Alla festa per il giuramento di Erdogan c'erano pochissimi europei. Tra cui Berlusconi

Anche Orban, Maduro e l'ex cancelliere Schroeder tra gli invitati al ricevimento

Alla festa per il giuramento di Erdogan c'erano pochissimi europei. Tra cui Berlusconi

I ventidue, tra capi di Stato e leader politici, che hanno festeggiato lunedì sera, nello sfarzoso palazzo presidenziale di Ankara, il giuramento del presidente Recep Tayyip Erdogan, rendono bene l'idea delle relazioni internazionali che Ankara ha intessuto negli ultimi anni. Totalmente assenti i rappresentanti delle istituzioni europee e dei Paesi Ue, con l'unica eccezione del premier
ungherese Viktor Orban (che con Erdogan è in ottimi rapporti) e del bulgaro Rumen Radev, segno di un rapporto ricucito nel comune interesse del contenimento dei flussi migratori. La partecipazione dell'ex premier italiano Silvio Berlusconi e dell'ex cancelliere tedesco Gerard Schroeder affonda in radici più personali che di rappresentanza, ma rimane tuttavia legata a un tempo in cui il negoziato per l'ingresso della Turchia in Europa sembrava poter avere sviluppi positivi. 

La strategia neo-ottomana funziona

Nessuno è invece arrivato dalla Grecia, unico Paese balcanico assente, a differenza degli altri Stati dell'area che componevano l'impero ottomano: delegazioni provenienti non solo da Paesi storicamente vicini, come Bosnia e Albania, ma anche da nazioni come la Serbia, con cui il rapporto è sempre stato complicato da antichi rancori. Il mancato riconoscimento dell'indipendenza del Kosovo da parte di Erdogan ha fatto da apripista alla ricucitura delle relazioni, con il presidente serbo Alexsandar Vucic, presente, che appena tre mesi fa aveva definito Ankara "il più importante partner strategico e commerciale per tutti i Paesi balcanici". Un segnale evidente che la politica estera "neo-ottomana" di Erdogan perlomeno nei Balcani ha sortito degli effetti.

Alla festa per il giuramento di Erdogan c'erano pochissimi europei. Tra cui Berlusconi
 Il giuramento di Erdogan

Significativo che la presenza marginale di leader politici di Paesi Ue e la totale assenza di rappresentanti Usa coincidesse con la presenza di una corposa delegazione russa, orfana di Vladimir Putin ma guidata dal fedelissimo premier Dimitrij Medvedev: è stata l'ennesima conferma dell' avvicinamento totale tra i due Paesi dopo la crisi legata all'abbattimento di un jet russo nel novembre 2015. Scontata invece la presenza del presidente venuezuelano, Nicolas Maduro, la cui elezione è stata contestata da buona parte del mondo, ma sempre sostenuta da Erdogan, che ora acquisisce poteri che al presidente venezuelano lo avvicinano di molto. Tra i Paesi "minori" un mosaico di Stati musulmani, africani e in via di sviluppo, in cui a spiccare era la presenza del dittatore sudanese Omar Hasan Ahmed al Bashir, che grazie al controllo sui militari ha preso il potere nel proprio tormentato Paese, con modalità che gli hanno fatto guadagnare un mandato di cattura internazionale firmato dal tribunale dell'Aja: gli effetti del mandato decadono, evidentemente, in territorio turco, sacrificati sull'altare degli interessi di Ankara in quell'area dell'Africa. 

Immancabili, infine, tutti i Paesi turcofoni. Non solo i grandi Kazakistan, Uzbekistan e Turkmenistan, ma anche regioni semi autonome, come la Gagauzia moldava, il Tataristan russo e i tartari di Crimea. Segno evidente di un nazionalismo sempre più esasperato, del recupero della (mai morta del tutto) retorica panturchista e dell'esaltazione delle radici comuni dei turchi.
Con il nuovo mandato sarà il primo presidente della storia della Turchia ad avere in dote una quantità di poteri enorme, conferitagli dal passaggio al sistema presidenziale sancito dal referendum dell'aprile 2017. Un sistema controverso, che ha fatto ribellare i partiti di opposizione, che denunciano "l'uomo solo al comando" e che lunedì durante il giuramento di Erdogan sono rimasti in silenzio, evitando di applaudire. 



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