In campagna elettorale aveva definito l’Onu “un club che vuole divertirsi” e oggi c’era attesa a New York per capire se l’idea del presidente americano fosse ancora quella. No, non lo è, è cambiata. Pur mantenendo forti riserve sull’organizzazione del Palazzo di Vetro, sulla sua burocrazia interna nonché su alcuni meccanismi desionali ed economici, Trump ha usato parole diverse, molto più distese e distensive, che ha fatto sorridere chi temeva un’apertura dell’Assemblea Generale con forti perturbazioni, e non solo legate alla crisi diplomatica e militare tra Stati Uniti e Corea del Nord.
Un Palazzo di Vetro più trasparente e meno costoso
Il presidente Usa ha in mente Nazioni Unite più trasparenti, una riduzione delle duplicazioni dei mandati, procedure di bilancio più snelle, una riaffermata primaria responsabilità degli Stati. Scrive oggi La Stampa: “Presentando questa agenda con un discorso di 4 minuti, Trump non ha lesinato le critiche: ‘In passato l’Onu non è stata all’altezza delle sue potenzialità, a causa della burocrazia e gli errori di gestione’. Poi ha aggiunto: ‘Dobbiamo assicurare che nessun Paese sostenga un fardello sproporzionato, militare e finanziario’, riferendosi ai contributi Usa. Quindi ha lasciato l’aula con una battuta che riprendeva il suo slogan elettorale: ‘Dobbiamo fare le Nazioni Unite grandi. Non di nuovo. Il potenziale è enorme, penso che ce la faremo’.
Gli Usa non taglieranno i fondi
Scrive ancora il quotidiano torinese: “Trump vuole ridurre i contributi americani, 28,5% per il bilancio da 7,3 miliardi delle operazioni di pace, e 22% per i 5,4 miliardi del bilancio regolare, ma sa che sono cifre ridicole rispetto ai quasi 700 miliardi spesi ogni anno dal Pentagono. L’ambasciatrice Nikki Haley, che punta al posto di segretario di Stato per poi candidarsi alla Casa Bianca nel 2020, lo ha convinto che agli Usa non conviene radere al suolo il Palazzo di Vetro. Sulla Corea del Nord, ad esempio, ha approvato sanzioni molto dure. Se basteranno è un altro discorso, ma lo strumento onusiano può servire ancora a Washington". Insomma, le differenze restano ma non bastano ancora a giustificare la distruzione dell’Onu. Questa la nuova posizione del presidente, che secondo Avvenire “ha riaffermato il suo impegno a collaborare a una riforma dell’Onu, lodando la determinazione del segretario generale Antonio Guterres a concentrarsi ‘più sulle persone e meno sulla burocrazia’. Il tycoon non ha fornito particolari sulla sua proposta di riforma, limitandosi a chiedere ‘maggiore responsabilità a tutti i livelli’ e ‘attenzione ai risultati piuttosto che al processo’, ma almeno non ha ripetuto la minaccia, lanciata più volte durante la campagna elettorale del 2016, di tagliare radicalmente i fondi americani per l’organizzazione".
L'organizzazione accusta spesso di immobilismo
Da ieri i leader mondiali si sono riuniti a New York per partecipare alla 72esima Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Creato con l’obiettivo di rendere il mondo un posto migliore e più pacifico. L’Onu viene spesso accusato di immobilismo e criticato per essere una vetrina piena di buone intenzioni che non sempre però trovano una loro concretizzazione. Come ricorda il New York Times, l’Onu è stato fondato nel giugno 1945 durante la conferenza di San Francisco su impulso di quattro nazioni - Gran Bretagna, Stati Uniti, Unione Sovietica e Cina – sulle ceneri della vecchia Società delle Nazioni. Dopo intensi negoziati, 50 Paesi firmarono lo Statuto che entrò in vigore il 24 ottobre di quell’anno, da allora celebrata come Giornata delle Nazioni Unite.
Come funziona oggi l'Onu
Oggi sono 193 i Paesi che ne fanno parte sul totale dei 196 riconosciuti sovrani. Due gli impegni sottoscritti dai firmatari, porre fine al “flagello della guerra” – allora il mondo usciva dal secondo conflitto mondiale – e recuperare “la fiducia nei diritti umani fondamentali”. Da qui, la proclamazione della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, che include il diritto a non essere ridotto in schiavitù, la libertà di espressione e il diritto a cercare in altri Paesi asilo dalle persecuzioni. Molti altri diritti espressi nel documento sono però rimasti finora inattuati, come quello all’educazione e all’uguaglianza nei salari a parità di lavoro.
Ogni autunno, al Palazzo di Vetro a New York si riuniscono presidenti e primi ministri: l’Assemblea generale diventa così il palcoscenico per elevati discorsi morali come per rivendicazioni, prestando il fianco alle critiche di chi lo vede come un sistema prettamente autoreferenziale. Centinaia di risoluzioni vengono presentate, ma anche se alcune acquistano una forte risonanza internazionale, non sono legalmente vincolanti.
Il centro del potere, infatti, risiede nel Consiglio di Sicurezza, composto da 5 membri permanenti e 10 non permanenti, a rotazione ogni due anni (quest’anno è il turno dell’Italia a siedervi, mentre nel 2018 passerà il testimone all’Olanda con la quale ha deciso di condividere il biennio). È questo consesso che può imporre sanzioni o autorizzare un intervento armato.
Una composizione forse anacronistica
Ma è la sua composizione ad attirare l’opposizione maggiore per il suo anacronismo, con i cinque seggi permanenti occupati dalle nazioni uscite vincitrici dalla Seconda Guerra Mondiale – Usa, Regno Unito, Francia, Cina e Russia - senza tenere conto delle evoluzioni avvenute da allora negli equilibri mondiali, con l’emergere di altre potenze, come India, Giappone e Germania. I tentativi di adeguare la struttura alle nuove realtà non sono mai andati in porto.
I cinque membri permanenti del CdS hanno il potere di veto che viene regolarmente usato per difendere i propri interessi o quelli dei propri alleati, in un 'fuoco incrociato' che spesso ne paralizza l’effettiva capacità decisionale. Così è successo dal 1990 ad oggi per gli Stati Uniti nei confronti del conflitto israelo-palestinese o più di recente per la Russia con la Siria e la difesa del regime di Bashar al-Assad. Lo Statuto Onu autorizza l’Assemblea Generale ad agire se, a causa del veto, la pace internazionale viene messa in pericolo ma nella realtà raramente viene fatto.
L'impegno per il mantenimento della pace
Il compito principale delle Nazioni Unite, infatti, è mantenere la pace internazionale, un ‘lavoro’ negli ultimi anni reso sempre più difficile dalla ripresa e crescente animosità tra Russia e Occidente, rendendo l’attività del Cds per lo più inefficace. E’ il caso della Siria, da sei anni dilaniata da una guerra civile alla quale la comunità internazionale non riesce a porre fine. Non va meglio in Yemen, dove la campagna militare contro i ribelli sciiti houthi è sfociata in un conflitto che ha provocato una gravissima crisi umanitaria, aggravata da una epidemia di colera (600mila i casi finora registrati), o la repressione in corso in Birmania contro la minoranza musulmana dei Rohingya. O ancora le tensioni con la Corea del Nord per il suo programma di armamento nucleare, che Pyongyang, nonostante le dure sanzioni approvate dal Cds, continua a portare avanti.
Quale futuro per le Nazioni Unite?
In questo contesto, sottolinea il New York Times, i doveri del segretario generale dell’Onu restano abbastanza vaghi. Il più alto rappresentante del Palazzo di Vetro è scelto dai cinque membri permanenti del Cds a scrutinio segreto per un mandato di cinque anni, estendibile al massimo per altri cinque. Non deve mostrare nessuna preferenza per alcuna nazione ma il suo ufficio è ampiamente dipendente dai finanziamenti delle principali potenze. L’attuale segretario generale dell’Onu è il portoghese Antonio Guterres, insediatosi quest’anno, dopo aver ricoperto per dieci anni il ruolo di Alto commissario Onu per i Rifugiati (Unhcr). Si tratta del nono segretario generale dalla fondazione dell’Onu, tutti uomini.
Quanto al futuro, le Nazioni Unite hanno diverse domande cui rispondere per dimostrare di essere un’organizzazione in grado di affrontare le crescenti sfide che il mondo ha di fronte, dal ruolo e composizione del Cds, al potere di ‘persuasione’ del segretario generale in particolare rispetto a minacce globali come il cambiamento climatico, alla realtà delle operazioni di peacekeeping, fino alla gestione dei flussi migratori.