Il ministro della Giustizia Andrea Orlando, nella sua relazione al Senato sullo stato della giustizia in Italia del 18 gennaio, ha dichiarato: “I dati mostrano un progresso del sistema giudiziario italiano con numeri sensibilmente avvicinatisi alla media europea. Un'inversione di tendenza evidenziata anche nei rapporti internazionali”.
Orlando sembra fare riferimento in particolare alla riduzione delle cause civili e, in misura minore, di quelle penali. Ha detto infatti il ministro: “Nel mese di giugno 2013 le cause civili erano circa 5.200.000. Al 30 giugno 2016, il totale, al netto dell'attività del giudice tutelare, è sceso a circa 3.800.000. E prevedo che, per la fine dello scorso anno, i risultati seguano la tendenza”. E ancora: “Sul versante penale, il numero complessivo di procedimenti pendenti presso gli uffici giudiziari è calato nel 2016 del 7 per cento, attestandosi a 3.229.284 procedimenti”.
Alcuni rapporti, in particolare di origine comunitaria, sembrano dare ragione al ministro Orlando per quanto riguarda i progressi degli ultimi anni e un’inversione di tendenza rispetto al passato. Ma certificano una distanza ancora grande tra i livelli italiani e la media europea, in particolare per quanto riguarda la durata dei processi.
Secondo il rapporto Cepej 2016 del Consiglio d’Europa, che fa riferimento a dati del 2014, migliora ad esempio per l’Italia il carico delle pendenze civili e commerciali (i numeri non sono gli stessi citati da Orlando perché nei dati europei, per esigenze di comparazione, vengono conteggiati procedimenti e cause parzialmente diversi). Dai 3,8 milioni del 2010, ai 3,3 milioni del 2012, fino ai 2,75 milioni del 2014. Il trend è positivo ma si tratta comunque di numeri enormi: in Germania le pendenze nel 2014 erano meno di 750mila, in Francia poco più di 1,5 milioni, in Spagna poco più di 850mila.
La durata dei processi civili, e non solo, continua ad essere un problema. Ancora secondo il rapporto Cepej, l’Italia resta una delle pecore nere in Europa. Pur avendo un “clearence rate” – cioè un tasso di risoluzione delle cause rispetto a quelle nuove che iniziano – positivo (quasi al 120%), grazie anche alle recenti riforme che hanno incrementato i meccanismi di risoluzione alternativa, l’Italia è in una “situazione critica” a causa del “disposition time”, cioè del tempo necessario a risolvere una causa: 532 giorni per il primo grado civile/commerciale. La media europea è di 237 giorni. Peggio di noi fa solo Malta (536).
Siamo messi male se si guarda alla giustizia amministrativa. Anche qui abbiamo un “clearence rate” superiore al 100% (156% nel 2014), ma che è crollato negli ultimi anni: dal 316% del 2010, al 280% del 2012 fino all’ultimo dato preso in considerazione dal rapporto. E il “disposition time” per il primo grado di giudizio è pessimo: 984 giorni contro una media europea di 341 giorni. Peggio di noi fanno solo Malta e Cipro.
Tuttavia anche qui, come per le cause civili/commerciali, le pendenze vanno diminuendo secondo un trend positivo: dalle 509 mila del 2010, alle 349 mila del 2012, alle 267 mila del 2014.
Infine la giustizia penale. Qui il “clearence rate” dell’Italia non è positivo, si ferma al 94% nel 2014, ma non è considerato dal rapporto uno scostamento grave. Il problema è, come sempre, il “disposition time”: 386 giorni per definire il primo grado, nel 2014, con un trend negativo. Ne bastavano 370 nel 2012 e 329 nel 2010. La media europea è di 133 giorni, quasi un terzo. Siamo i peggiori in Europa. Ci giustifica in parte, il rapporto, spiegando che il dato è meno preoccupante se si considera che l’85% delle cause penali nasce da crimini gravi (che quindi richiedono più tempo).
Il rapporto poi certifica una riduzione del 4% delle pendenze nel settore penale per il periodo 2012-2014.
Dunque, se è vero che i rapporti internazionali segnalano un’inversione di tendenza positiva, soprattutto circa lo smaltimento degli arretrati grazie a dei “clearence rate” positivi (tranne che per la giustizia penale, seppur di poco), non è vero che l’Italia si sia avvicinata “sensibilmente” alle medie europee, in particolare per quanto riguarda la durata dei processi. Un tasto, questo, su cui aveva provato a battere anche Matteo Renzi a maggio 2016, sempre basandosi su dei numeri forniti da Orlando, e anche allora si era dimostrato come la verità fosse meno rosea di quel che il governo voleva far credere.