Davvero la democrazia diretta fa guadagnare di più e pagare meno tasse?

Abbiamo verificato le parole del ministro Fraccaro sul rapporto tra coinvolgimento dei cittadini e costo dei servizi pubblici. Ecco cosa ne è venuto fuori

Davvero la democrazia diretta fa guadagnare di più e pagare meno tasse?
ANDREAS SOLARO / AFP 
Riccardo Fraccaro 

Il 26 settembre, il ministro per i Rapporti con il Parlamento Riccardo Fraccaro (M5s) ha rilasciato un’intervista alla Repubblica. Fraccaro ha parlato della democrazia diretta come possibile soluzione a molti problemi dell’Italia e della città di Roma.

Nello specifico, il deputato del Movimento Cinque Stelle dice che "nei Paesi dove i cittadini sono coinvolti attivamente nella vita democratica e nei processi decisionali i servizi pubblici costano il 20% in meno, il Pil pro capite ha una media maggiore del 5%, vi è una percezione minore della corruzione e si registra un minor livello di evasione fiscale".

Ma è vero quello che sostiene il ministro? In realtà, la sua è un’affermazione basata su alcuni studi molto particolari, difficili da generalizzare. Vediamo perché.

Che cos’è la democrazia diretta?

La “democrazia diretta” è, in linea di principio, una forma di governo in cui i cittadini esercitano direttamente il potere legislativo senza l’intermediazione parlamentare, grazie a strumenti come i referendum e le iniziative popolari.

Nella storia, però, sono rarissimi gli esempi in cui di fatto si è eliminata totalmente una qualche forma di rappresentanza.

In concreto, quando parliamo di democrazia diretta si fa riferimento a una serie di strumenti diversi tra loro, messi in pratica in modo diverso in tantissimi Paesi del mondo, tra cui l’Italia. Secondo uno studio del 2017, infatti, nella classifica di “democraticità diretta” tra 87 nazioni, il nostro Paese si piazza  in seconda posizione, dietro alla Svizzera, e insieme a Danimarca e Nuova Zelanda.

La nostra Costituzione prevede infatti diverse forme di partecipazione diretta – come i referendum abrogativi  e quelli costituzionali – ma il Contratto di governo firmato da Lega e M5S vuole addirittura potenziarle, introducendo tra le altre cose il referendum propositivo.

Da dove vengono i dati di Fraccaro?

Il ministro Fraccaro è un grande sostenitore degli strumenti di democrazia diretta, e non da oggi. Già in altre interviste – come quella del 5 giugno al Sole 24 Ore  – aveva citato gli stessi dati contenuti anche nell’intervista a Repubblica. Ma dove li ha presi?

Abbiamo qualche indizio. Nel 2015, il deputato – insieme a tutto il gruppo parlamentare del Movimento Cinque Stelle – aveva presentato una proposta di legge costituzionale per modificare alcuni articoli della Costituzione in materia di democrazia diretta.

Nel testo, era citato come riferimento bibliografico un libro del 2009, intitolato Guida alla democrazia diretta – In Svizzera e oltre frontiera. La pubblicazione, sostenuta dalle autorità svizzere, contiene la probabile fonte dei numeri elencati da Fraccaro.

La Guida riassume  alcuni studi sulle «ripercussioni economiche della democrazia diretta». Vengono citati, ad esempio, i «risultati sorprendenti» di una ricerca pubblicata nel 2000. 

Lo studio in questione spiegava che i cantoni svizzeri – ossia gli stati federali della Svizzera – con più diritti decisionali per i propri cittadini registravano: un Pil pro capite maggiore del 15 per cento rispetto a quelli con meno democrazia diretta; il 30 per cento in meno di evasione fiscale; spese pubbliche inferiori del 10 per cento; un debito pubblico inferiore del 25 per cento; e costi per i servizi pubblici, come la nettezza urbana, più bassi del 20 per cento. Cifre uguali a quelle elencate da Fraccaro.

Per quanto riguarda la maggiore efficienza dell’apparato pubblico, la ricerca presa in esame dalla guida risale al 1997 . Un’analisi comparativa sui 26 cantoni svizzeri, con dati dal 1982 al 1993, ha mostrato che il Pil pro capite è più alto del 5 per cento nei cantoni con ampi diritti democratici diretti.

Sul costo dei servizi pubblici, la guida cita erroneamente uno studio del 1990. In realtà, è una pubblicazione del 1983 che spiega come, in alcuni cantoni della Svizzera, il binomio servizi privati / democrazia diretta faccia calare il costo della nettezza urbana del 20 per cento circa.

Infine, per quanto riguarda il legame tra minore corruzione percepita e democrazia diretta, lo studio descritto – ma non citato nelle note - risale probabilmente al 2003. In questo paper, due ricercatori evidenziano  che, negli Stati Uniti, gli stati con più iniziative di democrazia diretta hanno livelli di corruzione percepita più bassi rispetto agli altri.

I limiti di questi dati

Questi studi – alcuni pubblicati oltre vent'anni fa – hanno però alcuni limiti.

Innanzitutto, prendono in considerazione per lo più la Svizzera, Paese che ha un sistema politico unico al mondo. Ma la letteratura sugli effetti della democrazia diretta sull’economia e sul benessere di una nazione è in realtà molto ampia, e invita a una maggiore cautela vista la complessità del tema.

Un altro problema riguarda il famoso adagio secondo cui “correlazione non significa causazione”. Gli articoli scientifici – tra cui quelli citati – cercano di trovare legami di causa-effetto tra due variabili: la democrazia diretta e l’economia. Ma in un ambito del genere, è difficile riuscire a escludere del tutto altri fattori causali in gioco.

Lo stesso Fraccaro, nell’intervista del 26 settembre, afferma che «la qualità della vita dei cittadini è direttamente proporzionale alla presenza degli strumenti di democrazia diretta nella società».

Il problema è capire “cosa causa cosa”: si vive meglio nei Paesi con la democrazia diretta perché c’è più partecipazione attiva alla vita politica, oppure la presenza di strumenti di democrazia diretta è favorita e incentivata in Paesi in cui il benessere economico e collettivo è già alto?

Gli studi non dicono tutti la stessa cosa

Altri studi mettono in dubbio gli effetti positivi della democrazia diretta sull’economia, almeno nei numeri citati dal ministro. Una ricerca del 2009 ha evidenziato, per esempio, che Paesi con più iniziative popolari spendono di più e sono più corrotti, rispetto a quelli con meno interventi di democrazia diretta.

Un paper sempre del 2009 arriva a una conclusione simile la democrazia diretta sembra non aumentare l’efficacia delle politiche di un Paese.

Per quanto riguarda la partecipazione al voto, diversi studi mostrano  che paradossalmente i cittadini tendono comunque a non presentarsi alle urne, anche con più democrazia diretta.

Conclusione

L’affermazione del ministro Fraccaro sui benefici economici e sociali della democrazia diretta è piuttosto fuorviante ed eccessivamente ottimistica.

In primo luogo, il riferimento a Paesi «dove i cittadini sono coinvolti attivamente nella vita democratica e nei processi decisionali» non tiene conto che anche l’Italia è dotata di strumenti di democrazia diretta – come i referendum –, perfino in maniera maggiore  rispetto a molti altri Stati del mondo.

In secondo luogo, i dati citati sono presi da risultati di studi condotti anni fa nei cantoni svizzeri, dunque a condizioni molto particolari. Ma esistono anche studi che mettono in guardia sia sui mancati effetti positivi della democrazia diretta sull’economia sia sulla possibilità che siano applicabili facilmente in altri Stati, e in contesti come quello italiano.

Share the Facts
2
1
5
AGI rating logo AGI Verdetto:
Controverso
Nei Paesi dove i cittadini sono coinvolti attivamente nella vita democratica e nei processi decisionali i servizi pubblici costano il 20% in meno, il Pil pro capite ha una media maggiore del 5%, vi è una percezione minore della corruzione e si registra un minor livello di evasione fiscale
Intervista a Repubblica
mercoledì 26 settembre 2018

 

Se avete delle frasi o dei discorsi che volete sottoporre al nostro fact-checking, scrivete a dir@agi.it

 



Se avete correzioni, suggerimenti o commenti scrivete a dir@agi.it