AGI - Un ex sommozzatore della Marina statunitense ha battuto il record di permanenza sott’acqua: da 74 giorni vive a una profondità di 9 metri all’interno di uno spazio di 55 metri quadrati. Il suo obiettivo è quello di rimanere lì per ben 100 giorni. L'attuale record è detenuto da due biologi del Tennessee che nel 2014 sono rimasti sott’acqua per 73 giorni.
Scopo dell'iniziativa è testare l'impatto che la vita in un ambiente ad alta pressione avrà sulla sua salute. Una minaccia non da poco, considerato che la pressione iperbarica può danneggiare l’organismo, in quanto il volume dei gas contenuti dalle cavità corporee cambia all’aumentare della profondità. "Molti miei commilitoni hanno subito lesioni cerebrali traumatiche e voglio imparare come aiutarli" ha detto Dituri, "So bene che la pressione iperbarica può aumentare il flusso sanguigno cerebrale e ho ipotizzato che potesse essere utilizzata per trattare lesioni cerebrali traumatiche. Suppongo che l’applicazione dei noti meccanismi d'azione della medicina iperbarica possa essere utilizzata per trattare un ampio spettro di malattie".
Perché non è come a bordo di un sottomarino
A differenza degli equipaggi dei sottomarini, che sono progettati per mantenere le condizioni di pressione atmosferica del livello del mare, anche a centinaia di metri di profondità, il ricercatore statunitense vive in una 'bolla' in cui l’aria intrappolata subisce la pressione dell'acqua tutt’intorno e che a 9 metri di profondità è circa il doppio di quella sulla terraferma al livello del mare.
La camera sottomarina è dotata di grandi pareti trasparenti, ma a 9 metri di profondità arriva solo la metà della luce solare a cui di solito siamo esposti. Per gli esperti, questo potrebbe influire sul ritmo circadiano di Dituri, cioè quei meccanismi biologici che fungono da “orologio” interno controllando processi come il ciclo sonno-veglia. L’alterazione del ritmo circadiano è una conseguenza plausibile, anche considerato il fatto che si verifica sia in chi ha fatto esperienza nei sommergibili sia negli astronauti.
Un altro problema che potrebbe emergere per via della scarsa esposizione alla luce solare è la carenza di vitamina D, con conseguenze sulla densità ossea, sulla massa muscolare e sull’efficienza del sistema immunitario, con la possibilità di sviluppare infezioni. Il deficit di vitamina D, comunque, può essere limitato attraverso l’alimentazione e l’assunzione di integratori.