Tutta colpa di un soufflé. È così che ha inizio la querelle giudiziaria più appetitosa della storia, che vede coinvolti da un lato lo chef francese Marc Veyrat, dall’altro la Guida Michelin, la più importante e autorevole guida gastronomica del mondo, mappa per orientarsi nell’universo culinario fondamentale per ogni appassionato di cucina gourmet.
Tema del dibattito la non riconferma della terza stella (massimo riconoscimento possibile al momento) per il ristorante La Maison des Bois, un’oasi di puro godimento gastronomico incastrata nella splendida cornice della facciata francese delle Alpi, più precisamente a Manigod. Chi entra nella guida Michelin sa che il riconoscimento, l’onore e anche i relativi guadagni che quelle stelle portano è direttamente proporzionale alla fatica, l’impegno e l’ossessiva ricerca della perfezione che servono per guadagnarle. Di conseguenza se ottenerla vuol dire godere della soddisfazione di tagliare il traguardo più importante per uno chef, perderla rappresenta un disastro colossale, sotto tutti i punti di vista, sia emotivo che economico.
Un declassamento umiliante, difficile da reggere per chi dedica la propria vita ad uno dei mestieri più stressanti che esistano. Chef Veyrat, per esempio, una delle rockstar del circuito gourmet mondiale, famoso per il suo look dove non manca mai il cappellone nero con enorme tesa, all’annuncio della perdita della stella è rimasto sei mesi in depressione, lo rivela lui stesso al Guardian; quando Gordon Ramsey, altro chef di fama mondiale, è inciampato nello stesso problema con il suo ristorante di New York paragonò l'esperienza alla perdita di una ragazza o ad una sconfitta in finale di Champions League; nel 2003 il collega francese Bernard Loiseau arrivò a spararsi quando lesse su un giornale che forse il suo ristorante avrebbe perso la stella, aveva 52 anni.
Veyrat all’inizio, preso presumibilmente dallo sconforto, aveva chiesto (ma non ottenuto) la rimozione dalla guida, poi, una volta inghiottito il boccone amaro, ha deciso che sulla questione vuole vederci più chiaro. Secondo lui infatti il declassamento è dovuto, appunto, ad un errore di valutazione, anche piuttosto grossolano, di chi è stato mandato a valutare il suo locale. E qui torniamo al soufflé: pare che l’ispettore abbia pensato che lo chef nel preparare la ricetta avesse utilizzato il più dozzinale cheddar inglese invece dei soliti reblochon, beaufort e tomme francesi, “Ci ho messo lo zafferano e il gentiluomo che è venuto ha pensato che fosse cheddar perché era giallo. È semplicemente folle”.
Toni che ad un occhio fuori dal circuito dei ristoranti di un certo livello possono sembrare esagerati, ma qui, cucina a parte, più vicina all’arte in questi casi, e orgoglio messo un attimo in stand by, il discorso è anche di natura economica, quello che le stelle Michelin ti danno, quando decadono poi ti tolgono. E ora tutto finisce in tribunale, chef Veyrat pretende di poter leggere il rapporto dell’ispettore che ha visitato e poi valutato il suo ristorante. Ha anche avanzato una richiesta economica di risarcimento danni simbolica: 1 euro.
Dalla sua parte la Guida in un primo momento ha fatto sapere di comprendere la delusione dello chef ma che il suo primo dovere è quello di informare i consumatori, oggi ha esaurito la pazienza ed ha citato per danni lo chef (30mila euro la cifra richiesta), definendo la sua pubblica accusa un chiaro attacco alla libertà di espressione. Richard Malka, avvocato della Guida Michelin, ha anche rincarato la dose definendo la situazione frutto dell’ “egotismo patologico” di Veyrat.