“Non ci sarà un’operazione speciale per vendicare il generale, ma si perseguirà il suo obbiettivo strategico: cacciare gli Usa dalla regione”. Lo dice in un’intervista al Corriere della Sera Anis Nakash, che è stato uno dei terroristi più ricercati del mondo, che prima del generale Soleimani, ucciso in un raid Usa il 3 gennaio, aveva per amico Carlos, soprannominato lo “Sciacallo”, ovvero il super terrorista con cui sequestrò 60 ostaggi nella sede Opec di Vienna nel 1975. In quel periodo Nakash era il suo vice e in quell’occasione le vittime furono tre.
E se il Parlamento iracheno ha già votato perché gli americani se ne vadano, per Nakash “è chiaro che, da qui alle elezioni presidenziali di novembre, gli attacchi saranno continui”. “E lo stesso accadrà in Afghanistan, in Yemen e in Arabia Saudita” spiega al quotidiano di via Solferino il un “professore” capace di insegnare ai primi Pasdaran iraniani e, poi, alle prime milizie libanesi di Hezbollah le azioni di guerriglia.
Secondo Nakash, “c’è una logica economica” in tutto quel che sta accadendo: “Se il prezzo internazionale del petrolio sale, anche se gli Usa sono autosufficienti, il prezzo della benzina sale e gli elettori di Trump non saranno contenti”. Quindi c’è da capire cosa farà Trump: “Manderà 100mila soldati chiedendo di essere rieletto?”, si chiede. Per poi aggiungere: “L’attacco ai pozzi petroliferi sauditi di settembre è stato un trionfo: 25 droni non intercettati dai radar, non fotografati dai satelliti, non bloccati dai Patriot, ma capaci di seminare il panico nel mercato petrolifero. La tecnologia non aiuta solo gli americani”.
Nell’intervista Nakash sostiene anche che Cina e Russia “in comune con noi hanno i nemici: l’imperialismo americano e l’estremismo sunnita” e sanno che “è meglio fermare qui la gente dello Stato islamico, altrimenti se li trovano in Cecenia, in Daghestan, nello Xinjiang”. Tanto più che Cina e Russia “vogliono creare un equilibrio internazionale con sistemi di pagamento e un mercato alternativo a quello occidentale”. Per poi concludere: “Gli Usa non sono gli unici padroni della modernità”.