Sull'Iraq si accende lo scontro tra Trump e Ali Khamenei
Il presidente americano minaccia l'Iran su Twitter. La guida Suprema risponde: "E noi colpiremo senza esitazione"

Mentre non accennano a placarsi i toni dello scontro diplomatico tra Usa e Iran, si allenta la tensione sul campo a Baghdad, teatro dell'assalto ieri all'ambasciata statunitense da parte di migliaia di manifestanti filo-iraniani. Un assalto che ha riportato alla memoria la crisi di 40 anni fa, quando 52 dipendenti della rappresentanza di Washington a Teheran furono tenuti in ostaggio per un mese e mezzo durante la rivoluzione khomeinista.
I manifestanti - penetrati in una delle zone piu' controllate della capitale irachena, davanti a quella che è la più grande e costosa rappresentanza diplomatica degli Stati Uniti nel mondo - si sono ritirati dal sit-in organizzato nella notte nella zona dell'ambasciata. Poche ore prima, 'Hashed al-Shaabi', la coalizione paramilitare irachena dominata da fazioni pro-Iran integrate alle forze regolari, aveva ordinato ai suoi sostenitori di ritirarsi dall'assedio, messo in atto come rappresaglia per i raid americani, che nei giorni scorsi avevano ucciso 25 miliziani del gruppo Kataeb Hezbollah.
I manifestanti avevano passato la notte all'esterno del gigantesco compound americano, situato all'interno della 'green zone', tentando più volte di farvi irruzione, nonostante l'appello a ritirarsi, lanciato ieri sera dal premier dimissionario iracheno, Adel Abdel Mahdi.
Il personale di sicurezza dentro il compound ha risposto usando i lacrimogeni e ferendo almeno 20 persone, secondo quanto denunciato dalla stessa Hashed al-Shaabi. "Abbiamo raggiunto una grande vittoria, siamo arrivati fino all'ambasciata Usa, cosa che nessuno aveva mai fatto prima", ha dichiarato ad Afp Mohammad Mohyeddin, portavoce di Kataeb Hezbollah. "Ora la palla è in mano al Parlamento", ha aggiunto, riferendosi ai tentativi di revocare la copertura legale ai 5.200 soldati Usa di stanza in Iraq e su cui le fazioni armate e politiche filo-Iran stanno conducendo una vera e propria campagna.
Dagli Usa, il Pentagono ha annunciato l'invio di altri 750 soldati di rinforzo e il presidente Donald Trump ha avvertito che Teheran "sarà ritenuta pienamente responsabile delle vite perse o dei danni alle strutture" americane in Iraq e "pagherà un caro prezzo!". Tuttavia, ha affermato di non aspettarsi una guerra tra gli Stati Uniti e Iran.
La risposta della Repubblica islamica non si è fatta attendere. Il ministero degli Esteri ha convocato l'incaricato d'affari dell'ambasciata svizzera, che rappresenta gli Usa in Iran, per consegnare la sua "forte protesta", mentre la Guida suprema Ali Khamenei ha condannato la "malvagità" americana, invitando Trump a ragionare prima di twittare, e ha avvertito: "Se qualcuno ci minaccia, ci confronteremo senza esitazione e lo colpiremo".
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