Sembra il sito in cinese del Washington Post: il titolo è quello, gli articoli sono attribuiti ai giornalisti del Wp, lo stile e l’impaginazione ricordano la celebre testata americana. Ma è un clone. A individuarlo è stato il Financial Times, che ha scoperto come quella che sembrava a prima vista la versione in cinese del Wp, in realtà era una copia sapientemente riprodotta ma dai contenuti diversi, con storie del Washington Post mischiate ad articoli presi dall’agenzia di stampa di Stato cinese, la Xinhua, tutti attribuiti però al quotidiano americano, che in realtà non gestisce il sito.
È così che lo ha scoperto lo stesso Washington Post, dopo che sono arrivate le domande dei giornalisti di Ft. Poco dopo, il sito cinese gestito dalla Sun Media Group ha cambiato ‘veste’, eliminando qualsiasi rimando alla testata americana. Con la quale, però, si è scoperto che aveva un contratto. E proprio da qui che potrebbe essere nato l’’errore’.
Forse un errore di interpretazione di un contratto
“Sun News è un cliente del Washington Post News Service, il che permette loro di ripubblicare un certo numero di storie del Washington Post. Tuttavia, il nostro accordo non prevede che possano usare il nostro brand nel modo in cui hanno fatto”, ha spiegato Kris Coratti, un portavoce del quotidiano americano. “Riteniamo – ha aggiunto – che si tratta di un semplice equivoco rispetto al contratto e stiamo lavorando con loro per correggerlo”.
Da parte sua la Sun Media - società che fa base a Hong Kong, fondata da una celebre coppia cinese, Yang Lan e Bruno Wu - ha fatto sapere di non aver superato i limiti imposti dall’intesa biennale firmata a gennaio, che la autorizza a distribuire i contenuti del Washington Post e della rivista Foreign Policy sulla Rete, sui social e ai suoi abbonati. L’unica lamentela che hanno ricevuto riguarda la mancanza di firma dei giornalisti agli articoli, una questione che è stata risolta. “L’obiettivo del sito – ha dichiarato un portavoce - è portare informazioni più varie al pubblico cinese, il sito web si rivolge agli intellettuali cinesi”.
Un controllo blindato e continuo dei contenuti
Non è un problema nuovo: “Ogni organizzazione occidentale di stampa che abbia provato a recarsi in Cina ha incontrato grandi difficoltà. Se si perde il controllo sui contenuti, allora lo sforzo di costruire un marchio in Cina può tornare indietro e mordere”, ha sottolineato il consulente David Schlesinger, ex caporedattore della Reuters per la quale aveva contribuito a lanciare il sito in cinese dell’agenzia di stampa negli anni ’90.
I media cinesi devono rispondere al dipartimento per la Propaganda del partito comunista cinese, e articoli ed editoriali sulla politica estera sono estremamente limitati. Per questo, le testate straniere godono di maggiore credibilità tra il pubblico cinese. Diversi quotidiani occidentali hanno una versione in cinese dei propri siti – dal New York Times al Wall Street Journal alla stessa Reuters – ma i contenuti sono bloccati dal ‘Great Farewell’, il sistema di filtri e controlli usato dal sistema per censurare le informazioni.