Donald Trump non vuole parlare con Xi Jinping e ipotizza una rottura con la Cina in risposta al "peggior attacco che l'America abbia mai subito" con un "virus creato o manipolato il laboratorio" che "molto probabilmente", ha tenuto a precisare, gli è sfuggito di mano.
"Che cosa succederebbe se interrompessimo completamente le relazioni? Risparmieremmo 500 miliardi", ha dichiarato Trump in un'intervista a FoxNews, riferendosi in modo approssimativo al valore dell'interscambio tra Stati Uniti e Cina. L'escalation di Trump nella retorica contro Pechino non è una sorpresa: rappresenta forse la sua posizione politica più coerente.
"Il Covid-19 è arrivato mentre si stava intensificando la seconda Guerra Fredda, tra gli Stati Uniti e la Repubblica popolare cinese, le due super potenze della nostra epoca, con l'Unione europea e gli altri alleati americani che sperano silenziosamente di restare non allineati", osserva sullo Spectator lo storico ed editorialista Niall Ferguson.
All'indomani dell'elezione, prima ancora di prendere possesso dello Studio Ovale e lanciare la sua offensiva sui dazi, il 5G e la nuova Via della Seta, il tycoon aveva parlato al telefono con la leader di Taiwan Tsai Ing-Wen mettendo in discussione la necessità statunitense di rispettare il "Principio dell'Unica Cina".
Quella che era sembrata una gaffe diplomatica, è stata la prima picconata a mezzo secolo di relazioni tra Washington e Pechino dopo lo storico disgelo tra Richard Nixon e Mao Tse-tung, architettato negli anni Settanta da Henry Kissinger anche per allontanare la Cina dall'Unione Sovietica.
È come se Trump stesse giocando al rovescio la carta di Nixon: avvicinarsi a Mosca in chiave anti-cinese, cioè seducendo il Cremlino per indebolire l'asse con Pechino votato alla crescente (e preoccupante per la supremazia americana) collaborazione in ambito politico, economico e militare.
Se l'aggancio con Mosca gli è costato il Russiagate con il conseguente processo di impeachment, che il tycoon attribuisce al "deep state", il fatto che la Cina abbia responsabiltà evidenti sull'origine della pandemia e sulla sua diffusione, corrobora la narrazione del capo della Casa Bianca contro lo Stato del Dragone.
Che sia partito dal mercato oppure dal laboratorio di Wuhan, il virus ha minato la credibilità di Pechino e i piani egemonici di Xi Jinping sullo scacchiere internazionale. Negli Usa però i contagi sono oltre 1,3 milioni e i morti 84 mila a fronte di 4.600 decessi in Cina.
Per evitare che le presidenziali si trasformino in un referendum sulla sua risposta alla pandemia, Trump sta trascinando in questa campagna il rivale democratico designato, Joe Biden, dipingendolo come l'alternativa filo-cinese.
A sua volta Biden ha accusato Trump di aver trascurato la pandemia per l'accordo commerciale con la Cina, punto di forza del suo primo mandato. Mentre in America (e in Europa) l'economia va a picco, la Cina ha registrato a sorpresa ad aprile un balzo dell'export del 3,5% annuo e un surplus commerciale di oltre 45 miliardi di dollari contro un avanzo compreso tra 6 e 10 miliardi previsto dagli analisti.
I falchi americani temono che la Cina possa emergere rafforzata dalla pandemia e reclamano contromisure. Poiché gli acquisti cinesi di beni agricoli a stelle e strisce sono ripartiti, Pechino, tramite il Global Times, ha sollevato l'ipotesi di rinegoziare la "fase 1" dell'intesa commerciale con gli Usa siglata a gennaio.
Trump ha escluso categoricamente questa possibilità. È convinto tuttavia che la Cina sia impegnata in attività di pirateria informatica per battere gli Usa nella corsa al vaccino anti-Covid, prossimo fronte di questa nuova Guerra fredda.