sarebbero maturi per “una reazione degli utenti”, per “un intervento normativo e giuridico”. E per abbattere quelli che Berners-Lee definisce “due miti che limitano la nostra immaginazione collettiva: il mito che la pubblicità sia l'unico modello economico possibile per le compagnie online e quello che sia troppo tardi per cambiare il modo in cui le piattaforme operano. Dobbiamo essere più creativi”.
La minaccia e l'impegno
L'informatico britannico definisce “concreta” la “minaccia” di un web meno libero. Ma continua a promettere militanza perché obbedisca ai principi sui quali è stato costruito: “Continuerò a impegnarmi perché il web resti uno spazio libero, aperto e creativo per tutti”. Nell'ultimo anno, è un proposito che ha ribadito spesso, nonostante le ombre. Nel marzo 2017 aveva scritto che il web era stato, in molti modi, all'altezza della sua visione iniziale. Ammettendo però di essere “sempre più preoccupato”.
A novembre, in un'altra lettera al Guardian, Berners-Lee si era confermato “ottimista”, anche se con una metafora che descriveva la difficoltà di rimanerlo: “Sono un ottimista che sta in cima a un collina, aggrappato a una staccionata mentre una brutta tempesta mi soffia in faccia. Dobbiamo stringere i denti e restare aggrappati al recinto, senza dare per scontato che la rete ci porterà cose meravigliose”.