Il dipartimento di Stato americano ha ordinato il 31 agosto la chiusura del consolato russo a San Francisco, contro-rappresaglia alla cacciata di 755 'diplomatici' americani decisa dal Cremlino, a sua volta in risposta all'espulsione - tardiva - di 35 'diplomatici' russi, decisa lo scorso dicembre dall'allora presidente Barack Obama, dopo aver saputo ad agosto 2016 che Mosca stava interferendo nelle elezioni presidenziali.
Putin ha capito di aver scommesso su un cavallo sbagliato: Trump
Mosca sostenne che con l'espulsione dei 755 'diplomatici' Usa (dizione sotto la quale si celano spie coperte da immunità diplomatica da entrambe le parti) il numero dei 'funzionari' in servizio in entrambi i Paesi sarebbe stato uguale, ossia 455 in totale per russi e statunitensi. Oggi la nuova contromossa del dipartimento di Stato dopo la scadenza dell'ultimatum di Mosca. Mossa decisa dopo che il presidente russo Vladimir Putin ha capito di aver scommesso sul cavallo sbagliato - Hillary Clinton sarebbe stata però un incubo per lui - perché il Congresso, con una votazione bipartisan a larghissima maggioranza, ha tolto a Trump i poteri di revocare sanzioni alla Russia. Su questo contava Putin e per questo non rispose immediatamente alla decisione di Obama 9 mesi fa.
Quali sono le strutture russe chiuse a San Francisco
Le due strutture di cui è stata ordinata la chiusura entro sabato, oltre al consolato californiano che serviva tutta la costa occidentale, sono un edificio diplomatico annesso alla grande ambasciata russa a Washington ed uno annesso al consolato di New York. "Gli Stati Uniti hanno pienamente rispettato la decisione del governo russo di ridurre le dimensioni della nostra missione in Russia", ha dichiarato la portavoce del dipartimento di Stato, Heather Nauert aggiungendo: "Riteniamo che questa azione (l'espulsione dei 755 'diplomatici', ndr) sia ingiustificata e dannosa per le relazioni complessive tra i due Paesi" sottolineando che alla fine Russia e Usa "resteranno con 3 consolati a testa".
Oggi scade l'ultimatum della Russia ai 755 dipendenti dell'ambasciata Usa
L'ultimatum del Cremlino scade il primo settembre e coinvolge 755 dipendenti dell'ambasciata Usa tra 'diplomatici' americani e dipendenti russi (600 secondo indiscrezioni) della legazione e dei consolati. Gli Usa fino all'ultimo avevano sperato in un ripensamento russo ma preso atto che i tempi si erano ridotti al lumicino, hanno reagito. Washington peraltro aveva già sospeso l'emissioni di visti professionali e turistici (limitandosi a quelli chi vuole emigrare negli Usa) tra il 23 agosto ed il primo settembre. Ma ora fino a nuovo ordine i consolati Usa non emetteranno più alcun visto.
Lavrov sibillino anticipa rappresaglie contro gli Usa
Il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavorv, ha replicato a stretto giro alla decisione degli Usa di chiudere il consolato di Mosca a San Francisco. Lavrov, il più geniale collaboratore del presidente russo Vladimir Putin, ha espresso "rammarico per l'acuirsi della tensione" con Washington "innescata" dall'America e ha avvertito che "non siamo stati noi ad iniziare l'escalation diplomatica, aggiungendo che le nuove misure adottate dagli americani saranno valutate con attenzione a Mosca", sibillino messaggio che preannuncio possibili rappresaglie.
Mosca prepara la risposta a Washington
La Russia quindi annuncia di voler continuare il dialogo con gli Stati Uniti, ma non lascerà senza risposta la decisione di Washington di chiudere il consolato di Mosca a San Francisco. Lo ha dichiarato Lavrov. "Abbiamo ricevuto questa notte la nota dettagliata, ce ne stiamo occupando, reagiremo appena avremo finito questa analisi", ha avvertito Lavrov, parlando oggi in un incontro con gli studenti dell'Università Mgimo di Mosca, dove ha aperto l'anno accademico.
A detta del capo della diplomazia russa, "tutta questa storia di scambi di sanzioni non è stata avviata da noi, ma dall'amministrazione Obama esattamente con lo scopo di minare le relazioni russo-americane e non permettere a Trump di intraprendere nella sua presidenza il cammino delle proposte costruttive e per complicare la messa in pratica delle sue dichiarazioni pre-elettorali, sulla necessità di normalizzare i rapporti con la Russia".