Roma - Crescono a ritmo piu' sostenuto rispetto alla manifattura, competono ad armi pari con la concorrenza tedesca e rappresentano un segmento in cui finalmente il Sud va alla stessa velocita' del resto d'Italia. Non ultimo, rappresentano una forma di capitalismo inclusivo, in cui vi e' un'equilibrata distribuzione della ricchezza tra capitale e lavoro. Questi alcuni degli elementi che emergono dall'Indagine annuale sulle Medie imprese industriali italiane, realizzata da Mediobanca e Unioncamere. Indagine che fa luce sulla ripresa e sulla competitivita' di 3283 medie imprese manifatturiere italiane che assicurano il 16% circa del valore aggiunto e delle esportazioni dell'industria manifatturiera italiana. In particolare le medie imprese hanno chiuso il decennio 2005-2014 con una crescita del fatturato pari al 35%, piu' del doppio rispetto alla manifattura (+14%). Neanche nell'acme della crisi (2009) il fatturato e' sceso sotto i livelli iniziali (+9% sul 2005). Risultati possibili grazie al forte presidio dei mercati esteri, dove le medie imprese hanno realizzato nel decennio una progressione del 63% contro il 42% della manifattura. Ma appare encomiabile anche la tenuta sul mercato domestico (+20% sul 2005). Cresce anche la base occupazionale, +11% dal 2005, quando la manifattura ha dovuto invece ridurre gli organici del 6,5% sostenuta dalla forte espansione della ricchezza generata: +36% il valore aggiunto delle medie imprese sul 2005. Dal 2009 la struttura finanziaria si e' inoltre irrobustita, con debiti finanziari in calo dal 93% dei mezzi propri al 69% nel 2014.
Rapportando la rilevanza delle medie imprese ad alcuni parametri espressivi della dimensione geografica e imprenditoriale delle regioni, si legge nell'indagine, il Veneto si distingue per la maggiore densita' di medie imprese, seguito da Lombardia ed Emilia-Romagna. Il Piemonte figura in posizione relativamente arretrata preceduto, nell'ordine, da Trentino-Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Marche e Umbria. A parte la Lombardia, sono quindi le regioni del Nord Est Centro (NEC) a rappresentare le aree a maggiore concentrazione di medie imprese. Il 40% circa delle medie imprese ha sede in distretti e in altri Sistemi produttivi locali. La quota di vendite all'estero delle medie imprese e' pari al 43% delle vendite, per i gruppi maggiori al 90%. Ma le medie imprese servono l'estero per il 39% delle vendite con esportazioni e per il 4% circa attraverso insediamenti produttivi che producono e vendono all'estero. Per i gruppi maggiori le esportazioni sono pari al 24% del fatturato, l'estero su estero al 66%. Conciliano quindi un'elevata proiezione all'estero con il mantenimento di impianti e maestranze sul territorio nazionale. I mercati di sbocco sono quelli di prossimita' fisica e culturale, soprattutto l'Eurozona (65% delle vendite all'estero), le Americhe (11%) e il resto d'Europa (9%). Il "coraggio" di aggredire i mercati lontani premia: le medie imprese ivi presenti segnano profitti maggiori. Tra il 2005 e il 2014 i principali settori delle medie imprese hanno messo a segno incrementi nel valore aggiunto. Tra i piu' performanti: pelletteria e accessori (+52%), l'alimentare (+50%), il chimico-pharma (+45%) e la meccanica (+42%). Una piacevole e inedita sorpresa: le medie imprese del Mezzogiorno, sebbene meno numerose, vanno quantomeno alla stessa velocita' di quelle italiane: valore aggiunto +34% sul 2005, esportazioni +85%, occupazione +10%. La dimostrazione che i progetti imprenditoriali di valore e radicati alle abilita' locali possono fiorire anche al Sud. Infine la crisi ha premiato chi era in salute e condannato chi era debole: il roe delle medie imprese ha segnato nel quinquennio 2010-2014 un livello medio del 5,5%, circa il 17% al di sopra della manifattura (4,7%). Il valore del 2014 (8%) e' in crescita di circa 3,5 volte sul minimo del 2009. Le imprese piu' 'meritevoli' (investment grade) hanno ridotto la propria rischiosita' del 20% circa. Per esse la difficolta' del contesto ha rappresentato un'opportunita'. Per contro, le medie imprese che sono entrate nella crisi gia' in relativo affanno hanno subi'to un forte aumento della propria rischiosita', piu' che raddoppiata. La crisi ha fatto da discriminante: la classe di merito delle imprese intermedie ha ridotto la propria numerosita' del 20%, una parte e' passata alla classe di merito migliore che e' cresciuta del 9%, un'altra e' stata attratta nella classe peggiore che nel decennio e' cresciuta di oltre il 90%. (AGI).