"Fake news". Quante volte abbiamo sentito questa espressione, nelle settimane e nei mesi prima delle elezioni? Ne hanno parlato gli esponenti politici, i titoli dei giornali, persino i cardinali. Ma un dibattito informato ha bisogno che si faccia chiarezza sulle parole. Perché l’impressione è che spesso anche autorevoli esponenti della politica, dei media e delle istituzioni utilizzino un termine di moda come fake news per intendere, in realtà, tutt’altro.
Vediamo di mettere in fila allora qualche caratteristica essenziale del fenomeno.
La prima: una fake news è una notizia, ovvero un’informazione nuova su un fatto che è posta all’attenzione del pubblico. Da questo primo aspetto discende che le opinioni e le previsioni per il futuro non sono fake news. Se un politico dice: "Con le mie misure, triplicheranno i posti di lavoro", o "raddoppieremo il PIL", si tratta di una promessa. Nessuno può sapere come andranno le cose in futuro. Magari anche la misura più assurda, per una serie di circostanze favorevoli, può finire per avere effetti positivi.
Discorso simile si può fare a proposito delle opinioni. Visto che le notizie, il racconto dei fatti non contiene un giudizio di valore (almeno esplicito), se un politico dice, ad esempio, "l’emergenza maltempo è stata gestita malissimo" oppure "i nostri risultati al governo sono stati spettacolari", non siamo davanti a una fake news. Ma a un giudizio, un punto di vista, un’opinione, magari poco fondata o esagerata.
La seconda: una fake news è una notizia falsa, cioè racconta come avvenuto qualcosa che non lo è. E lo deve fare (terza caratteristica) in modo consapevole, di solito con l’esplicito intento di ingannare. Le notizie false diffuse senza malafede sono semplicemente errori. Si dice che i nostri media siano pieni di fake news: in realtà, contengono magari errori, distrazioni e dimenticanze inconsapevoli.
Ci sono, certo, anche omissioni consapevoli. Ma per quelle bisognerà inventare una nuova etichetta ‒ se proprio si è in vena di anglismi ‒ perché non si tratta di fake news. Si potrebbe trattare, ad esempio, di giornalismo a tesi, o più semplicemente di cattivo giornalismo.
La malafede è un’altra caratteristica fondamentale del fenomeno. Ci si può inventare una notizia per propaganda politica, per avere più click sul proprio sito, per qualche motivo più contorto di autorealizzazione personale, ma chi inventa per primo una fake news deve sapere di farlo, altrimenti non siamo davanti a una fake news.
E quindi, i politici e i giornali sono pieni di fake news? In breve, no. Ci sono pochissimi casi in cui, sulle prime pagine dei giornali, abbiamo letto cose che non avevano nessuna relazione con la realtà. Allo stesso modo, ci sono pochi casi in cui i politici hanno spacciato per veri alcuni fatti che non sono mai accaduti.
Politica e fact-checking
I politici, a ogni modo, non dicono sempre la verità. Il discorso politico è un universo particolare: il suo fine non è informare, ma convincere. Non bisogna aspettarsi che gli esponenti politici siano bollettini del meteo.
Dato che alla loro rappresentazione della realtà è sempre accompagnata una lettura politica ‒ che pensa in termini di come bisognerebbe fare leggi o in generale prendere decisioni politiche ‒ è facile che presentino come scritte nella pietra cose che invece sono incerte, che forzino le conclusioni dei loro ragionamenti e magari esagerino i loro numeri.
Nel loro 'Trattato dell’argomentazione' (1966), Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca fanno una distinzione fondamentale. Solo il discorso scientifico, dicono, ambisce alla verità. Ci sono discorsi che ambiscono ad essere non veri ma efficaci: e il loro successo dipende dal modo in cui è condotta l’argomentazione.
Tornando ai politici, il modo in cui bisogna prendere decisioni a partire dai dati non è una scienza esatta. Altrimenti non esisterebbero contrapposizioni tra le forze politiche, e per ogni problema della vita pubblica e del governo ci sarebbe una sola soluzione.
Ciò che è davvero importante, in una democrazia, è che quelle decisioni siano prese in un dibattito il più possibile aperto, trasparente e informato. Provare a dare contesto alle affermazioni dei personaggi pubblici, in modo che la qualità del dibattito sia migliore, è quello che fa il fact-checking politico.
Il fact-checking, infatti, non vuole assegnare patenti di valore ai politici. Prova invece a ricostruire il percorso che ha portato a una dichiarazione politica in base ai dati disponibili e a quanto emerge da studi o ricerche. Quando si occupa dei politici, si occupa di rado di fake news: più spesso di dati e numeri distorti o di conclusioni tratte con troppa leggerezza.
In definitiva, non bisogna certo credere che il problema delle fake news non esista. Si tratta di un fenomeno in parte nuovo, perché frutto anche della rivoluzione del mondo informativo portata dalla Rete. Ma perché se ne parli in modo informato c’è bisogno di avere chiaro con precisione di che cosa ci stiamo occupando.
Parte della confusione in cui abbiamo l’impressione di vivere oggi viene dal fatto che anche le parole sono usate in modo approssimativo, esagerato, distorto. Fake news ne è un ottimo esempio.