Quella che va in scena a Pechino in occasione del Forum sulla cooperazione internazionale Belt and Road (14 e 15 maggio) non è solo un’iniziativa diplomatica, bensì un vero e proprio road show del nuovo 'soft power' del presidente cinese, che il 17 gennaio scorso a Davos ha dato un nuovo corso alla politica estera, pronunciando un discorso a difesa della globalizzazione. Ma anche un'occasione straordinaria per il nostro Paese di essere partecipe e protagonista di un progetto di sviluppo infrastrutturale in una delle aree strategiche del pianeta.
Paolo Gentiloni alla corte di Xi Jinping
Xi Jinping ospiterà 28 tra capi di Stato e di governo, tra i quali anche il presidente del Consiglio italiano, Paolo Gentiloni, circa 1200 delegati provenienti da 110 Paesi. Gli scenari sono mutati, soprattutto con l’arrivo alla Casa Bianca del presidente Donald Trump, che ha sollevato i timori di possibili derive protezionistiche e la cui imprevedibile politica estera rischia di avere ripercussioni non chiare sugli equilibri asiatici. L'idea di mondo globalizzato proposta dalla Cina in apparenza non pone una sfida all'egemonia americana (in declino): il primo Paese ad avvantaggiarsi dell'attuale ordine mondiale è proprio la Cina, seconda economia mondiale. 'Bri' incarna la nuova visione delle relazioni che Pechino intende intraprendere con altri Paesi, proponendo un modello con caratteristiche cinesi, più inclusivo ed equilibrato. “La Cina vuole guidare la nuova globalizzazione”, ha detto l’ex ministro degli Esteri He Yafei. Belt and Road si presenta dunque come la risposta cinese al cambiamento degli scenari geopolitici, alla crisi economica globale, e punta a definire un nuovo ordine mondiale, o meglio: a dettare le regole del sistema attuale. Xi ha promesso finanziamenti per 780 miliardi di yuan (113 miliardi di dollari) al progetto Belt and Road. Di questa somma 14,5 miliardi di dollari andranno al Silk Road Fund, uno dei grandi bracci finanziari dell'iniziativa.
La nuova via della seta
“Belt and Road Initiative” (Bri), la nuova Via della Seta, è il progetto lanciato dal presidente Xi Jinping nel 2013 per integrare l’Asia e l’Europa via terra e via mare. Inizialmente noto come “One Belt One Road” (OBOR), “una cintura una via” (Yi dai yi lu, 一带一路), il nome è stato modificato per chiarire lo scopo del progetto, che non riguarda solo la Cina: “La via della Seta”, specifica il governo cinese sul proprio sito web, “è stata proposta dalla Cina, ma non è un assolo della Cina. Un’analogia migliore è quella di una sinfonia suonata da un’orchestra composta di tutti i Paesi che vi partecipano”. Cooperazione a livello internazionale per migliorare la governance globale: un concetto caro a Xi.
Un grande progetto economico
Non si tratta meramente di un nuovo slogan della comunicazione politica cinese, ma di quel progetto che oggi esprime la visione che la Cina ha del mondo: un mondo multipolare, il ritorno del Tianxia (“all under heaven”, 天下, la visione tradizionale cinese dell’ordine mondiale, come ha spiegato Enrico Fardella su Orizzonte Cina, con la Cina al centro. Una visione, dunque, sinocentrica. Ma l’iniziativa è soprattutto un grande progetto economico che punta a integrare l’Asia e l’Europa costruendo sei corridoi di trasporto via terra e via mare, attraverso i quali circoleranno merci, tecnologie, cultura. La Cina intende promuovere il progetto attraverso le relazioni bilaterali e gli organismi internazionali multilaterali già esistenti (Aseam , Sco , 16+1, Apec , Asean+).
Non è un nuovo piano Marshall
Lo Statuto ufficiale del marzo del 2015 definisce l’iniziativa un “impegno solenne di cui beneficeranno tutti i popoli del Pianeta”. Il progetto rappresenta l’incarnazione del Sogno Cinese di “rinascita” ed è legato al piano di innovazione del settore manifatturiero “Made in China 2025”. La nuova Via della Seta “ambisce a migliorare la connettività attraverso questi sei corridoi economici di trasporto multimediali”, ha spiegato Marco Marazzi , presidente di Easternational, il nuovo think tank con focus sulla Via della Seta che il 9 maggio a Bologna ha promosso insieme a BPER Banca il convegno “Belt and Road Initiative: opportunità per le imprese italiane”. Attenzione, quello cinese non è un nuovo piano Marshall: “Il progetto presuppone il coinvolgimento di altri Paesi anche in fase decisionale su progetti specifici – ha sottolineato Marazzi - con l’obiettivo di stimolare l’integrazione economica euroasiatica. Per la Cina il progetto servirà anche a indirizzare la sovraccapacità produttiva verso nuovi mercati”.

I sei corridoi economici e marittimi
L’obiettivo è ambizioso: Xi vuole collegare la Cina all’Asia Meridionale e Centrale, alla Russia, all’Africa e all’Europa, aprendo nuovi canali via terra (dai, cintura) e via mare (lu, strada), e migliorare la connettività costruendo infrastrutture, ferrovie, porti. Nelle mappe disegnate da Pechino e illustrate dallo Statuto ufficiale del marzo 2015, gli investimenti via terra (Silk Road Economic Belt) puntano a collegare la Cina con il Golfo Persico e il Mediterraneo tramite l’Asia centrale e occidentale, oltre a connettere il Paese con il Sud Est Asiatico e l’Oceano Indiano. L’ambizione è di realizzare via terra quattro dei sei corridoi: il nuovo ponte Eurasiatico (New Eurasian Land Bridge), progetto di ampliamento dei collegamenti ferroviari tra l’Asia orientale e l’Europa; tre cinture di collegamento: Cina, Mongolia e Russia; Cina, Asia Centrale e Asia Occidentale; Cina e la Penisola Indocinese. “Si tratta di progetti sui quali investire risorse finanziarie congiunte con i Paesi interessati, sfruttando le rotte commerciali internazionali e i parchi industriali come piattaforme di cooperazione”, spiega il Global Times, uno dei più influenti tabloid cinesi, pubblicato dal Quotidiano del Popolo, l'organo di stampa del Partito Comunista Cinese.
Le risorse investite via mare, lungo la “Via della Seta Marittima del XXI secolo” (che ricalca le rotte dell’antica via marittima che ebbe il massimo splendore nel XVI secolo), puntano a creare un collegamento con l’Europa attraverso il Mar Cinese Meridionale e l’Oceano Indiano, e con il Pacifico Meridionale attraverso il Mar Cinese. Sono due i corridoi previsti: Cina e Pakistan; Bangladesh, Cina, India e Myanmar.
I primi progetti concreti
Tra i progetti legati a “Belt and Road”, si possono già citare esempi concreti: l’acquisizione del Pireo da parte di Cosco; l’ampliamento del porto di Gwadar in Pakistan; la linea ferroviaria Belgrado-Budapest (al momento ferma e in fase di revisione) e Giacarta-Bandung; le centrali elettriche in Pakistan (Karot) e Indonesia; il potenziamento dei collegamenti ferroviari tra Europa e Cina, che andranno a ad ampliare le tratte già operative: Lodz-Chengdu, Duisburg-Chongqing, Madrid-Yiwu e Londra-Yiwu. Il volume delle merci che viaggiano attraverso questi collegamenti aumenta di anno in anno: oggi si parla di 39 linee che collegano 15 città europee con 20 città cinesi.
Non sarà facile. La Cina, sottolinea il Global Times, deve vincere le paure dell’India circa il rischio di un aumento della presenza militare cinese, e convincere la Russia, che vede nell’Asia centrale la sua sfera tradizionale di influenza. La Cina ha infatti di recente proposto a Mosca di collegare l’iniziativa “Belt and Road” all’Unione Economica Euroasiatica, la grande unione doganale promossa dalla Russia.
Pechino riuscirà a convincere tutti?
Il progetto è ambizioso: la Cina ce la farà? Alla vigilia del Forum internazionale di Pechino, se lo chiedono in molti, come i due recenti editoriali del settimanale britannico The Economist e del più noto settimanale economico-finanziario cinese, Caixin. Del resto non tutti gli investimenti sono stati accolti con piacere dai Paesi toccati dall’iniziativa. E’ il caso dello Sri Lanka e dell’ampliamento del porto della capitale, Colombo, i cui lavori, affidati al gruppo China Communications Construction Company, erano stati interrotti nel 2015 per l’opposizione del governo delle autorità locali, sospettose per la scarsa trasparenza de finanziamenti. Il primo ministro dello Sri Lanka, Maithiripala Sirisena, era andato poche settimane dopo a Pechino per rassicurare i vertici cinesi sulla sicurezza dell’investimento. Più di recente, a febbraio scorso, la Commissione Europea aveva deciso di indagare la tratta ferroviaria che collega la capitale della Serbia, Belgrado, con Budapest, del valore di 2,9 miliardi di dollari, per presunte irregolarità rispetto alle normative dell’Unione Europea. Le indagini Ue sulla ferrovia rappresentano un duro colpo per Pechino, che aveva puntato proprio sullo sviluppo ferroviario dell’area dei Balcani per attrarre l’attenzione dei Paesi dell’Europa orientale nel summit del 2013 dei cosiddetti “16+1”, ovvero i Paesi dell’Est Europa più la Cina.
I due bracci finanziari di “Belt and Road”
Per realizzare questi progetti, sono stati creati due bracci finanziari: il Silk Road Fund e la Banca Asiatica di Sviluppo Infrastrutturale (Asian Infrastructure Investment Bank, AiiB). Il Silk Road Fund è il fondo da 40 miliardi che di recente ha raggiunto un accordo per una quota del 5% di Autostrade per l’Italia. Nato ufficialmente il 29 dicembre 2014, il Fondo conta tra i suoi investitori i nomi più importanti della finanza cinese: la State Administration of Foreign Exchange, il fondo sovrano (China Investment Corporation) e due delle maggiori banche cinesi, Export-Import Bank of China e China Development Bank. Il Silk Road Fund si dedica a investimenti in progetti di sviluppo nei Paesi toccati dall’iniziativa “Belt and Road” sia sul versante terrestre che marittimo “per assicurare la stabilità finanziaria a medio e lungo termine e ritorni ragionevoli sugli investimenti”, secondo quanto spiega sul proprio sito web lo stesso fondo cinese.
L’AiiB, guidata da Jin Liqun, è attiva dal gennaio del 2016 con un capitale di 100 miliardi di dollari. L’Italia è stata tra i primi Paesi europei ad aderire con una quota del 2%. British Chamber of Commerce stima che nei prossimi 10-15 anni, per raggiungere gli obiettivi prefissati serviranno investimenti richiesti pari a 3mila miliardi di euro.
Investimenti per 2.9 miliardi di dollari
Secondo gli ultimi dati del Ministero del Commercio sugli investimenti cinesi nei Paesi che si stendono lungo l'antica Via della Seta, nel primo trimestre 2017 hanno raggiunto quota 2,95 miliardi di dollari, per un totale di 43 Paesi raggiunti, che contano per il 14,4% del totale degli investimenti delle imprese cinesi all'estero, in crescita rispetto al 9% dello stesso periodo dello scorso anno. Dal 2013 a oggi, sono stati investiti dalla Cina oltre cinquanta miliardi di dollari nei Paesi toccati dall'iniziativa di sviluppo infrastrutturale cinese e sono state create 56 aree di cooperazione economica e commerciale che hanno generato 1,1 miliardi di dollari di ricavi fiscali e hanno contribuito a creare 180mila posti di lavoro a livello locale.
Il ruolo dell’Italia sulla Via della Seta
La parte più ambiziosa dell’iniziativa “Belt and Road”, ha spiegato Marco Marazzi, riguarda la “costruzione di infrastrutture e di collegamenti logistici tra la Cina occidentale (le province cinesi meno sviluppate) e Pakistan, Turchia ed Europa attraversando i quattro Paesi ‘Stan’ centro-asiatici (Kazakhstan, Turkmenistan, Tagikistan e Uzbekistan). Gli investimenti legati all’iniziativa “si concentrano prevalentemente in Asia”, scrive Giorgio Prodi, professore associato di Economia applicata all’Università di Ferrara e Research Fellow di Twai, su Orizzone Cina (vol. 7 num. 6, Novembre-Dicembre 2016). Se da un lato l’Europa “potrebbe, almeno in termini relativi, perdere parte della sua centralità economica”, sottolinea Prodi, “due sono gli aspetti che più possono avere impatto sulle imprese e quindi sull’economia italiana; le nuove reti ferroviarie che connettono la Cina all’Europa e il rafforzamento dei porti, in particolare nel Sud Europa”.
La sfida dei porti
La vera sfida per l’Italia si gioca sui mari. Con il raddoppio del Canale di Suez nel 2015, il Mediterraneo ha assunto una nuova centralità. Dopo l’acquisizione del Pireo da parte di Cosco (China Ocean Shipping Company) nel 2016, il numero di container che il porto greco movimenta è passato da 500mila a 3,1 milioni. Questo, come altri investimenti in programma, ad esempio la possibile acquisizione del porto algerino di Cherchell, se da un lato rendono il Mediterraneo più competitivo, dall’altro lato rischiano di sottrarre traffico ai porti italiani: i porti dell’Adriatico – Ravenna, Venezia e Trieste – “movimentano meno della metà dei container del solo Pireo”, scrive Giorgio Prodi.
“L’Italia partiva 10-15 anni fa da una posizione vantaggiosa, non tanto per l’eredità di Marco Polo e di Matteo Ricci: Gioia Tauro occupa nel Mediterraneo una posizione centrale, sarebbe stato per i cinesi il porto ideale sul quale investire ma si sono scontrati con le criticità del nostro sistema di governarne”, ha detto all’AGI Andrea Goldstein, managing partner di Nomisma, a margine del workshop bolognese. “Gioia Tauro è una partita persa – ha aggiunto - i cinesi hanno investito sul Pireo e oggi hanno in programma di investire sulle ferrovie nei Balcani”. Parola d’ordine: trovare nuove vie.
Italia terminale strategico per la Cina
L’Italia resta infatti uno dei terminali strategici nella proiezione cinese nel Mediterraneo, in termini politici, commerciali e di sicurezza. All’aumento degli investimenti cinesi all’estero, corrisponde la necessità di una revisione della strategia di difesa dei propri interessi: le esercitazioni congiunte tra Cina e Russia nelle acque del Mediterraneo e la creazione dell’avamposto militare di Gibuti, spiegano questa tendenza. Nelle mappe cinesi, il porto di Venezia viene spesso indicato come il terminale europeo della Via della Seta Marittima. “L'Italia, avendo un ruolo di ponte tra Europa e Oriente, si candida in modo autorevole per avere un ruolo importante: attraverso l'Italia si arriva al cuore dell'Europa”, ha dettoIvan Scalfarotto, sottosegretario allo Sviluppo Economico, alla vigilia della recente visita di Stato del presidente Sergio Mattarella in Cina. “La Cina ha investito nel porto greco del Pireo, ma i porti di Genova, Venezia e Trieste arrivano al centro dell'Europa più del Pireo”. Sull’argomento è tornato in modo netto il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Delrio, per l'ultima parte della visita di Stato di Sergio Mattarella, dopo aver incontrato il suo omologo cinese a Chongqing. “Il sistema portuale e ferroviario italiano è già pronto ad accogliere le merci della nuova Via della seta. Noi abbiamo già il sistema dell'alto Adriatico, con Venezia e Trieste, il sistema dell'alto Tirreno con Genova e il porto di Taranto che sono pronti ad accogliere merci e a portarle nel cuore dell'Europa e nell'Est europeo”.
Italia-Cina sodalizio sempre più stretto
"La recente visita del Presidente Mattarella in quattro città cinesi ha segnato un nuovo capitolo nelle relazioni sino-italiane dopo un ciclo di incontri di alto livello nei due Paesi. Le relazioni fra i nostri Paesi stanno crescendo in qualità e quantità”, ha detto il presidente del Senato, Pietro Grasso, nel corso della conferenza stampa di presentazione a Palazzo Madama, lo scorso aprile, dell'Istituto per la Cultura cinese (Icc) nato "per arricchire il dialogo fra i nostri due grandi Paesi in campo culturale e scientifico", e che nei giorni ha promosso una partnership tra l’Università di Chongqing e di Cassino.“L'Italia sarà un anello fondamentale del grande programma ‘Una cintura, una via’ ed è senza dubbio nella migliore posizione, geografica, culturale e storica, per agire da ponte fra la Cina e l'Europa. Questo nostro ruolo è accresciuto nel momento attuale, nel quale i cambiamenti che nel commercio mondiale si potrebbero determinare con le politiche della nuova amministrazione americana e il tramonto della Trans-Pacific Partnership, chiamano l'Unione europea ad una relazione economico-commerciale privilegiata con il partner cinese", ha concluso Grasso.
L'impegno del governo
L’impegno del governo sembra dunque esserci. “Dobbiamo partecipare allo sviluppo infrastrutturale dei nostri porti, diventare uno snodo fondamentale facilitare la capacità di generare economia nella fase successiva, ovvero quando ‘Belt and Road’ sarà diventato il nuovo importante canale di comunicazione commerciale tra Europa e Cina”, ha detto il sottosegretario agli Esteri Benedetto della Vedova, intervenuto al convegno di Bologna. Non solo: “Dobbiamo riuscire a tenere il più possibile i terminali sul Mediterraneo – ha sottolineato - per favorire, attraverso un’operazione sempre più significativa tra aziende italiane e cinesi, la proiezione dal Mediterraneo in termini di investimenti, di aiuto allo sviluppo e di realizzazioni infrastrutturali sull’Africa e sulla Cina”. “E’ evidente – ha concluso Della Vedova - che si tratta di un tema strategico per il nostro Paese. Bisogna lavorare, ed è quello che il governo italiano vuole fare e sta facendo, ovvero garantire, come nel caso specifico del sistema portuale dell’alto Tirreno e dell’alto Adriatico, che i progetti infrastrutturali di adeguamento viaggino con i ritmi necessari”.
Gli scali che interessano Pechino
Lo scalo del Pireo non è l’unico a interessare i cinesi: nel corso degli anni, la Cina ha manifestato interesse per i porti turchi, per lo scalo cipriota di Limassol, e per i porti italiani. Cosco (China Ocean Shopping Company) ha già investito lo scorso anno nello scalo di Vado Ligure, di cui detiene una partecipazione del 40%, e ad aprile, il gigante delle spedizioni marittime cinesi, ha annunciato l’avvio del primo servizio regionale di trasporto container che mette in connessione il sistema portuale del nord Europa con quello del Mediterraneo, operato dalla stessa Cosco. Per le qualità delle infrastrutture presenti e per la vicinanza con i mercati dell’Europa centrale, sono soprattutto i porti dell’Alto Adriatico che guardano con interesse al collegamento con la Cina e con l’iniziativa di sviluppo Belt and Road. L’ultimo segnale in questo senso arriva dal Porto di Venezia, che il mese scorso, scrive il sito web specializzato informazionimarittime.it , all’ultima fiera internazionale “Break Bulk Europe” di Anversa, ha annunciato il lancio di due nuovi servizi, tra cui il ritorno del servizio diretto con il Far East operato da Ocean Alliance, di cui fa parte anche la stessa Cosco, che punta a fare di Venezia e, più in generale dell’Alto Adriatico, il punto di arrivo della Via della Seta Marittima del Ventunesimo Secolo.
Tante luci, ma anche qualche ombra
Eppure gli investimenti cinesi rischiano di mettere in luce soprattutto le debolezze del sistema italiano. “Entrare nell’AiiB non basta”, ha spiegato Andrea Goldstein, “L’Italia non ricopre nessuna posizione di rilievo nel Consiglio e nell’advisory panel della banca, diversamente da Francia, Germania, Regno Unito e Svezia”. A porre una sfida ai porti italiani, si è aggiunto il progetto di costruire con fondi cinesi una ferrovia che collega il Pireo al centro Europa attraverso i Balcani. Ma per il presidente del Porto di Ravenna, Daniele Rossi, “non si tratta di un progetto concreto: l’investimento non avrebbe una sostenibilità economica”. I porti del Nord Adriatico sono in grado di organizzare una strategia comune? “Il sistema dei porti del Nord Adriatico rappresenta un’alternativa efficiente ed economica: l’investimento cinese sarebbe infatti limitato perché l’infrastruttura è già pronta. Perché qualcuno dovrebbe investire dei soldi in una infrastruttura che andrebbe a duplicare una capacità di trasporto già esistente?”, ha detto Rossi all’Agi a margine del convegno bolognese.
L'alleanza tra i porti dell'Adriatico
Un progetto di alleanza tra i cinque maggiori porti del Nord Adriatico esiste già ed è cofinanziato dal governo italiano (con il coordinamento del ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture) e dal Silk Road Fund. “L’iniziativa ha ricevuto il supporto dalle autorità di entrambi i paesi durante il Forum della cooperazione delle città della Via della seta, tenutosi a Venezia nel luglio del 2015”, ha scritto su Orizzonte Cina Nicola Casarini, ricercatore Iai e membro del comitato scientifico di Easternational. “Il progetto dei “cinque porti”, elaborato e sostenuto dalla North Adriatic Port Association (Napa), interesserà i porti italiani di Venezia, Trieste e Ravenna congiuntamente alle strutture portuali di Capodistria (Slovenia) e Fiume (Croazia). Il consorzio mira ad attrarre le enormi navi cargo cinesi che raggiungono il Mediterraneo attraverso il Canale di Suez. Il progetto avrà un costo stimato intorno ai 2,2 miliardi di euro di cui 350 milioni già stanziati dal governo italiano per l’inizio dei lavori della piattaforma di attracco al largo della laguna di Venezia. Partecipa ICBC”.
"Il nostro limite è la frammentazione"
Ma Andrea Goldstein non è ottimista: “Il progetto dei ‘cinque porti’ potrebbe rappresentare un’alternativa ma dubito che i porti del Nord Adriatico possano diventare la destinazione principale per le merci cinesi: la frammentarietà del nostro sistema portuale è un problema atavico difficile da superare in tempi brevi”, ha spiegato. Vanno in questa direzione la riforma della governance della portualità e la riorganizzazione del sistema aeroportuale. Daniele Rossi ha spiegato all’Agi a che punto è il progetto di riqualificazione del porto di Ravenna. “Ci inseriamo nel sistema dell’hub portuale del Nord Adriatico con il progetto di approfondimento dei fondali e di creazione delle piattaforme logistiche retro portuali”, ha detto. “Il progetto è in fase avanzata di progettazione e prevediamo che si possa partire a metà dell’anno prossimo. Nel breve periodo il porto di Ravenna – ha sottolineato Rossi - avrà a disposizione fondali fino a 12,50 metri di profondità, e quindi avrà la capacità di ricevere navi porta container di una notevole importanza. E soprattutto – ha aggiunto - avrà delle aree retro portuali per il sistema logistico probabilmente uniche in Italia: non ci sono infatti altri porti che offrano la medesima capacità logistica”.
Servono più ferrovie dentro i porti
Ma i fondali non bastano: c’è bisogno che i porti siano collegati alle ferrovie e alle autostrade. “Stiamo lavorando in collaborazione con le ferrovie italiane a un miglioramento del sistema ferroviario interno al porto”, ha precisato Rossi. Non solo: “Puntiamo a migliorare gli snodi di collegamento con il sistema ferroviario nazionale per migliorare la capacità di trasporto ferroviario in uscita dal porto di Ravenna lungo due direttrici: il Gottardo, e quindi l’interporto di Bologna; il Brennero tramite il quadrante Europa di Verona (zona produttiva posizionata all'incrocio delle autostrade del Brennero e della Serenissima e all'incrocio delle linee ferroviarie corrispondenti, ndr)”. Si tratta di un progetto che prevede “investimenti attorno ai 250 milioni di euro: non vedo ostacoli al suo completamento perché abbiamo la capacità finanziaria e le risorse necessarie”, spiega Rossi. La fase di progettazione dovrebbe concludersi a luglio di quest’anno. Una volta fatti questi investimenti, Rossi è convinto che il porto di Ravenna possa inserirsi a pieno titolo nell’hub portuale del Nord Adriatico. Quel sistema che “dovrà supportare la nuova domanda di transiti da e verso la Cina che con la creazione della Via della Seta Marittima, avrà uno sviluppo importante: il Pireo non è strutturato per una distribuzione terrestre di maggiori volumi di un maggior numero di navi cargo. Abbiamo un’opportunità, dobbiamo essere bravi a non sprecarla”.
Il porto di Trieste forse il più adatto
“L’ingresso di Cosco nel porto del Pireo ha un grosso limite dovuto alla difficoltà di connettere velocemente le merci con il resto d’Europa”, ha detto Marazzi. “Se i porti del Nord Adriatico fossero attrezzati a ricevere un flusso maggiore di merci – ha aggiunto - potremmo togliere al Pireo molto traffico e competere con gli altri porti europei candidati, come quelli francesi”. Il punto è stabilire chi fa gli investimenti e dove: “La cooperazione tra Venezia, Trieste e Ravenna è fondamentale – ha aggiunto - il porto di Trieste è probabilmente il più adatto ad accogliere le merci, tenendo conto di tre elementi: la stazza delle merci; la profondità dei fondali necessaria; le connessioni con il resto d’Europa, che da Trieste sono buone. Ma quello che manca a Trieste - ha sottolineato – è la capacità sufficiente: bisogna capire se attraverso la collaborazione con altri porti, si riesca a creare un network di supporto”.
Gli investimenti da fare sono dunque fortissimi. “Della questione si parla da un po’ di tempo”, ha detto Marazzi. “I tempi di riqualificazione dei nostri porti saranno sufficienti o i cinesi faranno prima a costruire le ferrovie che collegano il Pireo all’Ungheria?”
Le rotte aeree e la strategia di Malpensa
“La decisione politica è ancora imperfetta e incompleta e mira a privilegiare certi scali”, ha detto Andrea Goldstein. “Questo vale sia per il sistema portuale sia per quello aeroportuale. Bisogna sapere scegliere, non è possibile investire su 2, 3, 4 aeroporti. E’ normale che per quanto riguarda i cargo, si scelga di investire su Malpensa. Scegliere di non scegliere ci indebolisce e così finisce che cinesi scelgano altri Paesi europei. I protocolli sono importanti ma sono solo la condizione di base”.
Oggi sono 48 i voli che ogni settimana collegano l’Europa e la Cina. Per quanto riguarda le merci, il traffico aereo continua a viaggiare lungo rotte indisturbate. “Il trasporto merci aereo si rivolge a categorie merceologiche ad alto valore aggiunto per le quali il time to market rappresenta un elemento critico nell’offerta”, ha detto Giulio De Metrio, chief operating officer e deputy ceo di SEA. “Da Malpensa viaggia il Made in Italy – moda, design, auto sportive, meccanica di lusso - e gran parte dell’e-commerce internazionale”. I numeri parlano chiaro: Malpensa è prossima a movimentare 600mila tonnellate l’anno, nel primo quadrimestre del 2017 ha registrato una cresciuta del 14% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Livelli di crescita importanti dovuti a scelte mirate: “Abbiamo creduto in questo tipo evoluzione e abbiamo investito in infrastrutture e processi”. Gli aerei viaggiano lungo una via della seta che non è inclusa nelle mappe di Pechino. “E questo non è di per sé un fattore negativo – conclude De Metrio - Il traffico aereo segue tre direttrici: una che passa dal Nord, lungo la Transiberiana; una che passa dal centro, sulla direttrice di Instabul, Baku e Cina; una terza che punta a Sud, che sorvola i Paesi del Golfo e si connette con l’Estremo Oriente, e poi sale. “Malpensa è uno dei terminali delle rotte aree”.
Parola chiave: win-win cooperation
“Il China Railway Express attraversa in lungo e in largo il continente euroasiatico, colmo di merci”, ha detto l’Ambasciatore cinese Li Ruiyu, intervenuto al convegno di Bologna. “La Cina ha firmato con i paesi interessati dal progetto, più di 300 accordi di cooperazione che spaziano dall’arte al turismo. Il progetto, nato in Cina, si è esteso al mondo intero ed è già diventato un importante canale di rafforzamento delle cooperazioni internazionali, offrendo opportunità di benessere ai popoli di ogni nazione. L’Italia era il punto d’arrivo dell’antica Via della Seta. E’ quindi di fondamentale importanza che Italia e Cina compartecipino al rafforzamento della cooperazione internazionale”. Mutuo beneficio per i Paesi coinvolti e cooperazione win-win: sono questi i concetti su cui la Cina insiste quando spiega al mondo il progetto “Belt and Road”. Del resto un aumento della connettività fra Europa e Asia “darà sì alla Cina l’opportunità di aumentare le esportazioni verso i nostri mercati, ma vale anche il discorso opposto”, spiega Marazzi. “Ad esempio le aziende del settore agroalimentare (in particolare l’ortofrutta) hanno una forte potenzialità di esportare in Cina che purtroppo si scontra con i limiti imposti da regolamenti e vincoli sanitari. Dovremmo seguire l’esempio di altri Paesi europei”.
Perché l’Italia deve esserci
Una cosa è certa: è in Asia e in Cina che si gioca il futuro dell’economia mondiale. “Per un Paese come l’Italia fortemente esposto alla concorrenza internazionale e beneficiario della globalizzazione – ha detto Goldstein - è importante capire le tendenze che caratterizzano l’area eurasiatica: nuovi modelli di produzione e di consumo moltiplicano le opportunità per il nostro Paese”. Non bisogna certo guardare solo alla Cina ma a tutti i Paesi coinvolti nell’iniziativa “come i mercati l’Asia Centrale, piccoli ma potenzialmente interessanti”. L’Italia e l’Europa devono giocare una partita di lungo periodo: “Quest’anno l’Italia ha la presidenza del G7, la partecipazione del presidente Gentiloni al Forum di Pechino è importante e va quindi al di là degli interessi puramente nazionali: sul rapporto tra Europa e Cina pesano una serie di questioni legate alla reciprocità e alla protezione degli investimenti, all’accesso dei mercati e alla facilitazione dei commerci. Temi sui quali, anche per motivi politici e normativi, è importante che l’Europa arrivi con una posizione coerente: farsi concorrenza con il proprio vicino sarebbe controproducente”.
Orizzonti ancora più ampi
L’interesse dell’Italia va oltre la Cina e riguarda anche i mercati che verranno aperti: dall’Asia centrale alla Russia, dall’Iran al Pakistan, dove a detta di Marazzi “le nostre aziende hanno forti potenzialità”. Oltre ai limiti infrastrutturali, ci si scontra con la difficoltà di reperire informazioni concrete sui singoli progetti relativi a “Belt and Road”: “Forse la responsabilità è anche del governo cinese che non sta spiegando bene come è possibile partecipare”, ha concluso Marazzi.
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