Ambasciatore Ungheria illustra Costituzione della discordia

di Francesco Russo
Roma - In molti l'hanno criticata paventando derive autoritarie, altri l'hanno esaltata come riscossa delle nazioni contro le elite, ma in pochi ne hanno esaminato in maniera approfondita il testo. La nuova Costituzione ungherese, entrata in vigore il primo gennaio 2012, è stata oggetto di numerosi rilievi da parte delle istituzioni europee in virtù di provvedimenti controversi come il mutamento del ruolo della Corte Costituzionale e il potenziamento dell'Autorità di supervisione sui media, elevata a organo di rango costituzionale. Il dibattito politico si è concentrato poi su norme come la difesa dei diritti dell'embrione sin dal concepimento o la 'Professione di fede nazionale' che apre la nuova Carta, segno del forte orientamento conservatore del governo che la ha elaborata, guidato dal primo ministro Viktor Orban (l'iniziale 'O Signore, benedici gli ungheresi' sul quale hanno tanto discusso i difensori della lacità, in realtà non è altro che il primo verso dell'inno nazionale scritto da Ferenc Kolsey, rimasto in vigore persino durante gli anni del regime). Ancora più interessanti sono poi dei veri e propri "paletti" posti a un'ulteriore integrazione comunitaria, come la menzione del fiorino come moneta nazionale all'articolo K (peculiare la numerazione: lettere dell'alfabeto nella prima sezione, numeri romani nella seconda e numeri arabi nella terza). Quel che è certo è che nessuno poteva fare chiarezza in materia meglio di Peter Paczolay, ambasciatore ungherese in Italia ed ex presidente della Corte Costituzionale magiara, nonchè grande esperto di Machiavelli, che ha tenuto una lezione sulla nuova Costituzione di Budapest alla Facoltà di Economia dell'Università di Tor Vergata, nell'ambito del Festival della Diplomazia, partendo da un approfondito excursus sui richiami alla storia nazionale magiara contenuti nel preambolo: dal re Santo Stefano, che nel XI secolo limitò i poteri della monarchia, a quella 'Sacra Corona' che torna a essere simbolo dello Stato ungherese. Al di là delle discussioni ideologiche della natura più varia, è stato infatti proprio il nuovo ruolo della consulta al centro delle continue reprimende della Commissione di Venezia (organo comunitario, deputato alla valutazione dell'aderenza degli ordinamenti degli Stati membri ai principi della Ue, del quale ha fatto parte lo stesso Paczolay) nei confronti di Budapest, che ha solo ora sostituito la Carta del 1946, ispirata alla costituzione sovietica del 1932, che dopo la caduta del muro di Berlino fu comunque emendata e modificata a più riprese per renderla compatibile con un ordinamento democratico.
I NODI DELLA DISCORDIA
Senza addentrarci nel complesso dibattito giuridico sulle modifiche dei controlli ex ante ed ex post delle leggi da parte della Corte, le fonti di controversia più evidenti sono tre. In primo luogo è scomparsa l'actio popularis, ovvero la facoltà di ogni cittadino di sottoporre una legge al vaglio della Corte Costituzionale. Il secondo è l'impossibilità, definita "inaccettabile" dallo stesso ambasciatore, di vagliare le leggi di natura fiscale da parte della Corte. Infine, la dichiarazione di nullità della Costituzione comunista pone un rompicapo da far girare la testa ai giuristi: era stata proprio la vecchia Carta (di cui il nuovo testo riproduce comunque "il 90%", ha spiegato Paczolay) a contenere i presupposti perché fosse elaborata la nuova, oltre a fornire base legale di tutta la produzione giuridica dell'Ungheria moderna. Da una prospettiva più terra terra, la critica concreta che muovono a Orban è l'aver approfittato di un momento di straordinario consenso politico (una maggioranza parlamentare di due terzi, record europeo del dopoguerra secondo Paczolay) per un radicale cambio della guardia tra le fila della magistratura. Se l'aumento dei membri della Corte, tutti di nomina parlamentare, ha consentito a Orban di modificarne la composizione aggiungendo cinque nuovi elementi a lui graditi, va ricordato anche il controverso provvedimento che ha abbassato l'età pensionabile dei giudici da 70 a 62 anni, poi portati a 65 in via transitoria in seguito a un acceso confronto con il commissario Ue alla Giustizia, Viviane Reding. In questa maniera sono saltati 270 dei circa 2.900 membri della magistratura ungherese, tra cui un quarto dei giudici della Corte suprema e circa metà dei presidenti di corte regionale o provinciale. C'è chi ha parlato di una vera e propria "epurazione". Di sicuro, facendo piazza pulita della vecchia guardia, la riforma della giustizia di Budapest ha notevolmente politicizzato il potere giudiziario (i punti da citare sarebbero numerosi: il principale è forse il notevole potenziamento dell'ufficio giudiziario nazionale). Nulla di nuovo sotto il sole, del resto: si pensi al decreto con il quale, nel 1962, il presidente francese Charles de Gaulle fece fuori Marcel Rousselet, primo presidente della Corte d'Appello parigina, a lui inviso. (AGI)