Perché della crescita della Cina l'Europa beneficerà poco (l'Italia pochissimo)
L'apertura ai mercati e al mondo dell'economia di Pechino è stata promessa da Xi Jinping. Geraci: "Un'apertura solo a parole"

La Cina si aprirà sempre di più al mondo: lo ha promesso Xi Jinping nel suo discorso pronunciato davanti alla platea dei 2280 delegati del diciannovesimo Congresso del PCC, riuniti alla grande Sala del Popolo, che affaccia su piazza Tian’anmen. Ma è vero esattamente l’opposto: “La Cina di Xi andrà verso una chiusura, e frenerà sugli investimenti e sull’apertura ai commerci”, scandisce Michele Geraci, docente di economia alla Nottingham University Business School China e direttore del Global Policy Institute. Il perché è presto detto: “La transizione da un modello economico basato sugli investimenti a un sistema trainato dai consumi non è ancora avviato – ha spiegato Geraci -. In questa fase delicata, Pechino non permetterà che la gestione dell’economia finisca nelle mani di operatori stranieri. A parole si dichiara aperta, ma nella pratica deve essere chiusa: le decisioni non possono essere dettate né da Wall Street né da Wto”, ha sottolineato l’economista.

L’apertura è solo a parole, non nei fatti
Il socialismo con caratteristiche cinesi entra in una “nuova era” – ha detto Xi – e la Cina intende “espandere il commercio con l’estero”, aprire il mercato proteggendo gli interessi degli investitori stranieri, e sviluppare maggiormente gli investimenti cinesi all’estero.
Non è così. “Riconosco che la Cina possa avere un interesse a commerciare di più con il resto del mondo, ma porre gli interessi degli investitori stranieri come priorità davanti agli interessi dei gruppi cinesi, sembra un po’ eccessivo e contro gli interessi del sistema cinese”, ha detto Geraci. Oltretutto in questa fase critica di transizione, l’accentramento politico (Xi Jinping emergerà probabilmente ancora più potente dal diciannovesimo Congresso, ndr) si sposa con l’accentramento della gestione economica, perché i policy maker cinesi è giusto che si riservino il controllo completo del sistema economico e sociale del Paese”. Di conseguenza dobbiamo aspettarci se mai “una nuova stretta sugli investimenti e sul commercio internazionale”.

Freno agli investimenti
“Continuerà la stretta sia sugli investimenti cinesi all’estero, dunque dobbiamo attenderci un ulteriore rallentamento delle operazioni M&A, sia sugli investimenti esteri in Cina”, ha detto Geraci.
Le linee guida approvate dal governo cinese ad agosto scorso, che dividono gli investimenti all’estero in tre categorie:
- vietati (come nel caso di quelli nell’industria pornografica o nel gioco d’azzardo);
- incoraggiati, come nel caso di quelli che rientrano nell’iniziativa Belt and Road, che ritorna più volte all’interno del discorso di Xi;
- soggetti a restrizioni (come nel caso di quelli nell’immobiliare, nello sport e nell’intrattenimento e nello sport).

“La Cina ha un atteggiamento bipolare rispetto agli investimenti”. Cioè? “Quando parliamo di investimenti stranieri in Cina, Pechino dice: se vuoi comprare una società cinese, impossibile; se vuoi aprire uno stabilimento, un centro di ricerca, fare quindi un investimento greenfield, porte aperte”. Risultato? Un’enorme disparità. Prendiamo il nostro caso. “La Cina ha investito in Italia circa 22 miliardi (di cui 7 solo su Pirelli) dal 2008 a oggi. Si tratta in gran parte di acquisizioni, pochissimi investimenti greenfield”. Che vuol dire? “Che i cinesi non hanno aperto fabbriche o centri di ricerca in Italia, se non in rarissimi casi, ma hanno comprato aziende già esistenti. Questi 22 miliardi non hanno portato alcun valore alla nostra economia, al contrario: si è trattato di uno scambio tra azionisti; ai cinesi serve acquisire il nostro know how”. Punto. Nello stesso periodo quanto ha investito l’Italia in Cina? “300 milioni di dollari. C’è di più: di questi investimenti, in pochissimi casi si è trattato di acquisizioni ma in gran parte di creazione di fabbriche nuove - come la Ferrero, che ha aperto un nuovo stabilimento tre anni fa ad Hangzhou. In altre parole: l’ Italia non ha comprato quasi nessuna società cinese”.

Zero apertura dei commerci, nessuna reciprocità
L’apertura ai commerci? “L’Unione Europea se la sogna: la Cina, se apre il commercio, perde il controllo del manifatturiero. E non può permetterselo. Le imprese europee lamentano da tempo lo scarso accesso in alcuni settori. “Per i cinesi la reciprocità assume un significato diverso”, ha spiegato Geraci. “La Cina misura i suoi progressi non paragonandoli all’Europa ma a come stava prima, dunque Pechino si ritiene soddisfatta giacché per i suoi parametri la sua economia è molto più aperta di prima”.
La Via della Seta cambierà l’economia europea?
L’ iniziativa Belt and Road di sviluppo infrastrutturale tra Asia, Europa e Africa è una “priorità”, ha detto Xi Jinping, e l’obiettivo è quello di “aprire ulteriormente la Cina attraverso link che corrono verso est e verso ovest, e attraverso la terra e sul mare”. “In linea con ciò che sappiamo dal 2013”, ha detto Geraci. “La Via della Seta è uno strumento di soft power. Punta a esportare sui mercati esteri la sovraccapacità produttiva soprattutto in alcuni settori, ed è collegato alle riforme delle aziende statali. Ma l’impatto di OBOR sull’economia eurasiatica può essere immenso: costruire infrastrutture in Paesi poveri porta a immediati risultati, perché si parte da zero. Si tratta dunque di investimenti positivi, come nel caso dell’Africa (con investimenti pari a circa 280 milioni di dollari), dove la Cina costruisce in cambio di risorse, contribuendo alla stabilizzazione della regione”.
L’impatto sull’economia europea? “Interlocutorio, dopo lo scudo annunciato dal presidente della Commissione Jean-Claude Juncker”
In Italia? “Al massimo possiamo puntare alla promozione del porto di Trieste. Le nuove norme quadro dell'UE sullo screening degli investimenti da parte di paese extra-Ue (misura pensata, anche se non si dice, in chiave anti-cinese), guardano due lati. Primo: l’oggetto dell’acquisizione: nel mirino gli investimenti in industrie strategiche. Secondo: l’acquirente, nel mirino se è un’azienda statale”. Quindi, cosa succede? “Il piano Juncker ha come obiettivo proprio quello di evitare che i Paesi europei più poveri o a rischio povertà - Grecia, Portogallo, Balcani, Italia – svendano i propri gioielli ad aziende che hanno alle spalle il governo cinese”, ha detto Geraci.
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