La notizia che sta facendo più scalpore in questi giorni è l’inchiesta che riguarda Consip, la società pubblica che fa da centrale acquisti della Pubblica amministrazione, in cui è coinvolto anche Tiziano Renzi, padre dell’ex presidente del Consiglio, Matteo.
A questo proposito, l’esponente del Partito Democratico e presidente della commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia, ha dichiarato ai microfoni di Radio24 il 2 marzo: “A differenza di Renzi, sono sempre stato garantista e continuerò ad esserlo. Certo mi aspetto dal Governo la sospensione dei soggetti coinvolti in Consip e chiarimenti sul suo funzionamento attuale. Poi mi sembra ovvio che quando il quadro sarà chiaro andrà usato il pugno duro con i responsabili. Ricordo che il Renzi di oggi, cauto e garantista, è lo stesso che con la ministra Cancellieri si mostrò talmente giustizialista da chiederne le dimissioni”.
Andiamo a verificare che cosa successe nella vicenda che coinvolse Anna Maria Cancellieri meno di quattro anni fa e se davvero Renzi sta usando i proverbiali 'due pesi e due misure'.
Il caso Cancellieri
La pietra di paragone scelta da Boccia è il caso che nel novembre 2013 vide protagonista l’allora ministro della Giustizia del governo Letta, Anna Maria Cancellieri. Alcuni quotidiani pubblicarono il contenuto di conversazioni telefoniche tra il Guardasigilli e membri della famiglia Ligresti, il cui capofamiglia Salvatore era da pochi mesi stato arrestato per l’inchiesta Fonsai.
Queste telefonate testimoniavano un rapporto di amicizia, e i giornali le misero in relazione con un intervento della Cancellieri in favore di Giulia Ligresti, figlia di Salvatore, anch’essa in carcere, perché le venissero concessi gli arresti domiciliari per motivi di salute. L’accusa era insomma quella di aver esercitato pressioni sul Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, che dipende dal Ministero della Giustizia) per far avere a una conoscente un trattamento di favore.
La Camera respinse la mozione di sfiducia
Il ministro Cancellieri rifiutò di dimettersi, sostenendo di aver svolto centinaia di interventi analoghi – e in questo ricevendo il sostegno anche di figure simbolo come i parenti di Cucchi e Aldrovandi – e di non avere nulla da nascondere o da rimproverarsi.
La Camera, il 20 novembre 2013, respinse la mozione di sfiducia presentata dal Movimento 5 Stelle con 405 no e 154 sì. Pochi giorni prima, la Procura di Torino aveva fatto sapere che né il ministro, né a quel momento nessun altro, era stato iscritto nel registro degli indagati.
Notizie di un coinvolgimento nelle indagini (per false dichiarazioni al pm) emersero solo a marzo 2014, quando la Cancellieri – e con lei il resto del governo Letta – non era più in carica, ma a febbraio 2015 su richiesta del pm il fascicolo venne archiviato e l’ex ministro uscì dalla vicenda completamente pulita.
Renzi e la Cancellieri
Durante i giorni più roventi del caso Cancellieri, Matteo Renzi, all’epoca leader della minoranza che era stata sconfitta alle primarie del 2012 da Bersani, in più occasioni dichiarò: “se fossi in Parlamento chiederei al mio gruppo di votare per le dimissioni della Cancellieri”. Dunque Renzi chiese le dimissioni di un soggetto che non solo non era mai stato condannato o rinviato a giudizio, ma all’epoca nemmeno indagato.
Il caso Consip
Nel caso Consip sono coinvolti in primo luogo l’imprenditore Alfredo Romeo, finito in carcere il primo marzo e accusato di aver pagato tangenti per ottenere gli appalti, e il funzionario Consip Marco Gasparri, accusato di averle intascate. Entrambi risultano indagati per corruzione.
Sono poi coinvolti il ministro Luca Lotti, il comandante della legione Toscana dei Carabinieri Emanuele Saltalamacchia, e il comandante generale dei Carabinieri Tullio Del Sette, tutti e tre indagati per rivelazione del segreto d’ufficio. Avrebbero, secondo l’accusa, avvisato l’amministratore della Consip – Luigi Marroni – della presenza di cimici negli uffici dell’azienda.
Il padre di Matteo Renzi, Tiziano, l’imprenditore Carlo Russo e l’ex Pdl ora consulente di Romeo, Italo Bocchino, sono poi indagati per traffico di influenze.
Renzi e la Consip
A metà gennaio 2017 Matteo Renzi rilasciò un’intervista al direttore di Repubblica, Ezio Mauro, e a una precisa domanda sulla gravità del caso Consip rispose: “La mia linea è sempre una sola: bene le indagini, si vada a sentenza. Noi chiediamo ai giudici di fare presto, sempre. Abbiamo visto polveroni su Tempa Rossa, Penati, Errani, Graziano e non c'è stata condanna. Notizie sparate in prima pagina per le richieste e nascoste per le assoluzioni. Aspetto di vedere la sentenza. Qualcuno ha violato la legge? Si dimostri con gli articoli del codice penale, non con gli articoli dei giornali”.
Una linea dunque garantista, che non solo non dà peso alle rivelazioni giornalistiche ma neppure alle indagini. Quello che conta, nelle parole di Renzi, è la sentenza (anche se non si specifica se di primo grado o definitiva).
La linea garantista di Renzi
In un’altra intervista, stavolta al Corriere della Sera, commentando la notizia secondo cui suo padre risultava indagato nel caso Consip dichiarò: “Mio padre è già passato da una vicenda analoga tre anni fa. Dopo venti mesi è stato archiviato. Spero che finisca nello stesso modo per questa indagine sul traffico di influenze. Ma in ogni caso, da uomo delle istituzioni, dico come allora che la mia prima parola è di fiducia totale nella magistratura italiana e di rispetto per il lavoro dei giudici. Guai a chi fa polemica, gli inquirenti hanno il dovere di verificare tutto. E fanno bene a farlo”.
Boccia ha ragione, due pesi e due misure
Anche qui, facendo Renzi riferimento a una passata assoluzione per un caso analogo, viene implicitamente rivendicata la presunzione di innocenza.
Dunque si può dire che Boccia abbia ragione: la differenza di linea da parte dell’ex segretario del Pd tra il caso Consip, per cui è giusto aspettare la sentenza prima di intervenire sui soggetti coinvolti dalle indagini, e il caso Cancellieri, quando si chiesero le dimissioni di un ministro nemmeno indagato, è evidente.