Prima donna, prima gay, prima degli altri: Cynthia Nixon, a parte il cognome, ha tutto quello che può desiderare un’aspirante governatrice di uno stato tradizionalmente liberal come quello di New York, ed ha bruciato sul tempo gli eventuali concorrenti. Solo che sulla sua strada ha un governatore democratico come lei, liberal come lei (che si è potuta sposare con la compagna solo grazie alla legge che lui ha introdotto), determinata come lei. Andrew Cuomo, poi, ha dalla sua due cose: 30 milioni di dollari pronti per essere spesi in campagna elettorale, e magari anche più, e una conoscenza della macchina politica e di potere di Albany (la capitale dello Stato) che risale ai tempi del padre, Mario, governatore nel 1982.
Il tentativo di spodestare Cuomo, comunque, è molto serio, e guarda ben al di là dei numeri che, algidi e impietosi, al momento la danno in netto svantaggio: 12 per lei, 65 per lui. Sarà difficile recuperare, ma dalla sua Nixon ha l’appoggio del sindaco di New York, Bill De Blasio, dell’ala progressive del partito democratico (Cuomo in fondo è considerato troppo centrista), quella che per l’appunto ha eletto De Blasio e addirittura preferito Hillary Clinton a Bernie Sanders, che pure a New York è nato e cresciuto. Poi Cuomo recentemente ha sperimentato cosa sia l’accostamento del proprio nome ad un’inchiesta per corruzione. Lui è totalmente estraneo, la cosa riguarda il suo ex braccio destro Joe Percoco, ma la prossimità di Percoco alle stanze dei bottoni di Albany è cosa sufficiente a creare un certo imbarazzo.
Cuomo ha reagito contrattaccando: De Blasio, ha detto, è responsabile della terribile condizione degli alloggi popolari della Grande Mela, dove il crack scorre a fiumi e “l’America è tutto meno che di nuovo grande”. Poi ha lanciato un’offensiva mediatica che ha avuto un episodio quasi clamoroso: si è impossessato della scena nientemeno che alla sfilata di San Patrizio. Un cerimoniale non scritto, ma finora rispettato neanche fosse quello della Corte degli Asburgo, vuole che il Governatore cammini, al fianco del Capo della polizia dello Stato di New York, in seconda fila, alle spalle del Sindaco (cioè il poco amato De Blasio) e del Capo della polizia della Grande Mela. Lui, quest’anno, ha ignorato ogni protocollo, ed è scattato in testa al corteo ad uso e consumo delle telecamere. Ma è sembrata essere più una dimostrazione di nervosismo che una manifestazione di forza.
Tanto più che la Nixon ha iniziato a colpire duramente sulla faccenda Percoco, parlando di Cuomo come di espressione dell’establishment. Quello che la fa sorridere di più, comunque, è il precedente di Zephyr Teachout, la donna che già quattro anni fa si mise tra il governatore e la sua prima rielezione. Partì dal nulla, era assolutamente sconosciuta, ma alle primarie del 2014 si prese il 34 percento. Ed oggi è tra i principali collaboratori della Nixon.
Da parte sua, la ex stella di Sex and the City spera di attirare il voto degli scontenti che dovrebbero emergere in concomitanza con le elezioni di metà mandato: il Partito Democratico non si è ancora ripreso dello shock della vittoria di Trump e la sua guida, con cui Cuomo è ampiamente identificato, è ancora sotto accusa. Ma Cuomo, che come ogni buon americano vuole arrivare un passo in avanti rispetto a dove è arrivato suo padre, non si vuole accontentare della parità, cioè della terza elezione ad Albany. Vuole la Casa Bianca, e non si farà facilmente fermare, come invece McGovern nel ’72, da qualcuno che si chiama Nixon.