Donald Trump è il primo presidente americano ad aver utilizzato una disposizione del Patriot Act che consente di tenere dietro le sbarre per sempre un cittadino non statunitense: lo ha utilizzato con un palestinese che aveva scontato la sua pena, passando diciassette anni in carcere, con l'accusa, mai provata, di essere legato ai terroristi. Per Adham Amin Hassoun, quasi sessantenne, l'incubo dunque continua.
Arrestato nel giugno 2002 per violazione della legge sull'immigrazione, era stato accostato al terrorista Jose Padilla, la mente di una serie di attentati progettati negli Stati Uniti. Ma nei confronti del palestinese non sono mai state trovate prove. Condannato a 15 anni, il palestinese sarebbe dovuto tornare in libertà già nel 2017. Trasferito al centro di detenzione immigrati nello Stato di New York, per essere espulso, si è trovato di fronte a un problema inatteso: nessun Paese - dal Libano, dove era nato, a Israele e neanche alla Striscia di Gaza - lo voleva.
Hassoun ha avviato una battaglia legale, grazie al sostegno di avvocati dell'Università di Buffalo, vincendo la causa. Ma le porte della libertà non si sono aperte neanche questa volta. L'amministrazione Trump, invocando la linea dura sancita dal Patriot Act, approvato all'indomani delle stragi dell'11 Settembre per combattere il terrorismo, ha dichiarato il palestinese una "minaccia alla sicurezza nazionale" e dunque non in diritto di tornare libero.
La legge è dalla parte della Casa Bianca. Il Patriot Act autorizza il governo a tenere in detenzione cittadini non americani se ritenuti, su "basi ragionevoli", una minaccia per il Paese. Il provvedimento dura sei mesi, ma i termini possono essere rinnovati senza limiti.
Il 9 agosto l'ex segretario alla Sicurezza nazionale, Kevin McAleenan, ha informato Hassoun che "resterà in stato di detenzione fino a quando gli Stati Uniti lo riterranno opportuno". I legali dell'uomo non si sono arresi, anche perché vedono un punto debole nel provvedimento: il Patriot Act, spiegano, è stato pensato per arrestare persone sospettate per la prima volta, mentre in questo caso si applica a un uomo che è stato processato e condannato e ha scontato la sua pena.
"Si crea un precedente", contestano, "e qualsiasi cittadino non americano potrebbe finire dentro in base a una sensazione, un sospetto non provato, un 'si dice". Nel caso di Hassoun non è mai stata trovata prova di alcun reato.
"Non sono apparse prove - scrisse il giudice nella sentenza definitiva del 2008 - nè sono state trovate vittime, uccise o rapite da quest'uomo, negli Stati Uniti o nel resto del mondo". "C'è una violazione dei diritti umani come a Guantanamo - denuncia una dei legali, Nicole Hallett - solo che accade qui a New York. Questo caso è la Guantanamo d'America".
Negli anni la vita di Hassoun è drammaticamente cambiata: dieci anni fa, la moglie è tornata in Libano con la famiglia. Uno dei suoi figli, che all'epoca dell'arresto del padre aveva due anni, ha ottenuto l'iscrizione all'Università. Il palestinese, nel frattempo, ha imparato a cucinare per gli altri detenuti nel centro immigrati, e si è appassionato al teatro.