Intervenendo nella querelle sulle aperture festive dei negozi, sulla sua pagina Facebook Luigi Di Maio ha scritto, lo scorso 17 aprile, che con “l'eliminazione degli orari di chiusura (…) l’effetto sugli incassi è stato praticamente nullo, si sono spalmati gli stessi introiti su 7 giorni”.
La domanda è quindi: tenere aperti i negozi nei festivi conviene? È una questione quasi impossibile da risolvere con sicurezza. Non ci sono numeri che permettano di dire se la scelta sia vincente o meno, e dunque neanche di fare affermazioni troppo nette come quella di Di Maio.
Mancano dati precisi per calcolare l'impatto delle aperture domenicali
Come ci spiega Fabrizio Russo, della Filcams (la Federazione Italiana dei lavoratori del Commercio, Alberghi, Mense e Servizi, sindacato di categoria della Cgil), “le aziende non forniscono i dati precisi sull’impatto delle aperture domenicali, festive o dell’allungamento degli orari, perché temono che la concorrenza possa approfittarne. In base a quello che vediamo nei bilanci di diverse aziende, sembra però vero che le vendite siano rimaste, dopo la liberalizzazione, invariate se non addirittura in leggero calo. Anche il giro di affari pare in decremento”.
In assenza dei dati specifici, come conviene lo stesso Russo, è tuttavia impossibile stabilire se il fatto che gli incassi non siano cambiati dipenda dalle liberalizzazioni o dalla crisi economica. Non è cioè possibile sapere se, in assenza di liberalizzazioni, la crisi avrebbe colpito più duramente, e di quanto, o se la situazione sarebbe stata la stessa o addirittura migliore.
In questa situazione di incertezza, ogni parte in causa cerca di portare acqua al proprio mulino.
- Federdistribuzione, che rappresenta la grande distribuzione organizzata in Italia, riportava – in un report di luglio 2015 – i risultati di un’indagine secondo cui i consumatori sarebbero al 67% favorevoli alle aperture festive e domenicali. Le ore lavorative, in base allo stesso rapporto, sarebbero aumentate del 5% e sarebbero stati erogati salari per un extra di 400 milioni di euro all’anno. Sempre secondo Federdistribuzione, ci sarebbero:
- 4.200 nuove assunzioni, grazie alla liberalizzazione
- Un incremento del giro d’affari del 2% in generale e dello 0,8% nel settore alimentare. Queste ultime due percentuali di aumento sarebbero però comunque poco significative, in quanto riferite al 2012, quando la completa liberalizzazione era stata da poco varata dal governo Monti col decreto “Salva Italia”.
Cosa è successo dopo la liberalizzazione del 2011
La liberalizzazione del 1998 lasciava infatti ancora intatti molti divieti (ad esempio, le aperture domenicali non potevano essere più di 8 all’anno, escluso dicembre) e quella del 2011 riguardava le città d’arte e i comuni turistici.
Federdistribuzione sostiene poi che la liberalizzazione non avrebbe penalizzato i piccoli esercenti, come invece sostengono i critici.
- Dal 2012 al 2015 i “negozi tradizionali” hanno patito la crisi e, tra chiusure e nuove aperture, il saldo sarebbe negativo per il 2,6%.
- Nello stesso periodo, però, la grande distribuzione avrebbe sofferto ancor di più, con un saldo negativo per il 4,2%.
- Il dato in controtendenza è la crescita significativa degli ambulanti, che segnano un +7%(sempre tra 2012 e 2015).
Una ricostruzione diametralmente opposta l’ha data, sempre a luglio 2015, il centro studi di Confcommercio, secondo cui “col passare del tempo e con l’approfondirsi della concorrenza, ormai priva di regole, la dinamica delle vendite presso la grande distribuzione è responsabile di una quota crescente di chiusure di piccoli negozi”.
Un’indagine statistica del 2014 dell’Università Politecnica delle Marche certifica poi l’insoddisfazione dei commercianti della Regione interessati dalle liberalizzazioni. Secondo quanto riportato dallo studio, quasi il 70% degli intervistati (tutti in esercizi commerciali al dettaglio) sostiene di “non aver riscontrato un impatto positivo sui risultati economici”. Per il 60% non si sarebbero attratti nuovi clienti, per il 65% non si sarebbe ottenuta una maggiore fidelizzazione dei clienti e per circa il 75% non si è verificato un incremento degli acquisti da parte dei clienti, ma piuttosto un cambiamento nella distribuzione temporale (quello che sostiene Di Maio).