Una nuova, devastante, guerra del Golfo rischia di essere innescata da un'altra guerra, dimenticata dai media e dai governi, quella che si combatte dal 2015 in Yemen, da dove oggi sono partiti i droni che hanno centrato una conduttura petrolifera saudita di 1.200 chilometri e due stazioni di pompaggio.
"E' una risposta ai crimini sauditi", ha detto un portavoce dei ribelli Houthi, legati all'Iran, il Paese ritenuto da Riad e Washington responsabile del sabotaggio di quattro petroliere degli Emirati arabi avvenuto domenica scorsa nel porto emiratino di Fujairah, nello stretto di Hormuz.
L'oleodotto colpito oggi rappresenta per i sauditi una via petrolifera alternativa proprio allo Stretto, nel caso in cui l'Iran decidesse di chiuderlo in vista di un confronto militare con gli Stati Uniti: le due stazioni di pompaggio di Dawadmi e Afife che sorgono sulla conduttura East West, entrate nel mirino dei droni, sono in grado di trasferire cinque milioni di barili al giorno, destinati all'esportazione. L'operatività dell'oleodotto è stata "fermata temporaneamente per una valutazione dei danni", ha detto il ministro saudita dell'Energia, Khalid al-Falih, che ha voluto sottolineare come l'intera produzione petrolifera stia proseguendo.
Teheran ha condannato il sabotaggio delle petroliere, ma Stati Uniti e Arabia Saudita non credono agli iraniani, sui quali l'amministrazione Trump ha focalizzato da tempo l'attenzione, indicandoli come una minaccia per la regione.
Il gioco sembra chiaro alla Repubblica islamica: le operazioni di "sabotaggio nella regione sono sospette e puntano ad aumentare la tensione e alla destabilizzazione", ha dichiarato il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, impegnato in una visita in India.
"Elementi estremisti dell'amministrazione americana e della regione stanno lavorando per imporre politiche pericolose nella regione", ha aggiunto.
E, sebbene una squadra di investigatori americani abbia affermato di aver trovato tracce di esplosivo per sabotaggio e che questo sia stato perpetrato da Teheran, a diversi esperti del settore marittimo la versione fornita dagli arabi è sembrata ambigua: "La reticenza saudita nel fornire un quadro dettagliato di quanto avvenuto e le scarse immagini dell'incidente sollevano domande significative sulla natura dell'attacco", ha affermato la compagnia di sicurezza marittima Dryad Global, citata dall'autorevole sito Lloyds List Maritime Intelligence.
Come nel 2003 per l'Iraq, dunque, la 'pistola fumante' non è stata trovata.
Una polveriera
A otto anni dalla fine formale della seconda Guerra del Golfo (nel 2011 vi fu il passaggio di poteri in Iraq dall'amministrazione americana a quella di Baghdad), l'area è diventata di nuovo una polveriera di tensioni pronte a esplodere, anche accidentalmente, a causa di tre fattori principali: il ritiro di Washington dall'accordo sul nucleare siglato dalla comunità internazionale con l'Iran; le pressioni israeliane anti-Teheran su Washington; la tensione costante tra i due grandi attori della regione, Arabia Saudita e Iran, che finora hanno scelto come terreno di contesa lo Yemen, con una guerra che ha causato la più grande emergenza umanitaria della storia recente.
"L'amministrazione Trump", ha spiegato Ali Vaez, direttore del progetto Iran dell'International Crisis Group, ha aumentato i rischi nella regione, e le possibilità di un scontro accidentale o deliberato con l'Iran sono "piu' alte" poiché non vi sono canali di comunicazione diretti tra Teheran e Washington.
Tale timore ha spinto la Spagna a ritirare dall'area una fregata che partecipava a manovre con la portaerei americana.
Gli Usa il 5 maggio hanno inviato la portaerei USS Abraham Lincoln verso lo Stretto di Hormuz, per entrare nel Golfo Persico.
Come nel 2003
"Gli Usa non vogliono una guerra con l'Iran", ha assicurato il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, al collega russo, Serghei Lavrov, nel corso di un incontro a Sochi, mentre il presidente americano ha smentito la notizia del New York Times secondo cui ci sarebbero piani per inviare 120 mila soldati in Medio Oriente.
È una "fake news", ha affermato, precisando poi che se volesse schierarne, manderebbe "molte piu' truppe".
Secondo il quotidiano, nel corso di una riunione - di giovedì scorso - dei principali consiglieri per la sicurezza, il segretario alla Difesa a interim, Patrick Shanahan, ha presentato un piano militare aggiornato che prevede l'invio delle truppe qualora l'Iran dovesse attaccare le forze americane o accelerare il lavoro sulle armi nucleari. L'aggiornamento, che porta la firma dei falchi guidati dal consigliere per la sicurezza nazionale, John Bolton, non invoca un'invasione di terra dell'Iran, che richiederebbe un numero maggiore di truppe, hanno spiegato i funzionari sentiti dal Nyt.
Tuttavia si tratta di una forza che si avvicina molto a quella impiegata da George W. Bush per l'invasione dell'Iraq.