Il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, parlando agli Stati generali della rete trapiantologica italiana che si tengono a Roma, lo scorso 8 marzo ha dichiarato: “In questi anni è stato fatto un lavoro straordinario sui trapianti, con un aumento del numero di donatori che ci permette di mettere in sicurezza il sistema”.
Verifichiamo dunque qual è la situazione.
Il numero di donatori
I donatori in Italia nel 2017 sono stati, secondo quanto si legge nelle schede del SIT (Sistema informativo trapianti), 1.741, un dato in aumento del 9% rispetto ai 1.596 del 2016.
Negli ultimi quattro anni, dal 2013 in poi, si è assistito a un trend in costante crescita. Se per tutto lo scorso decennio il numero di donatori si era aggirato intorno ai 1.300, poi si è rapidamente passati a 1.425 (2014), 1.489 (2015), 1.596 (2016) e da ultimo appunto a 1.741.
Andando più nel dettaglio, vediamo che sono aumentati sia i donatori viventi, sia i donatori cadavere. I primi – consideriamo il rene, che è l’organo più richiesto e trapiantato – sono passati da meno di duecento nel 2012 a quasi trecento nel 2017. I secondi dai 1.102 del 2013 ai 1.436 del 2017.
Nel comunicato ufficiale del Centro nazionale trapianti, in cui si dà notizia del nuovo record di donazioni nel 2017, si collega questo trend positivo (+29% dal 2013) “temporalmente alla riorganizzazione della Rete Nazionale Trapianti”.
La riorganizzazione più rilevante avvenuta nel 2013 è l’attivazione, da parte dei comuni italiani, del servizio di registrazione della dichiarazione di volontà sulla donazione di organi, in occasione del rilascio/rinnovo della carta d’identità (decreto legge n.69/2013, art.43).
Secondo i dati del Centro nazionale trapianti, la misura sta dando i suoi frutti: “All’11 gennaio 2018 i comuni che hanno avviato questa procedura sono 2.217, più di un quarto del totale. Grazie al servizio di espressione di volontà negli uffici anagrafe si sono raccolte in media 2.000 dichiarazioni al giorno, e l’81,7% delle manifestazioni di volontà registrate sono positive”.
Sembra dunque che la riorganizzazione possa aver reso più efficiente il sistema, rendendolo più capillare. Inoltre dal maggio 2016 è stata portata avanti anche una campagna informativa, “Diamo il meglio di noi”, per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema. Una necessità questa, come vedremo più avanti, molto forte in Italia.
Il numero di trapianti
Oltre alle donazioni, in questi anni, sono aumentati anche i trapianti, come è piuttosto naturale, visto che la donazione è normalmente collegata a una specifica richiesta di trapianto – anche se con la “donazione samaritana” è possibile donare un rene non a uno specifico richiedente ma alla collettività.
Secondo i dati del SIT nel 2017 ci sono stati 3.921 trapianti, in aumento del 6% rispetto ai 3.698 del 2016. Anche qui si riscontra lo stesso andamento delle donazioni: dopo un decennio “stabile”, in cui il numero di trapianti oscillava tra i tremila e i 3.300, dal 2013 in poi il numero è salito, primo oltre i 3.500 nel 2016 e a quasi quattromila nel 2017.
La sicurezza del sistema
Non è chiaro cosa intenda il ministro Lorenzin con “sistema in sicurezza”. È vero infatti che la tendenza è incoraggiante, ma tutt’ora esistono liste d’attesa e hanno una durata che può arrivare, nel caso dei trapianti di rene, a 3 anni e 4 mesi. Vediamo i dati.
Sempre secondo il SIT, al 31 dicembre 2017 ci sono ancora 8.743 persone in lista d’attesa per un trapianto, di cui la maggior parte (6.492) per un rene.
Il dato relativo ai richiedenti in attesa di un rene è in miglioramento rispetto al 2016, quando erano 6.842. Durante il 2017 ci sono state infatti 1.952 nuovi ingressi nella lista d’attesa, ma nello stesso periodo ci sono stati 2.302 pazienti usciti dalla lista (156 per decesso). Il tempo medio di attesa in lista per un rene è di 3,3 anni.
Se guardiamo agli altri organi si registra una situazione sostanzialmente stabile, ma in lieve peggioramento: aumentano i pazienti in attesa di un fegato (da 987 a 1.019), di un cuore (da 727 a 757), di un polmone (da 345 a 354) e di un pancreas (da 253 a 264).
Nel complesso, considerato che il trapianto di reni copre da solo il 73% delle richieste, la situazione va migliorando, ma parlare di un sistema “messo in sicurezza” pare eccessivo. Secondo quanto affermava nell’ottobre del 2016 l’allora presidente della Società italiana trapianti d’organo, Franco Citterio, “stare 1 o 2 anni in lista d’attesa è un problema enorme perché il quadro clinico del paziente spesso si aggrava”. La media per il trapianti di reni, lo ricordiamo, in Italia è tutt’ora superiore ai tre anni.
La causa principale della carenza di donatori, che porta le liste ad avere tempi lunghi, secondo Citterio, è “una cultura della donazione praticamente sopita e una forte resistenza nelle donazioni da vivente (…) Basti guardare il divario numerico che c'è nel 2015 per il trapianto di rene da donatore vivente tra Italia (301) e Gran Bretagna (1.075)”.
Abbiamo verificato i numeri aggiornati e in effetti i trapianti in questione sono stati 302 nel 2015 in Italia, il numero massimo che mai registrato, e 1.074 nel Regno Unito nell’anno 2015/2016.
Più che migliorare l’organizzazione, già buona, secondo il parere degli esperti bisogna intervenire nella sensibilizzazione dell’opinione pubblica e nella sua educazione alla cultura della donazione. Dunque anche iniziative come “Diamo il meglio di noi” possono aver contribuito al miglioramento dei dati.
Conclusione
Lorenzin ha ragione nell’affermare che si sia registrato negli ultimi anni un aumento del numero dei donatori e in effetti sono state messe in campo iniziative per aumentare il numero di donatori, in particolare il coinvolgimento dei Comuni al momento del rilascio della carta d’identità e la sensibilizzazione dell’opinione pubblica con la campagna “Diamo il meglio di noi”.
Ma il sistema non sembra essere ancora “in sicurezza”, considerate le liste d’attesa ancora lunghe, i tempi necessari per ottenere un trapianto, e i pregiudizi alla salute che ne possono derivare.
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