Vi ricordate il dipendente di Twitter che, nel suo ultimo giorno di lavoro, aveva disattivato l'account di Donald Trump per 11 minuti ? Ora ha un nome e un cognome. Si chiama Bahtiyar Duysak, ha vent'anni, è un cittadino tedesco di origine turca e ha lavorato con Twitter (ma anche con Google e Youtube attraverso l'azienda di collocamento Vaco) nell'ultima parte della sua permanenza in Silicon Valley.
In una chiacchierata con i giornalisti di TechCrunch, dice che non aveva idea del putiferio che avrebbe generato con le sue azioni. E che la maglia indossata per l'intervista, con le stelle e le strisce della bandiera degli Stati Uniti, era solamente il frutto di una coincidenza. Oggi, tornato in Germania dopo l'esperienza in California, Duysak riconosce l'errore fatto ma, contemporaneamente, sottolinea che "non ho hackerato nessuno e non ho fatto nulla che non era autorizzato a fare".
Le segnalazioni degli utenti su Trump
Se siete pratici del social network, e seguite il profilo di Trump, sapete già quanto il presidente si muova costantemente su un filo che oscilla tra gli insulti e le esclamazioni, spesso irriguardose ed esagerate, di vittoria. Messaggi che vengono postati senza particolare filtraggio, senza diplomazia, senza una mediazione, almeno dichiarata, di uno staff.
Si tratta di oltre 36mila tweet, letti da più di 43 milioni di seguaci, che nel migliore dei casi appaiono "irriverenti" ma che sfociano spesso in insulti e attacchi personali contro avversari politici, organi di stampa o capi di governo. Tweet che costantemente violano gli standard comportamentali del social network e che, per questo, sono soggetti a moltissime segnalazioni da parte degli utenti che si chiedono perché Twitter non abbia ancora deciso di intervenire. Duysak ha lavorato proprio all'interno dell'ufficio "Trust & Safety", il settore dedicato all'analisi dei reclami contro quei profili, veri o falsi, che vengono identificati come razzisti, violenti, molesti, inopportuni.
E quel giorno non ha fatto altro che avviare una normale procedura di sospensione nei confronti di chi, per l'ennesima volta, aveva violato le regole. E lo ha fatto con la convinzione che il profilo del Presidente americano non avrebbe mai potuto subire lo stesso trattamento di qualsiasi altro utente e che, qualche meccanismo interno sarebbe scattato per bloccare quella disattivazione. Così, dopo aver salutato tutti e aver spento il computer per l'ultima volta, ha lasciato l'edificio senza aspettarsi nulla di quello che, dopo poche ore, sarebbe accaduto.
La persecuzione dei Media
C'è un'altra cosa che il giovane tedesco ribadisce con fermezza: "Non sono e non mi sento un eroe". Molti utenti, infatti, credendo di aver assistito a chissà che azione sovversiva contro Trump, lo avevano etichettato come il salvatore del mondo. Anche senza conoscere nemmeno il suo nome.
Attestazioni di stima che si sono moltiplicate arrivando persino ad una vera e propria candidatura per il Premio Nobel per la Pace. Ma per Duysak quell'attenzione è diventata velocemente un incubo una volta che è stato riconosciuto come l'autore del gesto : "I media sono stati molto aggressivi persino con i miei amici e con la mia famiglia. Ho dovuto cancellare amicizie, messaggi e fotografie perché mi stavano davvero stalkerando".
I giornalisti si sono dimostrati più veementi e combattivi della giustizia americana. Anche perché non è stata infranta alcuna legge: "Non ho fatto nulla che non ero autorizzato a fare. Non sono andato a nessun sito in cui non dovevo andare. Non ho infranto nessuna regola". E l'FBI ha confermato a TechCrunch che, contro di lui, non è stata avviata alcuna indagine. "Io amo Twitter e amo l'America" ha detto Duysak concludendo l'intervista.
Perché i tweet di Trump non vengono sanzionati
Jack Dorsey, founder di Twitter, pochi giorni dopo l'incidente, ha detto al New York Times come nuove misure difensive siano state varate e applicate per evitare che tutto ciò possa ripetersi in futuro. Qualche settimana fa, il social network ha fornito qualche informazione più su quello che accade quando un profilo viene analizzato e su come si procede nel giudicare un tweet "good" or "bad". Buono o cattivo. Un contesto dove entra in gioco quella che viene chiamata "notiziabilità". Trump, in poche parole, non viene sospeso nonostante il suo comportamento irrispettoso perché quello che dice è più importante di come si esprime. C'è un legittimo interesse pubblico che scavalca ogni forma di maleducazione o irriverenza.
We consider a number of factors when reviewing reports. Here’s more detail on how we determine if an account or Tweet breaks our rules. https://t.co/PRbFAh5SzR
— Twitter Safety (@TwitterSafety) 14 novembre 2017
In questo contesto entra in gioco quel fattore per cui su Trump e altri profili non può essere applicato lo stesso trattamento applicato nei confronti di un comune cittadino. Tutto per via dell'interesse pubblico del suo ruolo e delle decisioni che prende come presidente degli Stati Uniti d'America. Comprese quelle nei confronti del regime nordcoreano. Si tratta di situazioni particolari in cui ogni caso viene analizzato singolarmente e ogni decisione viene presa da un team di più persone. Trump, dunque, è libero di insultare e rivolgersi a chiunque, come ha fatto con il premier britannico Theresa May, senza preoccuparsi delle conseguenze o di ritrovarsi, a meno di altre sorprese, con l'account sospeso.