(AGI) - Roma, 20 mag. - In Italia circa 500.000-700.000 pazienti, su 10 milioni di ricoverati l'anno, contraggono un'infezione ospedaliera, con percentuali che oscillano fra il 5 e il 17%. La mortalita' raggiunge il 3%. Tra questi, i pazienti chirurgici rappresentano una categoria molto significativa. Il paziente chirurgico che muore, generalmente in Terapia Intensiva, a seguito di complicanze se non muore per una infezione certamente muore con una infezione. Pur riconoscendo la validita' e la fondamentale importanza degli avanzamenti tecnologici nel campo del sostegno alle funzioni vitali, non vi e' dubbio che, al di la' della prevenzione, la vera e piu' efficace terapia etiologica delle infezioni e sepsi chirurgiche restino il tempestivo trattamento chirurgico - il cosiddetto source control e quello antibiotico e/o antifungino. Il Master Sepsi in Chirurgia, diretto dal prof. Gabriele Sganga, docente dell' Istituto di Clinica Chirurgica dell'Universita' Cattolica nonche' Chirurgo della Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli di Roma, promuove oggi e domani un meeting indirizzato per lo piu' a chirurghi, intensivisti e infettivologi su "Infezioni in chirurgia".
I docenti sono prevalentemente costituiti da specialisti del Policlinico Gemelli a dimostrazione di quanto questa struttura ospedaliera abbia costruito nel tempo una importante e riconosciuta expertise in questo ambito. Si alternano microbiologo (Prof Maurizio Sanguinetti), intensivista (Prof. Massimo Antonelli), radiologo interventista (Prof. Alessandro Cina), infettivologi (Proff. Massimo Fantoni e Mario Tumbarello). A completare la Faculty il Prof Christian Eckmann, chirurgo di fama internazionale di Peine in Germania, da sempre impegnato sul fronte delle infezioni e sepsi in chirurgia. "Le infezioni in chirurgia - spiega Sganga - avvengono per lo piu' dopo chirurgia addominale sia per patologie contratte a domicilio (per lo piu' appendiciti, colecistiti e perforazioni), sia per peritoniti post-operatorie: incidono da un 10-20% sino a un 30-40%, con un trend piu' elevato per i malati di "passaggio" in una Terapia Intensiva". I progressi tecnologici e farmacologici nelle cure post-operatorie hanno contribuito ad ampliare le possibilita' di cura chirurgica di molte malattie soprattutto oncologiche e a ridurne la mortalita', ma inevitabilmente si e' assistito a un maggiore rischio di infezioni batteriche prima, e fungine dopo. L'uso di cateteri intravascolari e non, la nutrizione artificiale, gli antibiotici, la ventilazione meccanica, l'emodialisi, i reinterventi chirurgici e tanti altri fattori contribuiscono ad aumentare l'incidenza di tali infezioni. La diagnosi precoce e' resa difficile dalla mancanza di segni clinici specifici e ancora dalla difficolta' di una diagnosi microbiologica immediata. Proprio per questo e' assai importante riconoscere i pazienti ad alto rischio e iniziare una appropriata terapia empirica il piu' presto possibile. Numerosi studi hanno dimostrato che un ritardo nell'inizio della terapia appropriata aumenta la mortalita' di almeno il 20-30%. "Non identificare queste infezioni - conclude Sganga - puo' essere letale. Lo scopo di questo Meeting e' di sensibilizzare noi chirurghi a questa problematica e di facilitare l'interazione e la cooperazione con tutti gli specialisti (microbiologi, infettivologi, intensivisti, farmacologi clinici, radiologi, ecc.) che ruotano intorno alla diagnosi e cura di tale complicanza post-chirurgica dotata ancora di elevata morbilita' e mortalita'". (AGI)
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