AGi - Unità e forza. È ciò che questa volta, ancora prima di ogni altra cosa, il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha chiesto all'Unione europea. Unità perché la stessa Ucraina ha dimostrato che un popolo unito riesce a respingere anche l'esercito russo, "che il 24 febbraio faceva paura a tutti".
E forza perché "è l'unica argomentazione che Mosca percepisce". Nel suo intervento, in videocollegamento, al vertice Ue in corso a Bruxelles, Zelensky ha chiesto ai leader dei Ventisette di "fare presto e approvare subito il sesto pacchetto di sanzioni".
Perché "tra quinto e sesto pacchetto sono state uccise delle persone, distrutte delle città, sono morti dei bambini".
E ha fornito i numeri: l'8 aprile", giorno dell'approvazione del quinto pacchetto di sanzioni, "c'erano 169 bambini nell'elenco di quelli uccisi dagli occupanti russi in Ucraina. Ad oggi, sono 243" i bambini che hanno perso la vita. Nello stesso periodo da "928 strutture educative distrutte" tra cui "asili, scuole e universita'" si è passati "a 1.888" edifici scolastici abbattuti.
Ma non sarà semplice arrivare a un via libera alle sanzioni. Perché l'Unione europea questa volta si è presentata al Consiglio europeo divisa. Proprio sul sesto pacchetto che prevede un embargo al petrolio russo.
E non c'è stato nemmeno modo di celare questa divisione. Nonostante il tentativo del Consiglio di fare passare il messaggio che gli ambasciatori, nella loro riunione last minute del mattino, avevano "raggiunto un accordo di massima" sul pacchetto modificato che prevede il divieto di importazione del petrolio solo via mare, esentando così l'oleodotto Druzhba che rifornisce l'Ungheria ma che arriva anche in Germania e Polonia che però si sono impegnati a fare a meno, per conto proprio, del greggio russo entro l'anno.
Il pacchetto finalizzato richiedeva il via libera finale dei leader dell'Ue. Ma già al loro arrivo al vertice è parso abbastanza chiaro che era tutt'altro che scontato.
L'ottimismo del presidente francese, Emmanuel Macron, e del cancelliere tedesco, Olaf Scholz, si è scontrato con il realismo di Ursula von der Leyen, la presidente della Commissione europea e, soprattutto, con il fatalismo del premier ungherese, Viktor Orban.
"Ci sono basse aspettative che si arrivi a un accordo nelle prossime 48 ore", ha ammesso von der Leyen. "Non c'è nessun accordo, queste sanzioni sono una bomba nucleare per l'economia ungherese", ha tuonato Orban che incolpa la Commissione per aver gestito in modo fallimentare questa partita che rischia di disintegrare l'unità europea.
"Siamo in una situazione molto difficile, di base a causa del comportamento irresponsabile della Commissione", ha spiegato.
"La posizione dell'Ungheria è chiara, perché il tema energetico è molto serio. Per prima cosa, abbiamo bisogno di soluzioni e poi delle sanzioni. Finora i primi cinque pacchetti di sanzioni sono stati portati avanti con un approccio diverso: prima facendo sanzioni e poi iniziando a pensare alle conseguenze e alle soluzioni. Quindi dobbiamo cambiare approccio", ha esortato Orban.
Ma non solo l'Ungheria si mette di traverso. Ci sono altri Paesi, come la Repubblica Ceca, che vogliono maggiori garanzie.
E altri ancora che temono che le eccessive esenzioni possano mettere a rischio la libera concorrenza e andare a scapito delle loro economie. Tra questi l'Italia.