“A cosa servono le mani pulite, se si tengono in tasca?”. Giancarlo Caselli, storico magistrato italiano nella lotta al terrorismo e alle mafie, ha chiuso così, con una citazione di Don Lorenzo Milani, il suo intervento a Viva l’Italia, legato al lancio della nostra inchiesta sul cibo.
L’ex magistrato torinese che vive sotto scorta dal 1974, andato ufficialmente in pensione dalla magistratura nel 2013, non ha mai dismesso i panni dell’impegno civile. A partire dalla collaborazione con Libera e dall’attuale incarico di responsabile scientifico dell’Osservatorio sulla criminalità in agricoltura e sul sistema alimentare voluta dalla Fondazione Coldiretti.
“Mi sono chiesto se fosse il caso di limitarmi ad andare in pensione, ma quando mi è stata offerta la direzione scientifica dell’Osservatorio contro le agromafie non ho saputo dire di no” - confessa. Alla vigilia della presentazione del V rapporto sulle agromafie e sui crimini agroalimentari in Italia, (alla presenza dei ministri Orlando, Martina, Lorenzin, al Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione Cantone, alla presidente Rosy Bindi, Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, Franco Roberti, Procuratore Nazionale Antimafia),
L’ex magistrato ha spiegato con chiarezza, il profondo livello di penetrazione della criminalità organizzata nel sistema della produzione alimentare italiana, nel Bel Paese, eccellenza mondiale.
“Il comparto agroalimentare italiano è in continua crescita e la filosofia della mafia è “piatto ricco mi ci ficco” - ha precisato Caselli spiegando come la società italiana abbia, però, gli anticorpi per combattere l’illegalità. “E’ vero, siamo il paese della mafia ma anche il paese dell’antimafia - ha sottolineato Caselli - e il nostro fiore all’occhiello è l’antimafia sociale e dei diritti, che riporta alle comunità i beni confiscati ai mafiosi, molto spesso, guarda caso, sono agricoli.”
I numeri fanno paura. “Il business delle agromafie ha volumi spaventosi: circa 150 miliardi calcolati, per difetto”. Il dubbio legittimo quindi è se nei nostri piatti e nei nostri carrelli della spesa finisca cibo dalle agromafie. “La presenza delle mafie è in tutti i segmenti della filiera: dai terreni, al trasporto, alla ristorazione”. Ancora una volta, quindi, la mafia si sostituisce allo Stato e in tempo di crisi la liquidità di denaro sporco è pronta per salvare aziende ed influenzare mercati.
"L’attuale normativa che dovrebbe tutelare la filiera agroalimentare è una groviera - afferma senza mezzi termini Caselli - la legislazione è vecchia, è stata scritta ben prima della vendita online e dell’attuale sistema internazionale di esportazione”. Ma ancora una volta la mafia dotata di intelligenze criminali, è al passo con i tempi. Mentre gli apparati dello Stato sono fermi a qualche decennio fa.
Anche per questo il nuovo testo, pronto da ottobre 2015, elaborato dalla commissione per riforma legislativa per i reati in materia agroalimentare voluta dal Ministro della Giustizia Andrea Orlando, da lui presieduta, non dovrebbe restare fermo in Consiglio dei Ministri.
“La normativa in vigore tutela la lealtà commerciale, ma il destinatario della legge deve essere il cittadino consumatore e con esso la tutela della salute pubblica”. Un esempio? “L’istituzione di ispezioni e prelievi a sorpresa. Modifica alla legislazione attuale che incontra le resistenze delle aziende”.
Ma se la mafia è liquida, se ci sono canali di produzione paralleli, apparentemente legali, come intercettarle? “La filiera è la stessa, ma inquinata dai metodi mafiosi, a partire dall’appropriazione di terreni e bestiame, al controllo dei trasporti, con la criminalità organizzata che impone automezzi e sistemi facendo crescere i costi - sottolinea Caselli - ed arriva ad imporre marchi e prodotti, studiando l’orientamento dei gusti e drenando risorse e finanziamenti pubblici ed europei”.
Che fare quindi? La chiave di tutto restano i controlli, quasi un milione nel 2015 (oltre 600 mila dalle ASL e oltre 56 mila dai NAS), con oltre 100 mila tra sanzioni amministrative e provvedimenti penali comminati dagli enti di controllo. “Possiamo rivendicare senza tema di essere smentiti di essere il paese con la filiera agroalimentare più controllata del mondo. Ma manca un coordinamento sull’attività dei vari enti di controllo, che si deve unire all’attività di investigazione e di intelligence”.
Anche per questo l’ex magistrato torna a parlare della riforma, dai più definita come necessaria, dell’art. 416 Bis del codice penale, quello che punisce il reato di associazione mafiosa. “Anche alla luce di quanto sta succedendo, pure le buone leggi devono essere riviste. La mafia si evolve, non è più violenza esibita, ma si presenta in forme più evolute che vanno combattute con gli stessi mezzi”.
Un esempio della penetrazione del sistema mafioso, racconta Caselli, è una delle ultime inchieste, quella portata alla luce a gennaio 2017 dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Reggio Calabria: “Operazione Provvidenza, come è stata chiamata, ha dimostrato i legami tra i traffici di stupefacenti dal porto di Gioia Tauro e le merci destinate al Mercato Ortofrutticolo di Milano”.
Un sistema destinato a non essere sconfitto, a differenza del terrorismo? “Il terrorismo era altro da noi. La reazione è stata popolare. La mafia non è altro. La mafia si alimenta nella zona grigia di politica e istituzioni, imprese, informazione. Con complicità e collusioni”.
Che fare quindi, oltre informare e tenere alta l’attenzione nell’opinione pubblica? L’invito di Gian Carlo Caselli è quello di partecipare alle denunce, anche attraverso Inchiesta Italia, con segnalazioni non solo anonime ma a volto scoperto. “Nel nostro Paese non è facile denunciare, ma ci vuole coraggio. E cita Giovanni Falcone: “La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine”.